Ci si chiede spesso se l'attuale cultura ed identità della Cisl affondi le proprie radici nella vicenda storica del movimento sociale dei cattolici o se ne rappresenti il superamento qualitativo. Eppure chiunque intende interrogarsi intorno all'anomalia della Cisl, non può non risalire ad atteggiamenti, valori, modi di essere che caratterizzano, con impressionante continuità, tutta una lunga vicenda storica. Nella sua relazione all'ultimo congresso, Carniti, ha voluto ricordare il nome di due maestri, Guido Miglioli e Don Primo Mazzolari.
«Tra tutti, ci hanno condotto nei giusti incontri, che già, come per tutti noi, erano preparati dall'insegnamento silenzioso dei nostri genitori, del popolo dei nostri paesi».
Non si capisce allora a fondo il decimo congresso della Cisl (che resterà il congresso di Carniti), se non si annota e si ricorda che la storia della Cisl è prevalentemente la storia di uomini. Delle loro idee, dei loro comportamenti, della loro storia personale. Non si capisce la Cisl di Pastore come quella di Macario, di Storti e di Carniti, di Marini, se non si capisce che cosa effettivamente fino in fondo voglia dire una Confederazione sindacale: convivere e lottare anche furiosamente per dirigerne la sezione sindacale locale, come la segreteria generale senza ricorrere agli equilibri, alle strategie e alle logiche di questo o quel partito. La Cisl di Carniti è stata, allora, diversa dalla Cisl di Storti di Macario, non solo perché i tempi sono stati via via diversi, ma anche perché la storia della Cisl è la storia degli uomini che l'hanno guidata e che la guidano, al vertice, come alla base, con la regola della coerenza sulle grandi1inee strategiche perlo più elaborate dentro e non fuori la confederazione.
Tocca alla Cisl, oggi, però, come ha sottolineato Marini nel suo discorso di investitura, riprendere innanzi tutto e con determinazione, la strada obbligata e difficile dell'unità. Obbligata perché ogni divisione del movimento sindacale costituisce sempre un elemento di forte squilibrio in una società libera dove contano, al di là delle intenzioni, soprattutto i rapporti di forza e dove le rapide trasformazioni sociali ed economiche in atto obbediscono spesso a logiche disumane e ciniche. E quando i lavoratori sono divisi, nessuno può sentirsi sufficientemente forte per tenere sotto controllo certi processi. Ma anche difficile perché dopo il referendum, non può più esistere una unità qualsiasi. Il processo di ripresa unitaria non potrà perciò non essere graduale, scandito da convergenze dettate più da singole scelte od azioni di lotta che non da stabili rapporti organizzativi. L'unità tuttavia costituirà solo un miraggio finché non verrà sconfitto nella Cgil il pregiudizio leninista secondo il quale il sindacato unico dei lavoratori non rappresenta altro che una tappa sulla strada che porta al partito unico della classe operaia.
È questo il compito storico che sta di fronte alla Cisl di Marini: la quale, se intenderà recitare un ruolo trainante, dovrà orientare il proprio impegno in tre direzioni essenziali:
a) nella elaborazione di un organico progetto riformistico. Il referendum ha dimostrato che nel paese esiste un vasto ed articolato blocco di forze sociali che avvertono la necessità di un impegno severo in questa direzione e che hanno respinto tanto l'ipotesi della destra economica che invoca una ristrutturazione di tipo darwiniano, quanto l'ipotesi demagogica del PCI che risulta altrettanto conservatrice e pericolosa. Ma una terza via, riformistica ed organica, che nel contempo riesca ad esaltare la competitività della nostra economia e ad attutire le conseguenze sociali della vasta ristrutturazione in corso, esiste solo come mera ipotesi.
b) nella ripresa del ruolo contrattualistico del sindacato. Un ruolo che oggi è minacciato non solo dagli accordi centralizzati sulle grandi questioni 0a politica dei redditi, l'inflazione, il fisco, l'orario del lavoro) ma anche dal tipo di soluzione che verrà data al problema della struttura del salario. È chiaro, ad esempio, che quando la dinamica salariale è affidata a meccanismi di indicazione che trascendono l'impegno contrattualistico, quest'ultimo è destinato ad accentuare le spinte centralistiche, a trasformarsi in strumento di mera pressione politica, a ridursi ad ancelle del potere partitico.
c) nel rilancio della democrazia interna del sindacato. È su questo terreno che il sindacato gioca oggi tutta la propria credibilità e il proprio prestigio. Per resistere alle pressioni partitiche il sindacato deve possedere almeno quei requisiti di legittimazione democratica che i partiti, pur con tutti i difetti, traggono da una frequente consultazione popolare. Proprio perché il sindacato è venuto acquisendo attraverso la concertazione, una funzione decisionale su materie che, come il fisco, e la politica dei redditi, riguardano la generalità dei cittadini, deve possedere le carte in regola sul piano della rappresentatività dei lavoratori e della democrazia interna. Esiste poi ancora una domanda centrale per il futuro del sindacato. Con la presenza di una miriade di piccole iniziative sommerse presenti nel territorio quale può essere la presenza oggi del sindacato, di un sindacato che, tra l'altro, appare ancora modellato sulle grandi concentrazioni industriali del pubblico impiego? È questo infatti l'interrogativo di fondo cui un sindacato come la Cisl deve dare risposte non evasive se intende recitare un ruolo sempre più incisivo nella vita presente e futura del nostro paese.

















