Sindacato

Sindacato oggi: corresponsabilità o contestazione?

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Nuova Politica - Sindacato oggi: corresponsabilità o contestazione?
L'importanza del sindacato nella realtà economica e sociale è riconosciuta anche dal Concilio Vaticano II. L'effettiva autonomia del movimento sindacale dai partiti per un consolidamento della democrazia pluralista. Non nascondersi dietro le inadeguatezze delle altre parti sociali.

Con queste riflessioni vorrei inserirmi nel dibattito sul movimento sindacale aperto da Giorgio Merlo con l'articolo «L'anomalia CISL in una società complessa», apparso su qualche numero addietro di «Nuova Politica». In quell'articolo si affermava che la CISL di Marini riuscirà a diventare forza trainante se orienterà il proprio sforzo in tre direzioni principali: a) l'elaborazione di un progetto riformistico; b) la ripresa del ruolo contrattualistica del sindacato; c) il rilancio della propria democrazia interna.

Considerazioni indubbiamente corrette ma il cui orizzonte va allargato per comprendere le difficoltà e le prospettive non solo della CISL ma del movimento sindacale nel suo complesso.

Che il sindacato sia elemento di fondamentale importanza nella realtà economica e sociale è un dato ormai acquisito da tempo. Lo stesso Concilio Vaticano II nella «Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo» del 7 dicembre 1965 affermava che «tra i diritti fondamentali nella persona umana bisogna annoverare il diritto dei lavoratori di fondare e contribuire ad organizzare rettamente la vita economica...Benché sempre si debba innanzitutto ricorrere ad un dialogo sincero tra le parti, lo sciopero può tuttavia rimanere un mezzo necessario, nonché estremo, per la difesa dei propri diritti e la soddisfazione delle giuste aspirazioni dei lavoratori».

Ma come spesso accade, quando dalle enunciazioni di principio si passa alla concretezza dei fatti le situazioni si complicano notevolmente.

E due ulteriori concretezze, che non erano state approfondite nell'articolo di Giorgio Merlo, con cui si deve confrontare il movimento sindacale riguardano l;i sua effettiva autonomia ed il concetto di unità.

Il discorso sull'autonomia sindacale, in particolare nei confronti dei partiti, è quasi certamente «il problema» per eccellenza della storia ormai pluridecennale del sindacato in Italia.

Nei rapporti fra sindacato e partiti sono state tentate quasi tutte le formule: da quella della «ciHghia di trasmissione» a quella del «collateralismo» e del «sindacalismo politico». Però i risultati sono sempre stati negativi perché in ciascun caso ne uscirà predominante la figura del partito.

Risulta quindi necessario che il sindacato, rimanendo oggettivo ed irrinunciabile un prolungamento politico della propria azione, si confronti con i partiti sulla base di un reciproco rispetto e di una democrazia pluralista. Ne deriva che il sindacato non può allacciare relazioni con chi, sia all'esterno che soprattutto al proprio interno, possiede ancora metodi di operare che non collimano con il concetto di democrazia pluralista. Mi riferisco in concreto all'esperienza storica del «partito di massa di classe», situazione egemonizzata dal movimento comunista e che senza dubbio non coincide con il concetto sopra espresso.

Una effettiva autonomia del movimento sindacale nei confronti dei partiti, anche in conseguenza della complessa situazione politica nazionale, si può concretizzare attraverso la formula di un reale apartitismo o meglio, per usare le parole di Mario Romani in «Sindacato e sistema democratico», «che lasci impregiudicate le scelte politiche dei suoi iscritti e che sia portatore di una concezione della vita e della libertà che possa abbracciare un larghissimo campo di persone, di cittadini, di lavoratori».

Per quanto riguarda la seconda questione che ho voluto sollevare, il concetto di unità sindacale inteso come rapporto fra sindacati diversi, bisogna sottolineare come esista una contraddizione tra l'affrontare il punto d'arrivo, ovvero l'unità, ed il non tenere presente il dato reale di partenza, ovvero l'identità estremamente diversa sia ideale che storica deile varie associazioni sindacali. Non si può sostenere che l'autonomia sindacale si realizza solamente tramite una unità organizzativa del sindacato medesimo, in quanto questo ha dato luogo a situazioni di subalternità e strumentalizzazione sia nel comportamento degli iscritti che nelle ideologie da essi professate.

Un sindacato che operi per un reale consolidamento della democrazia pluralista in un quadro dove questa è sempre stata debole, necessita che si ponga in un continuo ed apregiudiziale confronto con le realtà soprattutto interne prima ancora che esterne. Un confronto che una unità d'azione consente ed anzi stimola, ma che non può essere ingabbiato nella formula dell'unanimismo a tutti i costi.

Si rende perciò indispensabile una svolta culturale da parte del sindacato, nel senso di una modifica sia del modo di analizzare la realtà sociale in cui si trova ad operare, sia delle posizioni intransigenti e di retroguardia che in conseguenza di tali analisi viene talvolta a porsi. In altre parole bisogna che vengano colti ed analizzati in maniera oggettiva le trasformazioni in atto nella società civile nonché i processi di continua diversificazione delle esigenze di individui e gruppi nel tessuto sociale. Il sindacato, nella necessità di dovere rigettare in modo definitivo la teoria del crollo del sistema capitalistico, deve escludere dal suo operare la visione classista dei conflitti che lo coinvolgono in quanto questa visione lo relega in una posizione strumentale e subalterna nei confronti dei partiti.

Bisogna soprattutto che il movimento sindacale assuma in maniera completa il proprio ruolo e le proprie responsabilità, non nascondendosi dietro le inadeguatezze delle altre parti sociali e del potere politico ma avendo sempre presente che la tutela degli interessi dei lavoratori è garantita in maniera preminente dal generale progresso economico della società e non solamente di alcune sue classi o neocorporazioni.

Quel paese in bianco e nero
Nicola Graziani

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