Vanoni

Lo schema Vanoni trent'anni dopo

Nuova Politica - Lo schema Vanoni trent'anni dopo pagina 4
Nuova Politica - Lo schema Vanoni trent'anni dopo
Nuova Politica - Lo schema Vanoni trent'anni dopo
«Nuova Politica» pubblica una sintesi della relazione introduttiva dell'on. Fracanzani, sottosegretario al tesoro, al convegno di Abano Terme dello scorso gennaio. La scelta di Vanoni, di uno schema di progetto non utopico ma possibile resta ancora oggi attuale, specie in relazione all'obiettivo principale da conseguire: la piena occupazione.

Nel gennaio di 30 anni fa, veniva presentato al Parlamento in bozza (non ebbe mai un'edizione definitiva) un elaborato di un centinaio di pagine destinato a diventare uno dei più importanti documenti di politica economica italiana del secondo dopoguerra.

Quel documento, lo «Schema per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia nel periodo 1955-1964» non è solo da celebrare ma da rianalizzare per scoprire se può fornire indicazioni utili ai fini della attuale politica economica.

Esso nacque politicamente nel giugno del 1954 quando, conclusa ormai la fase di ricostruzione dell'economia italiana delle distruzioni della guerra, il quinto Congresso Nazionale della D.C., riunitosi a Napoli, lanciò l'idea di un «piano verso la giustizia sociale» affidando al Consiglio Nazionale il compito di «elaborare, con l'aiuto di economisti ed esperti, un programma integrale poliennale di un futuro sviluppo economico».

La preparazione del documento (che si preferì chiamare schema e non piano) già avviata nei mesi precedenti, si intensificò e fu portata a termine da Ezio Vanoni in tempi 'eccezionalmente brevi. Sintetizzando, lo Schema Vanoni intendeva apportare elementi di efficienza ed efficacia sotto tre profili: un maggiore e migliore coinvolgimento nei processi produttivi delle risorse disoccupate; una utilizzazione del polo pubblico concepito come strumento e non come fine a se stesso, in termini non solamente congiunturali, ma anche di trasformazione e indirizzo della struttura industriale italiana; una distribuzione del reddito più marcatamente orientata verso il risparmio e gli investimenti.

Quest'ultimo obiettivo – ed è uno degli aspetti di attualità di Vanoni – andava perseguito anche attraverso una riforma della leva fiscale che non aveva solo il ruolo, pur fondamentale, di assicurare una più certa giustizia distributiva, ma anche di garantire che il maggior valore aggiunto prodotto vedesse un trend crescente degli investimenti appunto attraverso un equo prelievo. E tutto ciò doveva realizzarsi in un quadro di generalizzato consenso sociale, perché un ragionevole contenimento della quota destinata ai consumi andava letto in prospettiva, come maggiore investimento, migliore utilizzo delle risorse e, in definitiva, maggiore occupazione.

Lo Schema, peraltro, non ebbe mai una approvazione formale, e, perciò non venne compiutamente strumentato. La ragione di ciò risiedeva nel fatto che l'intuizione di Vanoni non fu ben compresa. La sinistra massimalista non lo accettò (per non «svendere la rivoluzione contro un piatto di lenticchie») poiché propugnava un programma con maggior forza coercitiva. La sinistra riformista ne comprese l'importanza ma fu tiepida; l'ala sindacale temette di impegnarsi a favore dello schema per le conseguenze che esso avrebbe potuto avere sul livello dei consumi dei lavoratori.

Vanoni cercò inutilmente di superare queste preoccupazioni esplicitando che era importante «indirizzare» i consumi per allargare il f1usso delle risorse destinate alla crescita economica. Fu osteggiato da destra per timori dirigistici. Einaudi espressecritiche alloSchema in una sua «predica inutile». La stessa D.C. finì col non portare avanti lo schema con tutta la decisione che meritava. D'altra parte, la validità delle intuizioni di Vanoni portò alla realizzazione di grandi iniziative (l'intervento nel Mezzogiorno, il ruolo del «pubblico» l'industrializzazione ecc.) a dimostrazione che l'obiettivo dell'occupazione riuscì ad informare di sé settori estremamente rilevanti del mondo politico ed economico, tanto che la suggestione dello Schema resta ancora oggi più forte di quella di tanti altri tentativi di programmazione avanzati in epoche chiama comunemente Piano, anziché Schema).

Fra il tempo dello schema Vanoni e quello attuale ci sono analogie evidenti. Si è riaperto il problema occupazionale. Oggi come allora c'è la necessità di creare quattro milioni di posti di lavoro in dieci anni. Allora la disoccupazione nasceva dall'esodo agricolo, dalla crescita insufficiente dell'industria. ma anche da unosviluppo globale più basso dell'incremento della produttività. Oggi la disoccupazione nasce dalla riduzione dei posti di lavoro nell'industria – un processo inevitabile, ma non necessariamente ai ritmi attuali –, dalla crescita insufficiente del terziario avanzato; ma anche oggi da uno sviluppo globale più basso dell'incremento della produttività. Oggi come allora si sente il bisogno di un progetto, di un quadro di riferimento, desunto dalla realtà delle cose, perché la vita economica (a livello micro e a livello macro) possa svolgersi in modo più ordinato, con un grado minore di incertezza, con una maggiore dose di consenso. Sempre più si dimostra come un più armonico sviluppo qualitativo non solo sia indispensabile ai fini sociali e civili – in una parola democratici – ma anche per garantire una continuità allo stesso sviluppo quantitativo.

Oggi il problema della disoccupazione deve essere visto con lo stesso spirito risolutore. tenendo conto peraltro dei fatti nuovi.

Le cifre parlano da sole: nella CEE i senza lavoro sono arrivati a circa 13 milioni, pari a quasi l' 11% della popolazione attiva (e, in Italia, a più di 2 milioni e mezzo) e cioè a livelli che non erano mai stati raggiunti dalla fine del secondo conflitto mondiale. E di questi disoccupati poi, ben oltre 1/3 è costituito da giovani sotto i 25 anni (in Italia ci si avvicina al 50%). Se si tiene conto dei giovani fino a 29 anni. in Italia la percentuale di costoro sul totale dei disoccupati arriva al 75%. È stato calcolato che nel giro di alcuni anni se non ci saranno correzioni di rotta si corre il rischio che la generalità dei giovani successive (e forse proprio per questo si rimanga in area di parcheggio prima di avere un posto mediamente per 3 anni. Sono evidenti gli effetti dirompenti di una tale situazione e di una tale prospettiva in termini sociali; ma anche in termini civili sarebbe intaccata, e pesantemente, la credibilità delle stesse istituzioni. Per l'Azienda Italia, come per l'Azienda Europa, anche sotto il profilo economico, nuovi livelli di disoccupazione non pagano: i costi sono maggiori dei benefici. Rappresenta un grave sperpero anche in termini economici; accresce infatti e non diminuisce le spinte verso lo stato assistenziale, accresce il deficit pubblico di parte corrente.

Che fare dunque?

L'indispensabile impegno a livello comunitario non può sostituire un più specifico e coordinato impegno a livello nazionale.

Ci sono regole vecchie che presiedono al funzionamento del mercato del lavoro in Italia. Occorre rendere più elastico questo mercato per facilitare l'incontro tra domanda ed offerta di lavoro aggredendo una disoccupazione di attrito che in Italia ha notevole peso. Favorire l'occupazione con tutte le possibili novità di tipo istituzionale (modifica dell'apprendistato, mobilità, formazione-lavoro, salario di ingresso, contratti di solidarietà) è dunque necessario.

Ancora, occorre affrontare seriamente e concretamente insieme il problema della riduzione dell'orario settimanale di lavoro, fatta salva la competitività delle imprese. L'introduzione del parttime nella Pubblica Amministrazione potrà liberare occasioni di lavoro per i giovani, anche in forma massiccia. Ma occorre soprattutto, come ci ha insegnato Vanoni, una politica, una politica economico-finanziaria che, nel suo complesso, sia finalizzata all'occupazione; senza di che piani straordinari per la creazione di migliaia di posti di lavoro per i giovani e nel Mezzogiorno anche significativi rischierebberodi fermarsi nei fatti in momenti di assistenzialismo, riproducendo i limiti di leggi come la 285.

È necessario che le singole leggi, ma anche le singole «politiche» vengano coordinate intornoall'obiettivo dell'occupazione.

Il che presuppone anche il definitivo superamento dell'ottica dei «due tempi» e cioè quella che posticipa l'impegno per l'occupazione rispetto ad altri impegni.

In tal modo l'occupazione da variabile residuale diviene vincolo delle politiche economiche.

Ciò significa ridurre e qualificare la spesa pubblica di parte corrente allo scopo di canalizzare maggiori risorse verso gli investimenti pubblici e privati creatori di occupazione. Naturalmente avendo coscienza che il rapporto investimenti-occupazione è molto più complesso oggi che ai tempi di Vanoni: in ragione della compresenza di nuove tecnologie e insufficiente tasso di sviluppo. Ciò significa, ancora, che le politiche monetarie e finanziarie, particolarmente in termini di tassi di interesse, non debbono essere indifferenti rispetto a quel vincolo, pur tenendo conto del quadro internazionale. Analogamente, si debbono inserire in questo discorso organico tutte le altre politiche, da quelle industriali a quelle fiscali, a quelle della ricerca, e così via. Più in generale, ciò significa che la politica di rigore va portata avanti, e tuttavia nella chiara coscienza. e nella dimostrazione con i fatti, che non è fine a se stessa, ma vincolata – appunto – all'obiettivo occupazionale; il che comporta che il rigore non va parametrato in semplici termini finanziari, ma in relazione all'economia reale.

Le grandi trasformazioni in corso, particolarmente i processi di innovazione tecnologica, nel maggior ruolo che deve essere dato al terziario avanzato, richiedono anche sforzi di sburocratizzazione, di avviare una deregulation, ma non una deregulation selvaggia.

Si devono evitare «vuoti» che penalizzano i più deboli, ma che rendono anche ingovernabile il quadro complessivo, lasciando spazio alle leggi della giungla. Sul caso Mediobanca, ad esempio, si possono avere varie opinioni, ma

non c'è dubbio che tutti dovrebbero essere d'accordo su un punto: che questo caso richiama la necessità di regole generali che garantiscano la trasparenza, la responsabilizzazione dei comportamenti, per evitare sopraffazioni, per di più occulte, sia pubbliche che private. Il governo dell'economia richiede certo il superamento di vecchie regole, ma ne esige anche di nuove in termini nessibili ed incisivi insieme che diano un quadro di riferimento, che orientino e favoriscano le autonome forze vive del mercato particolarmente verso l'obiettivo dell'occupazione.

E non è senza significato anche per l'oggi come lo Schema Vanoni fosse rivolto prima di tutto allo Stato ed al Governo pubblico dell'economia. Il problema tanto dibattuto della «strumentazione» dello Schema implicava come primo mezzo della sua realizzazione la efficienza della pubblica amministrazione che deve valorizzare e non impoverire, in termini di effetti, le risorse che gestisce, raccolte attraverso il prelievo fiscale e l'indebitamento.

Sempre più si dimostra come la scelta di Vanoni di uno schema di un progetto non utopico, ma possib(le, sia importante e attuale per la sua valenza, innanzitutto culturale, poi economica e quindi sociale, civile e politica.

Anche perché finora si è detto di numeri, di grandi cifre, ma non dobbiamo mai dimenticare come dietro ogni singolo numero che va a comporre la cifra complessiva dei disoccupati, c'è una persona con i suoi bisogni, i suoi problemi, i suoi diritti e per la quale il diritto al lavoro oltre ad essere fondamentale in sé, è il passaggio obbligato per la realizzazione degli altri diritti essenziali.

1985: la primavera inizia il 12 marzo?
Giuseppe Lugato
L'Italia s'è ...rotta
Stefano Sandroni

Articoli correlati

Totale: 23
Mezzogiorno
Dopo la liquidazione della Cassa per il mezzogiorno è urgente trovare nuove soluzioni per lo sviluppo di un Sud in costante evoluzione. Disoccupazione giovanile e riqualificazione del mondo produttivo i temi più importanti sul tappeto.
Mondo universitario
Un campione statistico di livello nazionale dimostra che i sacrifici alla fine pagano: oltre il 90 per cento dei laureati trova un lavoro che gli va a genio. Ne parla l'autore del libro «II mestiere del laureato».
Lavoro
La vittoria del fronte del NO nell'ultimo referendum ha determinato la vittoria della politica del lavoro. Nel fronte del NO anche organizzazioni che non avevano firmato gli accordi del 14 febbraio.
Mezzogiorno
Necessità di una rinnovata politica non più tesa verso l'intervento-tampone, ma a favore della ripresa e dello sviluppo del Sud, risolvendo soprattutto la disoccupazione.
Disoccupazione
Le possibili strade per arginare l'aumento della disoccupazione giovanile. Un cambiamento della mentalità dei cittadini per passare dalla fase delle richieste ad un maggior spirito di iniziativa.
Occupazione giovanile
La strada delle risposte concrete è forse cambiata con la legge De Vito. Migliorare l'efficienza del sistema formativo. La maggior parte dei giovani non si sente preparata all'appuntamento con il lavoro.
Mozioni
Publichiamo le mozioni presentate dal Movimento Giovanile e approvate al Congresso. La pace, il servizio di leva, l'ambiente, l'occupazione giovanile, il referendum per la riforma organizzativa.
Occupazione giovanile
Le nuove linee di politica economica e sociale dei giovani dc illustrate dal responsabile dell'ufficio nazionale per i problemi dell'occupazione giovanile
Dibattiti
Una recente polemica su di uno spot televisivo in cui il contratto di «formazione-lavoro» veniva presentato come il frutto di un accidentato «percorso di guerra» è all'origine di una prima riflessione su questo strumento.
Economia
Per capirne un po' più sulle scelte economiche del governo De Mita in tema di finanziaria '89.
Dalla tavola rotonda di ieri emerge la necessità di puntare alla piena valorizzazione delle risorse umane.
Stato sociale, società civile