Occupazione giovanile

Disoccupazione solidarismo welfare state

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Nuova Politica - Disoccupazione solidarismo welfare state
Le nuove linee di politica economica e sociale dei giovani dc illustrate dal responsabile dell'ufficio nazionale per i problemi dell'occupazione giovanile

Le trasformazioni sociali, culturali e politiche che investono le strutture fondamentali della nostra società, creano i presupposti necessari per affrontare le sfide e i cambiamenti dell'era post-industriale. In questo contesto transitorio e dinamico nel quale ci troviamo ad operare, emergono nuovi bisogni ed esigenze, ai quali bisogna dare risposte adeguate, in termini sociali e progettuali.

È per questo che il nostro partito deve svolgere un ruolo nuovo, lontano dalle tendenze del passato, rischiose sia come progetto culturale che come proposta politica, caratterizzato dalla ricerca della qualità sociale dello sviluppo, orientato all'umanizzazione e alla solidarietà, ancorato ad una concezione laica della politica, senza però dimenticare le nostre radici cristiane, impegnato in una linea di collaborazione tra Stato e società civile.

La DC deve quindi riprender il dialogo con la propria base popolare e interpretare i bisogni sociali e culturali nel senso della solidarietà e non delle logiche individualistiche e neocapitalistiche di un mercato selvaggio, che ponendosi come obiettivo principale laricerca del profitto, dell'efficienza, del successo egoistico e personale, porta inevitabilmente all'emarginazione delle nuove generazioni e di larghi strati di lavoratori, di donne, di ceti deboli.

Il primo presupposto è quindi la diffusione di una cultura della solidarietà che metta al centro la persona con le incertezze, le sue inquietudini interiori e la sua esigenza comunitaria, e che ricerchi le condizioni per farsi testimonianza radicale.

È sulla base di questi principi che credo che il tema delle cd. «nuove povertà» (famiglie monoreddito, persone sole, handicappati, tossicodipendenti, disoccupati di aree territoriali particolarmente depresse), così come le «vecchie povertà», vada risolto in una ottica diversa, in grado di riempire gli enormi spazi di bisogno lasciati scoperti dal nostro sistema sociale.

Va quindi superato l'attuale modello di sviluppo, per garantire ad ognuno la possibilità di beneficiare delle sue potenzialità, eliminando le crescenti disuguaglianze sociali e le emarginazioni, frutto di una società post-industriale priva di un progetto per l'uomo. Le nuove tecnologie informatiche e telematiche possono sì migliorare la qualità del lavoro e della vita, ma se manca un'etica, una morale, un obiettivo di fondo comportano notevoli rischi che possono penalizzare l'uomo e i suoi valori.

E in un orizzonte più vasto va rivista la concezione dello Stato sociale, che va qualificato con iniziative capaci di valorizzare la dimensione del «privato sociale», riducendo gli interventi centralistici dello Stato di stampo socialcomunista, a favore di attività autorganizzate che permettano all'uomo di provvedere nel miglior modo al soddisfacimento dei propri bisogni.

Si tratta in altre parole di superare la dicotomia Stato-mercato e le frasi fatte tipo «meno Stato-più mercato» per raggiungere una «terza dimensione» o «terzo settore», il «privato-sociale», che corrisponde ad una reale differenziazione ed evoluzione sociale.

Si realizzerebbe così quello scenario tripolare, delineato da molteplici studiosi (Ardigò, Donati, Schmitter), in cui molti servizi sono gestiti e offerti da forze sociali che si coagulano autonomamente formando una «terza dimensione» tra Stato e mercato.

In questo modo il Welfare pubblico garantirebbe continuamente un livello minimo di servizi necessari, mentre chi desidera servizi aggiuntivi, sia integrati che alternativi, potrebbe rivolgersi al terzo settore che agisce in un quadro normativo nuovo, flessibile, regolato secondo l'ispirazione (di profitto o solidaristica) di questi diversi organismi associativi.

Riqualificare e non ridurre lo Stato sociale quindi, attraverso il controllo della gestione e della spesa, il coinvolgimento della società civile e delle sue organizzazioni di servizio e di volontariato, la considerazione della centralità del soggetto famiglia e delle sue relazioni economico-sociali ed economiche.

Per valorizzare queste proposte mi sembra opportuno rivalutare le conclusioni della Commissione Gorrieri, tra le quali va considerata quella dell'«assegno sociale» con cui si intende distribuire con criteri diversi la spesa assistenziale, per fasce orizzontali (famiglie) e non per categorie o per singoli soggetti, in proporzione alla domanda, alle condizioni di maggior bisogno e a seconda della struttura redditoriale e della composizione numerica delle famiglie.

L'introduzione dell'assegno sociale rappresenta senz'altro una svolta notevole sul terreno della politica di sicurezza sociale, e un modo efficace per quella riqualificazione dello Stato sociale a cui si contrapporrà sicuramente una parte dei fautori delle politiche clietelari e contro i quali ritengo i giovani DC debbano prendere una decisa posizione.

La solidarietà sociale non può poi prescindere dai grandi temi economici di questo momento, e che hanno una particolare rilevanza per le nuove generazioni.

Ma prima di occuparmi di disoccupazione giovanile, voglio porre l'attenzione su un aspetto economico della solidarietà sociale che viene spesso trascurata: mi riferisco alla necessità improrogabile di perseguire il più effica-

cemente possibile un equilibrio tra i popoli attraverso l'uso reciproco delle risorse, sollecitando i paesi industrializzati ad impegnarsi in politiche di sostegno e di sviluppo verso quei paesi più poveri o in via di risanamento e di modernizzazione.

Sarebbe necessario trasferire una piccola parte della loro ricchezza aggiuntiva (non solo finanziaria ma anche tecnologica) per poter trasformare le economie povere ed evitare che alle soglie del nuovo secolo 2 miliardi di uomini in miseria denuncino l'incapacità degli altri a gestire la ricchezza.

Corrispondono infatti ad un principio cristiano le iniziative riproduttive e redistributive di reddito da condividere con nuovi fattori della produzione.

Non meno drammatico è certamente il problema della disoccupazione giovanile, se non altro perché ci riguarda più da vicino e pone implicazioni di più vasta portata. Tanto più che esso comincerà a diventare meno acuto solo a partire dal 2000, in quanto il nodo critico della partecipazione dei giovani al lavoro può essere individuato nel 1994: fino a quell'anno le classi in ingresso nella popolazione in età da lavoro risulteranno ancora più numerose delle classi in età da uscita.

Va inoltre notato come la mancanza di lavoro sia sinonimo di non rispetto e valorizzazione della persona umana. È un problema, quello della disoccupazione, che va quindi risolto con un impegno «molecolare», compiuto da tutti (individui, famiglie, imprese, enti locali), considerando anche il progressivo mutamento della natura del problema occupazionale del nostro paese, dove i giovani e le donne con diploma finiscono per essere le categorie più deboli. Si riconosce infatti un elevata dose di soggettività da parte dei giovani di rifiuto di determinati tipi di lavoro, considerati inadeguati e inappropriati.

D'altro lato le richieste del nostro sistema produttivo stanno evidenziando esigenze di flessibilità ed elasticità, a cui si contrappore un inadeguato ordinamento legislativo e un mercato del lavoro governato da schemi rigidi e da garanzie che scoraggiano l'assunzione di nuova manodopera.

È necessario quindi in primo luogo allentare tale rigidità attraverso interventi di ordine macroeconomico per ridurre gli schematismi esistenti e per un aggiornamento del sistema scolastico, e interventi di ordine microeconomico che agiscano sull'organizzazione del mercato del lavoro locale.

Una politica attiva del lavoro può servirsi di diversi strumenti specifici, tra i quali ci sembra utile ricordare i contratti di solidarietà (sia espansivi che difensivi), di formazione-lavoro e infine il c.d. «salario d'ingresso» per i giovani, con una retribuzione per i primi 3/4 anni ridotta del 20/30%.

La flessibilità richiesta valorizza quindi un nuovo modo di ridurre, che privilegia l'impresa minore, la crescita di una imprenditorialità originale e diffusa, la terziarizzazione complessiva del1'economia.

Verso il lavoro «modulare»

Questo discorso si inserisce perfettamente nello scenario dei prossimi anni, quando in Italia si avrà un forte sviluppo dei settori di servizio, che sono ad alto contenuto occupazionale, ed una diffusione di attività lavorative «modularizzate» (lavoro part-time», temporaneo, stagionale) che corrisponde a esigenze diffuse.

In quest'ottica va quindi sostenuto lo strumento delle cooperative giovanili, il cui modello si avvicina maggiormente alle aspettative delle nuove generazioni, in quanto basato sulla conduzione democratica dell'azienda e sulla compartecipazione e corresponsabilizzazione alle decisioni gestionali.

Il rischio che la spinta verso il lavoro indipendente o di piccola imprenditorialità potrebbe generare è quello dell'enfasi dell'individualismo e dell'egoismo personale, che porta ad una perdita delle dimensioni sociali.

Il lavoro indipendente-modulare ha perciò conseguenze sul piano dei valori di solidarietà collettiva, che noi giovani DC ribadiamo con forza sia sul piano etico che su quello politico, per contemperare la solidarietà con i processi reali in atto.

Credo quindi importante sottolineare la necessità di conciliare le opposte tendenze, per una maggiore efficienza, professionalità e managerialità, purché questo non vada a scapito dei bisogni di altri individui e della solidarietà sociale, in quanto nel complesso ciò andrebbe a scapito del benessere collettivo e dei valori della persona.

Cronache di morti annunciate
Flavio Piva
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