Per ridare un'anima alla politica
Abbiamo chiesto a Padre Bartolomeo Sorge di aiutarci nella nostra riflessione sulla «Sollecitudo rei socialis».
Padre Sorge, il Papa parla di «caratteristiche di continuità e rinnovamento all'interno della dottrina sociale della Chiesa». Quale è la linea di continuità e quali le novità di questa Enciclica?
Penso che tre siano le novità fondamentali: la prima è la dimensione planetaria dell'Enciclica e della riflessione della Chiesa sulla questione sociale, la quale ha avuto un'evoluzione straordinaria nell'ultimo secolo. Ai tempi della
«Rerum Novarum» si trattava essenzialmente di un conflitto tra la classe proletaria e quella imprenditoriale. Quando Pio Xl, 40 anni dopo, scrive la «Quadragesimo anno», la questione sociale era già diventata questione di organizzazione nazionale dell'economia: c'era stata la rivoluzione d'ottobre, quindi si confrontavano già due modi di organizzare il lavoro, c'era stato il crollo di Wall Street, la questione sociale era già problema nazionale. Con la «Mater et Magistra» di Papa Giovanni e l' «Octogesima Adveniens» e la «Populorum Progressio» di Paolo VI si affaccia già l'aspetto mondiale della questione sociale, che non è più problema nazionale, ma questione di equilibrio Nord-Sud, svilupposottosviluppo. Giovanni Paolo II nella «Laborem Exercens» e in questa nuova Enciclica parla di una questione sociale di natura addirittura non più quantitativa, ma qualitativa.
La seconda novità riguarda il concetto di sviluppo. Occorre ripensare questo concetto, perché, dice il Papa, si è fatto l'errore di ridurre lo sviluppo al solo aspetto economico. Così la priorità dell'avere ha finito col togliere all'uomo, o diminuirne, l'essere. Bisogna allora che si ritorni a considerare lo sviluppo nella sua realtà complessa, nel suo aspetto sociale, culturale e, il Papa insiste su questo punto, anche religioso, poiché la religione ha rilevanza sociale. La terza grande novità dell'Enciclica riguarda l'intervento della Chiesa in questa materia. Il Papa sottolinea che la dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via», non è una visione ideologica alternativa alle altre, ma è una categoria diversa, una riflessione che partendo da motivi etici e religiosi può interessare la soluzione della questione sociale. In questo c'è una vera novità nella continuità, poiché i temi sviluppati in tutto il Magistero anteriore trovano ora una prima riflessione organica, finora mai attuata in questi termini e in questa prospettiva.
Il termine «responsabilità» è usato frequentemente nell'Enciclica, responsabilità individuale e di tutte le Nazioni nei confronti del vero sviluppo. Quali sono queste responsabilità?
Il concetto di responsabilità è legato nell'Enciclica al senso dell'interdipendenza che collega le economie fra di loro. Poichè stiamo andando verso un nuovo ordine economico internazionale, il Papa sottolinea che queste tendenze di mondializzazione esigono ormai la convergenza degli interessi e anche delle soluzioni. Non è possibile realizzare uno sviluppo umano se non si tiene conto della responsabilità verso il sottosviluppo. Si è creata una forbice tra super-sviluppo e sottosviluppo, ma, fa notare il Papa, entrambi non sono sviluppo. L'elemento fondamentale per lo sviluppo veramente umano è la solidarietà.
È interessante ciò che il Papa dice sul supersviluppo: esso non rende felice l'uomo, lo mortifica nell'essere. Dovremmo renderci conto che solo la solidarietà, il subordinare lo stesso sviluppo all'elemento umano, può portare alla pace e alla giustizia. Questi concetti di interdipendenza e solidarietà sono molto sottolineati, in particolare quando il Papa afferma che proprio le nazioni più ricche dovrebbero maggiormente sentire il dovere morale di preoccuparsi di lavorare e di crescere insieme ai Paesi sottosviluppati. Questa anima etica da dare allo sviluppo, credo sia il grande messaggio dell'Enciclica.
Lo sviluppo, dice il Papa, «o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso». Lei crede che questa sia una consapevolezza diffusa nel mondo di oggi?
Certamente no. Lo dimostrano le reazioni venute sulla stampa soprattutto dagli ambienti laico-borghesi. È tornato a galla il vecchio pregiudizio del profitto come motore dello sviluppo, la vecchia ideologia liberale classica che è dura a morire, ma che ormai è smentita dalla storia. Il Papa non teorizza, si limita a rilevare che, in quesµanni di enorme sviluppo, dell'era tecnologica, il superamento della fase industriale dimostra che se manca questa visione globale di uno sviluppo ordinato la ricchezza da sola non risolverà i problemi dello sviluppo umano.
Il Papa afferma che le concezioni dello sviluppo dell'Occidente e de/l'Oriente sono entrambe imperfette ed «esigono una radicale correzione» però afferma anche che la dottrina sociale cristiana non è una «terza via». Allora quale è la strada giusta?
Ci sono da chiarire alcuni aspetti che la stampa non ha afferrato. Il Papa non confronta tra loro il sistema capitalistico e quello collettivistico, ma piuttosto condanna la logica intrinseca dei due sistemi che è disumanizzante. Non nega che nei due sistemi si siano raggiunti ragguardevoli traguardi di sviluppo (ad es. nel campo della ricerca scientifica, della tecnologia avanzata, della ricerca spaziale). Sarebbe assurdo negare questi elementi positivi. Ciononostante è la logica economistica che è sbagliata: si pone il primato sull'efficienza economica come fine a se stessa, cosicché l'uomo viene strumentalizzato. Il Papa dice che bisogna uscire da questa logica disumanizzante. Non dice altro. Alcuni articoli apparsi stil Corriere della Sera e sul Sole 24 ore mostrano rabbia perché il Papa metterebbe sullo stesso piano Sovietici e Occidentali. Non è questo il senso ed è chiaro nell'affermazione che la dottrina sociale della Chiesa non è una «terza via».
La categoria di questa dottrina è di natura etica e religiosa e quindi si pone un piano diverso e, diventando coscienza critica, propone un messaggio etico.
Vuole spiegarci quale è la distinzione tra il diritto alla proprietà privata, legittimo, e «il possesso in modo irrispettoso della «qualità e dell'ordinata gerarchia dei beni che si hanno»?
La proprietà privata è un diritto fondamentale perché tutela la stessa dignità della persona umana: il fatto di possedere i mezzi di sussistenza rende l'uomo libero, indipendente, in grado di vivere un'esistenza pienamente umana. Però la proprietà privata ha una dimensione sociale, su di essa grava quella che il Papa chiama «ipoteca sociale». Nell'uso dei beni bisogna tenere conto di questa destinazione comune dei mezzi necessari alla sussistenza. Da qui la necessità di un'equa distribuzione dei beni. Di non sciupare quello che per ciascuno non è necessario, perché è proprietà dei poveri. È interessante sottolineare quel discorso che ha avuto grande eco sui beni della Chiesa. Il Papa dice che gli oggetti destinati al culto devono essere disponibili ad essere investiti per i poveri, in virtù proprio di questa dimensione sociale, perché essi appartengono a loro, come hanno affezione anche i Padri della Chiesa.
Che significa parlare di «strutture di peccato»?
Questo è un concetto nuovo nella dottrina sociale cristiana, è l'accettazione di un concetto e di una consapevolezza maturata negli ultimi tempi: il concetto di peccato sociale.
Ci sono delle responsabità morali che sono sempre personali, il peccato non c'è senza una volontà. Il peccato e le strutture di peccato sono sempre radicate nel comportamento dell'uomo. Ci sono alcune responsabilità puramente soggettive, altre, anche se si potrebbe dire che il peccato ha sempre ripercussioni sociali, che hanno natura strutturale. Noi possiamo dal punto di vista egoistico mettere insieme rapporti e strutture che sono obbiettivamente contrarie al piano di Dio e alla dignità dell'uomo. In passato il pensiero cattolico aveva sottovalutato l'aspetto strutturale: si parlava di responsabilità personali e soggettive, cose verissime, ma si sottovalutava l'esistenza del cambiamento strutturale. Bisogna però su questo punto essere molto equilibrati: sapere che le strutture hanno valore strumentale e che ci possono essere strutture veramente devianti per responsabilità personali dell'uomo, ma bisogna anche dire che le strutture più belle e più giuste, se non ci fosse l'uomo che lavora secondo coscienza, non servirebbero a salvarlo. Bisogna riflettere sulla necessità di un cambiamento strutturale, con impegno cristiano per aderire alla volontà di Dio.
La «brama esclusiva di profitto e la sete di potere» sono indicati dal Papa come gli ostacoli più forti al vero sviluppo. Questa affermazione del Papa che problema pone a giovani che vogliono impegnarsi in politica?
Pone un problema fondamentale tipico di chi vuol impegnarsi ispirandosi ai valori cristiani: quello di dare un'anima alla politica. Qui sta la sfida specifica di chi oggi voglia far politica seguendo gli insegnamenti del Vangelo. Una politica senza anima diventa ricerca del potere, lottizzazione, clientelismo, correntismo. Sono queste deviazioni che hanno tolto ogni affermazione ai giovani verso la politica, ritenuta sporca e immeritevole di attenzione. La sfida che nasce dalle parole del Papa per dei giovani che sentono la politica come vocazione, per realizzare in modo cristiano questo impegno, è quella di ridare un'anima culturale, ideale, un'attenzione etica alla politica. lo vedo in questo il grave problema di oggi: i partiti hanno perduto l'anima, la cultura, rischiano diventare pragmatisti e tutti uguali, centro, destra e sinistra.
Se manca la spinta ideale non si risolve il problema.
Quindi soprattutto i credenti, che hanno nella fede cristiana fonte di ispirazione, sono chiamati a ridare un'anima alla politica.

































