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Nuova Politica - A proposito di moralità
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Il costo delle campagne elettorali non permette di offrire le condizioni di partenza uguali per tutti, condizionando ingiustamente la selezione della classe dirigente.

All'indomani del voto del 14 giugno, Dario Franceschini iniziò dalle colonne del «Popolo» una riflessione sul modo di selezionare la classe dirigente nel nostro paese: un passaggio decisivo non solo per la politica nel suo complesso, ma per la moralizzazione della vita pubblica italiana. È una tematica che non possiamo relativizzare nè affrontare in momenti particolari e lontani dalla competizione elettorale: ne va della stessa credibilità del nostro sistema democratico, della articolazione dei partiti e dei rapporti con la società civile.

Fra le tante analisi del voto, infatti, alcune stentano ad emergere dalle sedi dei partiti con chiarezza e trasparenza: il costo per le campagne elettorali, ovvero il denaro speso per accedere a Montecitorio. È un capitolo della politica italiana da sempre accantonato e affrontato di striscio, con la paura di mettere a repentaglio la veloce credibilità accreditatasi in campagna elettorale con qualsiasi mezzo pubblicitario, dalla stampa alla televisione, dalle megacene ai depliants, dai manifesti alle tavole rotonde apologetiche Non è un problema con valenze moralistiche: è la ragione e la sostanza della stessa democrazia: ovvero, offrire le condizioni di partenza uguali per tutti, senza distinzione nè di ceto, nè di classe, nè di cultura. La selezione della classe dirigente, al suo massimo livello, non può e non deve ridursi al denaro disponibile di ciascun candidato. Lo stesso quorum di preferenze richiesto in quest'ultima consultazione elettorale è il frutto perverso di affrontare una competizione a suon di decine di milioni, dimenticando e banalizzando l'espressività, la competenza, la moralità della persona. Orbene, credo che sia impossibile richiamarsi per esempio, alla matrice popolare del partito, e impedire di fatto, seppur formalmente il ragionamento sia ineccepibile, l'accesso al massimo livello della rappresentanza politica. Se non ci si appresta ad una riforma radicale, peraltro già avanzata da alcune forze politiche, le prossime campagne elettorali verranno appaltate dai singoli candidati – conosciuti o meno, avrà poca importanza – ad imprese pubblicitarie che venderanno il prodotto secondo i canali della modernità e dell'efficientismo.

La militanza politica, l'espressività socio-culturale, la statura morale del candidato, il radicamento territoriale verranno sacrificati sull'altare del denaro investito. Chi più soldi ha, maggiori possibilità di riuscita avrà. Tutto ciò ripropone, con forza e determinazione, e per l'ennesima volta, la «questione morale». Gli stessi rapporti tra partiti e società, e la stessa vita interna dei partiti debbono trovare a breve scadenza una pertinente chiarezza concettuale e una precisa regolamentazione politica. Lo sguardo maggiore va sospinto dunque all'interno dei partiti, della loro vita interna, nella codificazione precisa di comportamenti che rimuovano gli ostacoli – oggi frapposti di accesso al massimo livello di rappresentanza politica. Anzitutto perchè ogni nostra distrazione verso scelte, prassi, attività che si svolgono all'interno dei singoli partiti rischia di rendere inutile o velleitario ogni nostro discorso sul funzionamento complessivo del sistema democratico. Noi riteniamo che l'avvento dei moderni partiti di massa abbia avuto e continui ad avere un ruolo essenziale ed insostituibile nella crescita civile enell'educazione democratica del nostro paese: e ciò per la funzione di amalgama, di unificazione e di integrazione nella comunità nazionale e locale che i partiti hanno sempre esercitato nei confronti di vasti ceti popolari altrimenti emarginati o abbandonati alla manipolazione emotiva ed interessata dei vari potentati economici o burocratici. Così pure non abbiamo mai creduto al cosiddetto distacco irreversibile tra partiti e società: l'esperienza storica ha dimostrato come nessun appello diretto al suffragio popolare – dal primo referendum del 1946 a quello dedicato allo stesso finanziamento pubblico dei partiti – abbia sconfessato orientamenti e scelte assunti in precedenza dai partiti politici e dai loro rappresentanti in Parlamento. Ciò significa che il rapporto tra società e partiti è ancora saldo e che questi riescono, nonostante tutto, ad interpretare sentimenti diffusi ed esigenze profondamente radicate nel tessuto sociale del paese. Ma proprjo per questa ragione, la responsabilità dei partiti, in una fase di crisi della nostra democrazia, s'è fatta grande e non tollera distrazioni di sorta. Vogliamo dire, in sostanza, che gli orientamenti, che prevalgono all'interno dei vari partiti, sono, più che mai, in grado non solo di bloccare lo sviluppo in avanti del processo democratico ma anche di vanificare i principi che stanno alla base della nostra convivenza democratica e costituzionale.

Solo attraverso un riesame attento del ruolo dei partiti possono trovare soluzione tutti quei problemi sollevati dalle trasformazioni in atto nella nostra democrazia. Come diceva Moro, tocca allora ai partiti un ruolo decisivo nel favorire il passaggio «dal fatto alla legge, dal particolare al generale». Ma anche qui: come è possibile, da un lato, assegnare ai partiti un compito così importante e delicato e, dall'altro, ignorare ciò che avviene al loro interno e trascurare il fatto che non tutti si richiamano ai principi che sono alla base del nostro patto costituzionale?

Nello stesso momento, però la politica non può essere separata dai valori morali che ispirano la nostra società. In concreto, se a Machiavelli deve essere riconosciuto il merito di avere rivendicato l'autonomia della politica, da Machiavelli non può essere accettato il principio che «il fine giustifica i mezzi»: esistono cioè mezzi che non solo allontanano dal fine ma che racchiudono dentro di sè finalità ben precise e che quindi non possono, in alcun modo essere considerati neutri. Ciò va ribadito con forza, oggi, perchè è purtroppo diffusa una sorta di «doppia moralità» secondo la quale certe cose che non sono consentite all'uomo comune, lo sono quando vengono fatte in nome del partito. Ecco perchè dobbiamo respingere la cosiddetta «morale del risultato» e dobbiamo sempre più interrogarci in ordine alla scelta dei mezzi che vengono utilizzati per raggiungere determinati fini.

L'esigenza di moralizzare la vita pubblica è oggi talmente diffusa e prepotente da riuscire a vincere la stessa capacità di tenuta democratica del sistema dei partiti. Il rischio è che – se non vengono aggredite politicamente le cause vere del fenomeno – la spinta presente nell'opinione pubblica si traduca alla fine in una paurosa ondata qualunquistica capace di travolgere le nostre fragili istituzioni democratiche. Di fronte a questa situazione dei partiti, appare chiaro come la posizione della DC non possa ridursi ad una semplice ritorsione propagandistica o giudizia ria, ma debba tradursi in una precisa e organica -iniziativa politica, materiata da proposte concrete, e suffragata da documentazioni inoppugnabili. Si tratta cioè di formulare un indirizzo globale e articolato in alcune direzioni:

a) proporre la revisione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti con l'introduzione del loro riconoscimento giuridico. Proprio perchè i partiti sono finaziati con denaro pubblico ed assolvono a compiti sempre più rilevanti nello Stato democratico, non possono più essere ritenuti associazioni private nè possono, al loro interno, violare i principi (diritto di voto, tutela delle minoranze, trasparenza finanziaria) su cui regge la nostra convivenza democratica. Si tratta di riprendere alcune intuizioni di Sturzo degli anni '60, di confrontarle con più recenti disegni di legge (Fiori, Azzaro, Spini) e di presentare al Parlamento una proposta organica che miri a tutelare gli iscritti al partito e che neghi i finanziamenti pubblici a quei partiti che, nei loro statuti, non rispettano le norme costituzionali e democratiche;

b)d are attuazione alle regole interne quali, in particolare, superare la norma che assegna al partito e non agli organi costituzionali (dal Comune al Parlamento) la designazione degli incarichi pubblici ai vari livelli;

c) rivedere in senso regionalistico l'organizzazione e l'amministrazione dei partiti. Esistono oggi decine e decine di uffici centrali in settori passati da quindici anni·alle competenze regionali ed il finanziamento pubblico del partito non raggiunge in maniera adeguata l'organizzazione periferica.

Risolvere oggi la «questione morale» significa operare soprattutto in questa direzione e con precise scelte politiche. Fin dal tempo dell'Assemblea Nazionale del 1981 si sente questa esigenza precisa.

E da queste comuni preoccupazioni che le campagne elettorali rischiano di diventare poderose kermesse di investimenti di denaro. Non possiamo rassegnarci, nel futuro, a delegare i nostri rappresentanti al Parlamento sul denaro investito nell'ultimo mese della campagna elettorale!!

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