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Quel male chiamato partitocrazia

Nuova Politica - Quel male chiamato partitocrazia pagina 23

È  stato il cavallo di battaglia di Marco Pannella per molti anni ed oggi la parola è entrata nel lessico comune, ma la prima diagnosi del male "partitocratico" e la scoperta di questa grave patologia del nostro sistema politico è oramai questione di oltre 30 anni fa ed ha un giurista come padre: Giuseppe Maranini.

Partitocrazia, ovvero "governo dei partiti", cioè qualcosa di molto diverso dalla funzione disegnata dall'art.49 della Costituzione. Non più i partiti come strumenti e veicoli del "governo del popolo", ma veri e propri Moloch onnivori, dotati di grande appetito per il potere e di notevole vocazione per l'invasione di campi non di loro pertinenza.

I tesserati e lottizzati d'Italia sono ormai dappertutto: banche, Usl, ma anche teatri stabili, filarmoniche comunali, federazioni sportive e pie case di assistenza. Il vice Presidente del Consiglio Claudio Martelli, in una recente intervista, ha dichiarato che, a suo avviso, sono più di un milione gli italiani imbarcati a vario titolo nel carrozzone partitocratico: uscieri, funzionari, galoppini, professionisti all'ombra di appalti pubblici, segretari particolari dei segretari dei sottosegretari. Un apparato mangia-denaro, melmoso e improduttivo contro il quale lotterebbe senza tregua una società civile sana e virtuosa oramai esausta di dover mostrare la tessera di partito anche per prenotare in tempi accettabili un'analisi del sangue.

Quello che la gente mormora – e magari si limitasse a mormorare – sull'autobus ogni mattina è in buona parte vero, in altra parte dipende da un clima di generica sfiducia che coinvolge il sistema politico nel suo complesso.

La recente questione degli stipendi parlamentari ne è un esempio significativo: assai ingenui sono parsi i tentativi di alcuni deputati di spiegare che 8 milioni non sono molti a fronte dei costi da sostenere. Il problema non sta in quei termini. Dove c'è fiducia o anche passiva adorazione, l'opinione pubblica non si scompone: vedi il caso, non infrequente, dei miliardi percepiti da un ventenne giocatore di calcio o da un presentatore televisivo. La questione vera è la crisi della rappresentanza che legittima gli 8 milioni ad un deputato, l'emolumento ad un amministratore, la designazione dell'amministratore delegato di una banca (chi dovrebbe designarli altrimenti?).

E allora qualche modesto consiglio a tutti noi partitizzati, correntizzati, lottizzati e lottizzatori.

Uscire da dove il controllo politico, democraticamente esercitato tramite i partiti, non serve: gli esempi nella vita di un Comune sono molti e sarebbe offensivo per l'intelligenza dei lettori di questo catalogo giustificare questa tesi con esempi coloriti.

Se lottizzare bisogna, lottizziamo al meglio: partiti e correnti dovrebbero almeno designare le persone migliori di cui dispongono; ad oggi, non risultano lamentele per l'operato di Romano Prodi negli anni dell'Iri.

Un ultimo avviso, forse più di stile che di contenuto. L'italiano non tollera più che non si trovino mai margini di mediazione per la riforma della scala mobile o delle pensioni ma che vengano approvate in un batter d'occhio le leggi che definiscono il tetto del finanziamento pubblico ai partiti: in proposito a gennaio sono usciti sulla GU i decreti che dividevano tra le forze politiche gli 83 miliardi di contributi pubblici.

Sappiamo che, a parlare di queste cose, si rischia sempre l'accusa di semplificazione, ma questo, piacendo o non piacendo, è il clima italiano nell'autunno 1991.

Il partito popolare sturziano
Partiti da buttare o da riformare

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