Riforma dei partiti. Autoriforma o partiti nuovi?
Servono ancora questi partiti? E' la domanda che naturalmente si pone chi oggi si impegna in politica e, quindi, si assume in prima persona la responsabilità di costruire il domani. Di fronte alla crjsi globale di rappresentatività e di funzionalità della forma partito, e soprattutto di fronte allo scollamento sempre più evidente tra partiti e base sociale, ciascuno di noi è chiamato ad una scelta. Davanti a noi una sorta di bivio che necessariamente, poi, deve condurre ad un obiettivo univoco. Che la scelta sia quella di impegnarsi dentro questi partiti o dentro forme nuove di aggregazione politica, l'obiettivo finale per tutti deve essere quello di restituire fiducia nel sistema democratico. Riformare questi partiti, riformare la Dc per restituirle il popolarismo delle origini, o cercare una nuova formula, riformare comunque le istituzioni, sono tutte scelte ricche di variabili diverse, ma che sempre ci chiamano all'impegno attivo.
In questa parte vogliamo proporre due tesi diverse tra loro. Ad una prima lettura le due posizioni appaiono decisamente divergenti. In entrambe, però, si legge la volontà – con strumenti diversi – di superare la crisi attuale. Sono due testimonianze firmate simbolicamente Alfa e Beta. Un' accusa e una difesa riferite ai partiti e in particolare alla Dc. Due tesi che non sono assolutamente esaustive del panorama dei sentimenti politici dell'oggi, ma che servono certamente a stimolare un dibattito impegnativo quanto costruttivo. Ai giovani democratici cristiani l'arduo compito di prendere una posizione, fare delle scelte, per ergersi a soggetti attivi, protagonisti della storia del nostro Paese.
L'accusa
Nel corso della mia breve esperienza politica ho partecipato solo una volta ad un congresso nazionale della Democrazia Cristiana. Era il febbraio del 1989 quando la vecchia classe dirigente del partito pose fine ufficialmente alle speranze di rinnovamento alimentate dalla gestione De Mita (il superamento delle correnti, l'apertura del partito alla società civile, una nuova forma organizzativa), che comunque lo stesso segretario aveva disatteso negli ultimi anni del suo mandato.
Ero tra quelli che crédevano in un processo che potesse fermare l'ascesa dei vecchi leader per far posto al nuovo.
Poi è andata a finire come tutti sappiamo.
Martinazzoli è stato appena nominato segretario con il consenso di quella stessa classe dirigente che ha serie responsabilità nella decadenza del partito negli ultimi quattro anni, mentre venivano alla luce del sole tutti quei vizi rimasti incredibilmente nell'ombra per alcuni decenni. Lo scandalo delle tangenti, l'intreccio sempre più fitto di rapporti tra affari e politica, l'arroganza del potere mafioso e le collusioni con esponenti politici, sono gli esempi più noti della crisi di questi partiti, giunti probabilmente al capolinea.
La crisi investe un intero sistema politico nato dopo la seconda guerra mondiale e sviluppatosi in questi quarantacinque anni su presupposti che si sono ormai esauriti. La crisi riguarda tutti i partiti indistintamente perchè tutti hanno subito una trasformazione genetica: da strumenti di raccordo fra società e istituzioni ad agenzie di raccomandazioni, uffici di collocamento, mere centrali di potere al rimorchio degli interessi più forti.
I recenti risultati elettorali di Mantova hanno confermato quello che pensavano in molti. La sfiducia dei cittadini travolge come un fiume in piena tutto e tutti; nessuno dei soggetti tradizionali si salva da una contestazione che porta le leghe di Bossi e sorella al 40 per cento. Ecco perchè non c'è piu tempo per i pur nobili tentativi di rinnovare i partiti dall'interno.
Occorre qualcosa di più. Servono nuove regole del gioco ed un nuovo sistema elettorale capaci di restituire forza alle istituzioni e sottrarla ai partiti. Ma serve soprattutto la volontà politica di scardinare l'attuale sistema dei partiti per ricostruirlo su basi del tutto nuove. Mi convince a questo proposito una riflessione di Ferdinando Adornato sulle pagine di Repubblica (di cui si parla anche in altra parte di questa pubblicazione) che sta trovando numerose adesioni ed anche alcuni tentativi di concretizzazione. "Sul ring di un'Italia a pezzi, giunta moribonda al cambio d'epoca scandito dall'89 combattono solo due contendenti: da una parte la Lega lombarda, dall'altra la vecchia nomenklatura. La prima propone una cura omeopatica: uscire dallo sfascio iniettando nel paese dosi massiccie di sfascio. La seconda fa l'impossibile per mantenere il suo corrotto potere e prepara al massimo qualche riformuccia analgesica.
Manca un terzo polo che proponga al paese una radicale riforma democratica del sistema politico". Un polo che non potrà che nascere dalla disarticolazione dei partiti tradizionali e dalla ricomposizione delle forze cattoliche, laiche e di sinistra impegnate sul difficilissimo fronte del rinnovamento vero della politica nel nostro paese.
Da qui potrebbe nascere quella alternativa credibile e democratica alla Lega e alla vecchia nomenklatura dei partiti
di cui c'è assoluto bisogno per salvare il Paese dallo sfascio.
La difesa
È una constatazione oggettiva quella della grave crisi politica che stiamo attraversando. Nessuno può dimostrare il contrario. Ma ci sono allo stesso tempo alcune tendenze di reazione che, a mio avviso, non inquadrano completamente il problema, e soprattutto non offrono garanzie di soluzione. La prima tendenza, certamente la più deprecabile, è quella del disimpegno: la sfiducia nel sistema è tanta, che vengono meno i presupposti per un impegno attivo o al limite per una partecipazione consapevole. La seconda tendenza è quella leghista: la protesta generica, facile perché basata su luoghi comuni, e per questo anche oltremodo demagogica. In questo caso, la frammentazione degli interessi e delle soluzioni, e certe proposte forzatamente radicali, non offrono garanzie certe per una soluzione della crisi. Poi c'è la tendenza a fare un gran falò dei partiti, delle istituzioni politiche che hanno retto l'Italia finora, per cercare strade nuove, trasversali, di rottura completa col passato. Migliore delle prime due, questa tesi presenta comunque limiti di varia natura soprattutto in quanto alla genesi delle nuove ipotesi aggregative.
La mia tesi tiene conto della carenza di risposte da parte delle attuali formepartito, ma non può concepire l'abbandono in tronco delle stesse. La storia ci chiama continuamente a voltare pagina. L'assillo dello "stare al passo con i tempi" è reale e anche necessario, in quanto stimolante. I partiti sono giunti alle soglie del Duemila in uno stato di impasse che va necessariamente superato. Ma per questo nuovo, difficile passo, non si può fare a meno di forme di aggregazione politica che per anni, con i loro evidenti limiti, sono state comunque i pilastri della crescita democratica. La Democrazia Cristiana, che nel tempo ha subito molteplici trasformazioni, non è un ferro vecchio da buttare. E' semmai uno strumento ancora valido per guidare i processi politici dell'oggi e del domani. Per fare questo è indispensabile il nostro impegno, l'impegno di tutti i giovani di buona volontà, per adeguare il partito alle domande pressanti di cambiamento. Da anni, noi giovani democratici cristiani, ci siamo fatti portatori del rinnovamento prima di tutto dentro il partito. Oggi, di fronte ad una situazione degenerata, è il momento di passare all'azione decisiva. L'attaccamento alle istituzioni democratiche che ci ha da sempre contraddistinti, ci chiama ora all'impegno per riformare questi partiti senza abbandonarli, per dare vita a forme politiche aperte, forti, adeguate a condurre il processo più generale di rinnovamento delle istituzioni e della politica.






























