Una risposta alla domanda politica
A colloquio con Padre Pintacuda, il gesuita che con Padre Bartolomeo Sorge anima l'istituto Pedro Arrupe, la scuola di formazione politica e centro di interessanti dibattiti sull'esperienza amministrativa a Palermo, sulla questione siciliana e soprattutto sui nuovi modi della politica.
Da un'analisi del sistema politico italiano attuale emerge una crisi di fondo, a cosa è dovuto a suo parere?
Vi è indubbiamente una situazione di ingovernabilità a livello nazionale; basta guardare alle ultime crisi di governo e alle motivazioni che hanno alla base. Si sono alternati prima Craxi, poi Goria e adesso De Mita, non pare che si modifichi niente di sostanziale al di là degli uomini eppure ognuna di queste crisi non è stata indolore; l'ultima ad esempio è stata accelerata da un attacco in massa dei franchi tiratori nel corso dell'approvazione della legge finanziaria, aspetto sicuramente patologico all'interno del funzionamento di un sistema politico.
Quindi il sistema è in crisi, ma esattamente cos'è in crisi?
La crisi è generalizzata: è sicuramente negli enti locali, a Milano, a Palermo, dove pure si è data una importante risposta, ma è anche nazionale; un dato è certo sono saltate le alleanze, ci sono i numeri per realizzarle ma si è incrinato il meccanismo che presiede ad esse: il pentapartito è in crisi ma stenta a nascere una nuova formula. Vi sono adesso i governi di programma, escamotages per ovviare ad una assenza di prospettiva politica comune. È senz'altro in crisi il sistema politico nel suo complesso.
In termini pratici, qual è la conseguenza effettiva di questo nuovo quadro della situazione?
La conseguenza principale è il deterioramento del concetto di politica e anche il «senso» del far politica, e questo lo si avverte in misura notevole; la politica non viene intesa come servizio, ma come pura gestione del potere. Il potere in questo caso è visto come fenomeno di controllo e di coercizione dell'uomo piuttosto che come strumento al servizio dell'uomo.
Rispetto a questa concezione della politica e del potere e al loro uso, non vi sono delle richieste di segno opposto che provengono dai cittadini?
È senz'altro oggi più forte una domanda di governabilità che proviene dalla società nelle sue espressioni più genuine: questa richiesta di governabilità che cammina assieme ad un nuovo modo di far politica ha bisogno di nuove consapevolezze. Per questo abbiamo pensato ai Corsi di formazione politica e anche in altre città si è seguito l'esempio di Palermo.
La società sta andando incontro ad un forte sviluppo, anche se diseguale perché non governato, le istituzioni sono in grande ritardo; crescono i bisogni, ma mancano le risposte: esempio evidente è la crisi che investe il nostro sistema sanitario e che ha visto un susseguirsi di scandali all'interno delle USL. Su questo terreno delle analisi di crisi del sistema si potrebbe parlare a lungo; io ho cercato di farlo con un libro.
Quello che qui vorrei sottolineare è che c'è una domanda di partecipazione, di vera politica che parte dal basso e che respinge con veemenza questo tipo di gestione delle istituzioni, senza pregiudiziali o discriminanti ideologiche. Anche la questione morale è un risvolto di gusta crisi: ha implicazioni di diversa natura, dal saccheggio della finanza pubblica all'occupazione delle istituzioni, allo snaturamento delle loro funzioni e si potrebbe continuare. Come tollerare poi una questione mafiosa che finische con l'essere funzionale con un certo esercizio del potere politico, quando non assume addirittura un ruolo di supporto?
Quali sono le possibili risposte a questa involuzione della politica che ha prodotto innumerevoli guasti nell'organizzazione democratica della vita del Paese?
La riforma delle istituzioni ormai non può più attendere; vanno rivisti i meccanismi che presiedono all'organizzazione dello stato, ed anche alla selezione della classe dirigente, evitando evidentemente di privilegiare soltanto presunte fedeltà. Non si può procedere con la logica della cooptazione e delle lottizzazioni. Le classi dirigenti non possono autolegittimarsi, ma devono nascere dal consenso vero. Questa riforma deve perciò ripartire dalla base, dalla città nel senso di un ritorno a forme di organizzazione originarie. Mi riferisco alla polis greca dove si era sviluppato compiutamente il concetto di politica come organizzazione della città. Se non si andrà in questo senso, se la degenerazione in atto progredirà, dietro l'angolo c'è il rischio, credo un rischio concreto, di una risposta che potrà vanificare le libertà conquistate. Bisognerà operare invece perché queste libertà si muovano in direzione della speranza, di una speranza che non sia semplice involucro, ma che si sostanzi in forma di convivenza civile rese possibili da una nuova soggettività dei cittadini.

































