I giovani parlano della DC
I giovani parlano con la DC e della DC. A Rosolina Mare i 441 partecipanti (il 32% aveva meno di 20 anni, il 40% 21-24 anni, il 28% 25-27 anni) hanno attirato a colloquio i massimi esponenti democristiani e un gran numero di uditori, per lo più giovani come loro. Abbastanza proporzionata la composizione (64% maschi, 36% femmine) e la provenienza (Nord 45%, Centro 25%, Sud 20%, Isole 10%); gli impegnati nel Movimento Giovanile erano il 60%, mentre nel Movimento Femminile il 25%; 13% con incarichi nel partito e il 2% di non iscritti. Solo il 6% non proveniente dagli studi superiori (laureati 10%, diplomati 84%).
Una sensazione immediata: si lavora sodo e senza distrazioni (il mal tempo del Polesine ha tolto ogni possibilità di fare un tuffo): addirittura è stato detto che un'altra giornata di lavoro sarebbe stata conveniente e che sarebbe stato meglio ridurre le relazioni e dare più spazio al dibattito nei 12 gruppi di studio. Tutti segni di una tensione che non ha conosciuto né stanchezza, né sazietà.
Forse da troppo tempo il Movimento giovanile DC era in letargo..., e ciò ha consentito di cogliere con fiducia i sintomi della ripresa.
L'impulso, a meno di un anno di distanza (febbraio 1984), veniva dal Congresso di Maiori, dov'è successo qualcosa. De Mita, a conclusione del campo-scuola nazionale, ha rifatto il percorso da Maiori, affermando: «A Maiori facemmo insieme una scoperta». I giovani, a cui si rivolgeva, lo seguivano perfettamente. Di quale scoperta parlava il Segretario DC? Della scoperta che i giovani, fuori dai linguaggi tradizionali, in grado di assicurare una vita nuova al partito, se questo vorrà ascoltarli come portatori e interpreti dei bisogni veri della società cambiata, quali la pace, la qualità della vita, la cultura espressiva, la necessità di un «senso» alla civiltà che nasce. Ricuperare significato, dare senso all'esistenza umana, nel suo complesso e superare barriere e frontiere: è questa la consegna che, a bene interpretare la società differenziata occidentale, trasmettono i giovani dell'era postindustriale.
I democristiani delle correnti (erano in gran parte presenti a Rosolina Mare: E. Colombo, Fanfani, Gui, Rumor, Sullo, Taviani; poi Bodrato, Picccoli, Scoppola, Scotti; quindi Andreatta, Manfredi Bosco, D'Onofrio, Rosa Iervolino, Malfatti, Tesini, ecc.) si sono trovati di fronte i giovani democristiani dell'unità. Quelli sono stati ascoltati con rispetto e con affetto; questi sono stati avvertiti presenti, volitivi, critici. Insomma una possibilità.
Tuttavia l'intero discorso, preparato con competenza da Giampaolo D'Andrea, del Centro Studi DC, e dai suoi più immediati collaboratori, ha avuto come poli di un dialogo costante, il Segretario DC e il Movimento giovanile stesso. Attenzione reciproca e accorta. Come se il professore, De Mita, si forgiasse un discepolato che, incredibilmente, gli cresce tra le mani; e i giovani si configurassero il maestro della nuova politica, dandogli sì il riconoscimento d'intelligenza appropriata ma «spiandone» la pratica politica, perché lo vedono legato a un passato pesante, che probabilmente mai ebbe, e che, comunque, passato sarebbe.
Molti gli spettatori attenti, forse un po' meravigliati, di questo dialogo. Tra i primi gli anziani del partito. Che cosa può venirne fuori?
Tra volontariato e impegno politico
Se dura il processo – come ci auguriamo – i frutti potranno essere eccellenti per la DC e per il Paese. Intanto, sia De Mita sia i giovani dc si realizzerebbero. Nel senso che il Segretario darebbe corpo alla sua innata vocazione di razionalizzare politicamente il caos più vasto, riducendo a unità e dominio, e i giovani vedrebbero dare forma storica a sé e alle istanze della nuova società di cui sono portatori, troppo spesso disattesi e confusi.
Quale cattedra universitaria avrebbe potuto offrire mai a De Mita occasione migliore? E in quale università, oggi, i giovani potrebbero trovare più coerente informazione, più ragionevole formazione, più concreta risposta?
Ma c'è il pericolo che non se ne faccia nulla. Ed è la dinamica del volontariato a denunziarlo. Nel senso che il benemerito volontariato, ponendosi come generosità inequivocabile, ma anche come spontaneismo, e convogliando la massima parte delle energie attive d'oggi, potrebbe vedere allineati all'interno del proprio discorso, quello politico, che non è né può essere volontariato.
Il passaggio dal volontariato al politico è legittimo e naturale. Non però il contrario. Troppo spesso però i migliori politici sembrano dei volontari, non dei militanti: da un canto, lasciano le attese della società in panni caldi e, dall'altro, permettono ai peggiori politicanti di pescare nel torbido.
Moro, con Don Sturzo e De Gasperi, idealmente presenti e acutamente citati, da De Mita, potrebbero insegnare ai giovani la metodologia d'una persistente e attiva mediazione che scongiurerebbe ogni pericolo di vanificazione delle nuove promesse politiche. Così se il Segretario dovrà assicurarsi un Movimento giovanile presente e autonomo (anche finanziariamente) su cui affinare gli strumenti dell'incisività politica, i giovani del Movimento giovanile DC devono passare dalla fase molle dell'emotività volontaristica, a quella solida dell'organizzazione critica dell'impegno.
Questo a noi pare particolarmente necessario, in due direzioni, senza nulla togliere al resto.
Spiritualità e bene comune
Il bisogno di spiritualità, che da varie parti e con varie espressioni, si avverte, è stato ampiamente messo in luce a Rosolina Mare e non solo da De Mita, che ha opportunamente chiarito i rapporti tra fede cristiana e politica e la grande differenza che passa tra partito clericale e laicità della politica alla luce del Concilio Vaticano II. Ma se la laicità è un valore, lo è in quanto è fondata sulle premesse assiologiche di fede. Di qui la razionalità della legittima sua autonomia, che però non è separazione della politica dalla fede cristiana.
Non basta l'avvicinamento al mondo cattolico da parte dei giovani del movimento giovanile, anche se questo sta già producendo i suoi frutti, facendo superare l'indifferenza che s'era frapposta tra le due parti, un tempo fin troppo imparentate. A noi pare, tuttavia, che il Movimento giovanile DC, proprio perché orientato alla militanza più efficace nella costruzione del bene comune, ha bisogno d'una sua specifica scuola di spiritualità, più attenta a questo sbocco. Ha bisogno d'una pratica della vita cristiana che non sia solo quella di sporadici incontri o dei lodevoli, ma interrotti, esercizi spirituali, ma di una formazione spirituale permanente. In altri termini non è pensabile uno stile politico di moralità e di razionalità, senza l'interpretazione, collocazione e dominio dell'interiorità, senza la capacità di finalizzare e relativizzare l'immanente, senza la comprensione dei processi di trasformazione dell'uomo e dell'universo che, per il cristiano, avvengono attraverso la esperienza dell'incontro con Cristo.
Quanto poi alla promozione del bene comune il Movimento giovanile DC è chiamato a segnalarsi non in astratto, ma ponendo gesti che qualifichino il movimento stesso e lo rendono collegato credibilmente alla domanda sociale e alla risposta del volontariato.
Quel di più, che naturalmente comporta il carattere di militanza politica dovrà emergere nel servizio efficace a favore delle realtà più bisognose. Si tratterà di scegliere settori, magari più vicini ai giovani (quali la famiglia, la droga, ecc.), per creare in essi presenze permanenti e visibili, in grado di essere giudicate risposta sociale e proposta politica.


















































