Leoluca Orlando: una città che ha voglia di cambiare
Vorremmo subito domandare al prof. Orlando, cosa si prova a fare il sindaco in una città come Palermo?
Quando non si sa rispondere alla domanda se ciò è bello o è brutto, o se una persona è intelligente o stupida, si dice è interessante.
Fare il sindaco di Palermo è interessante. Al di là della battuta è una esperienza di grande arricchimento personale; vivere nella propria città e per la propria città è una esperienza di governo carica di quotidiano (e di tanto quotidiano) e di progetto (e di tanto progetto); è una esperienza unica.
Lei ha detto più volte che Palermo è e vuole rimanere, una «città europea». Ci vuole chiarire meglio questo concetto?
Che Palermo sia una «città europea», non lo dice il Sindaco di Palermo, ma lo dicono le carte geografiche. «Palermo città europea» è un modo per testimoniare la volontà di questa città di rompere forme intollerabili di localismo e di isolamento; Palermo solo non è sufficente. Palermo città europea, vuole indicare la volontà di questa città di aprirsi ad un modo di vivere, di intendere la vita, la qualità della vita che è proprio delle grandi città del continente europeo.
Girando per Milano, Bologna o Roma ci si sente dire che Leoluca Orlando non è il Sindaco di Palermo ma «il primo Sindaco della città di Palermo», ma allora, con una città che tende ad essere sempre più europea, con un sindaco che non è «secondo a nessuno», come spiegare le polemiche del dopo elezioni sulla giunta Orlando e su questo Sindaco. Forse che al dinamismo del presente, da parte di alcuni si preferisce l'immobilismo del passato?
Il dinamismo del presente, l'attività, l'impegno, lo sforzo dell'intero Consiglio Comunale, di questa città in questi due anni di vita amministrativa hanno sicuramente contribuito a riempire «un bicchiere per metà», sono convinto che il «bicchiere è per metà pieno», che occorre riempire l'altra metà del bicchiere farò di tutto per impedire che sterili polemiche ed inutili diatribe facciano disperdere quella parte di bicchiere che abbiamo faticosamente riempito.
Prof. Orlando, nonostante i tanti successi conseguiti da questa «giunta del rinnovamento», e le cifre ne sono la più diretta testimonianza – quasi 5.000 posti di lavoro di cui 2.500 persone assunte direttamente, nell'ultimo anno, dal Comune attraverso lo sblocco di concorsi da anni banditi ed attraverso il reclutamento di 1600 tra operai, architetti, ingegneri, geometri e tecnici dell'edilizia per lo svolgimento di opere socialmente utili ed altre 2.000 persone assunte indirettamente per gli appalti assegnati dal comune; 450 miliardi esperiti in gare d'appalto, con il metodo dell'asta pubblica al massimo ribasso, con un utile di ribasso di 72 miliardi; 7623 provvediemnti adottati in 23 mesi; 1136 atti deliberativi ottenuti dal Consiglio Comunale nonchè tutta una serie di iniziative che vanno dal campo sociale a quello culturale dello spettacolo e dello sport – a questo punto, le chiediamo come mai dopo così tanti risultati positivi sia ancora oggi difficile portare avanti il risanamento del centro storico, così degradato, abbandonato, dove per la gente, per questa gente che vive nelle case pericolanti, oppure nelle baracche, sembra proprio che le lancette del tempo si siano fermate da un paio d'anni. Ed ancora le domandiamo per l'immediato futuro cosa pensa di fare per migliorare le condizioni socio-ambientali degli abitanti dei quartieri – ghetto del centro storico?
In questi ultimi anni, con riferimento al centro storico, abbiamo compiuto una doppia operazione: quella di modificare la rotta ed al tempo stesso di sostituire il motore della macchina. Abbiamo modificato la rotta culturale dell'intervento urbanistico sul centro storico di 180 gradi, passando da una concezione che voleva il centro storico essere un «area edificatoria», secondo la logica dello sventramento, ad una concezione consacrata dal cosidetto «piano-programma» che, invece, si muove nella direzione del restauro conservativo.
Questo giro di rotta ha salvato il centro storico dalle ruspe e dalla distruzione, ha permesso che il centro storico della città di Palermo possa ancor oggi rimanere con i suoi 250 ettari non soltanto il più grande d'Europa ma anche il più conservato dal punto di vista urbanistico, anche se rimane il più degradato d'Europa dal punto di vista edilizio. Ma nello stesso tempo abbiamo dovuto sostituire il motore attraverso l'attivazione di una serie di procedure che si riferiscono all'aggiudicazione degli appalti, di sistemi di scelta del contraente, tutto questo ha sicuramente comportato dei ritardi, ma oggi possiamo dire che il risanamento del centro storico è partito; e ne sono diretta testimonianza tutta una serie di interventi, come ad esempio: all'Alberghiera, in via Mongitore, dove ha avuto inizio un forte intervento di risanamento, alla «Vucciria» nel famoso quartiere-mercato, a Castello S. Pietro dove di già le ruspe della ditta appaltatrice sono impegnate al lavoro nel rimuovere ed abbattere le macerie della seconda guerra mondiale. Castello S. Pietro rimane oggi il simbolo, la testimonianza della volontà del risanamento del centro storico. Quando ho firmato il contratto d'appalto, e terminando l'inizio dei lavori, ho avuto allo stesso tempo «un cuor di leone ed un cuor di coniglio», avrei voluto fare un comunicato stampa trionfalistico ma poi mi sono fermato ricordandomi che la seconda guerra mondiale era già finita da oltre quarant'anni, e c'era poco da essere allegri se finalmente, dopo quarant'anni, venivano rimosse quelle macerie. Ma il dato inconfutabile è che purtroppo le attuali procedure disponibili per gli interventi nei centri storici sono ormai arcaiche ed inadeguate.
Il Comune di Palermo ha richiesto più volte un intervento regionale o nazionale, promesso più volte e mai ottenuto; ed allora prendendo atto di questa realtà, faticosamente abbiamo avviato il lavoro di risanamento del centro storico con i mezzi e gli strumenti attuali a nostra disposizione. Ed allo stesso tempo abbiamo attivato l'intervento dei privati; infatti è stato predisposta la concessione di dieci miliardi di contributi ai privati per abbattimento sulle quote di mutuo necessarie per le opere di restauro del centro storico di Palermo. Certo «la mano pubblica si muove con la clava», la mano privata può in qualche modo essere incentivata dalla mano pubblica e tutto questo fa si che lentamente il centro storico possa gradualmente risanarsi. Ma se accanto all'opera del comune vi fosse un forte intervento legislativo nazionale, i tempi sarebbero sicuramente ridotti.
Lei in una intervista ha dichiarato: «spero che la mafia venga sconfitta superando i concetti migliori ed adottandone nuovi», vuole continuarci questo pensiero....
Credo che la sconfitta della mafia, vada vista come l'affermazione di un cammino di progresso. Abbiamo dimostrato con i fatti e concretamente che «mafia e sviluppo sono incompatibili». Per troppo tempo la mafia si è fondata sulla convinzione che fosse un male inevitabile, poi ha cercato di giocare l'arma subdola dello sviluppo, adesso la gente ha capito che la mafia porta soltanto morte, rovina e sottosviluppo. Ma ora è necessario non allentare la tensione, ovvero è necessario far camminare di pari passo «la repressione e la promozione dello sviluppo». Perchè non possiamo far passare nella gente la convinzione che «la mafia porta sviluppo e la lotta alla mafia porta invece sottosviluppo o tristezza e solo repressione». La lotta alla mafia è l'altra faccia della promozione economica, sociale e culturale!
Caro professore, ci permetta ancora una domanda: qual è il ricordo più significativo che ha conservato dell'opera di Piersanti Mattarella di cui lei è stato consulente giuridico?
Fra i tanti ricordi una grande lezione, appena nominato consulente giuridico, l'on. Piersanti Mattarella mi consegnò una cartella con degli atti da esaminare; presi in mano questa pratica e con l'atteggiamento «dell'intellettuale a contratto», «della musa appigionata», per usare una espressione ben nota, gli domandai cosa dovessi fare. Ed egli mi rispose di esaminare quella pratica per indicargli come dovesse comportarsi; ed ancora gli chiesi come avrei dovuto agire politicamente, ma immediatamente fui interrotto da un lancio di carte del Presidente Mattarella, il quale mi rispose: «ma quale politicamente e politicamente, sei tu il tecnico, tu devi darmi le indicazioni». Ebbene, questa mi è rimasta come una grande lezione per il grande rispetto che un politico deve avere sia per la dimensione della professionalità che per quella tecnica. Da allora, non mi è più accaduto di dover subire l'insegnamento attraverso il lancio in aria delle carte da parte del Presidente della Regione Mattarella.
Interpellandola nella veste di dirigente di partito, le chiediamo quale riflessione fa dell'attuale stato della Democrazia Cristiana palermitana.
Questo periodo di commissariamento reso necessario dai grandi fatti di nervosismo e di cambiamento interno alla Ddemocrazia Cristiana, e stato sicuramente un periodo di grande importanza e significato. Ho ancora presente lo stato nel quale versava la città, il partito, la gente. Questa città sembrava essere ferita a morte anche a causa della agressione mafiosa, il palazzo si era spento tanto da essere commissariato e la sede della Democrazia Cristiana era una sequela ossessiva di stanze vuote, prive di vita.
In questi tre anni la città si è ripresa, il palazzo ha le luci accese, si ritorna a far politica nelle sale di palazzo delle Aquile, il confronto viene fatto nella sala del Consiglio Comunale; è questo ormai il centro della vita politica della città e non questa o quella segreteria personale di qualche notabile.
Oggi il partito ha acquistato una grande autorevolezza, una capacità di interlocuzione; e con la guida di Sergio Mattarella questo partito ha recuperato una forte centralità per la vita politica della nostra provincia e della nostra città. Certamente questa autorevolezza questa capacità di interlocuzione all'interno del partito e con gli altri partiti ha dato una mano d'aiuto importante alla amministrazione comunale di questa città «per non essere più una città di anime morte» e per non essere più una città amministrata da un Palazzo dove le luci erano tutte spente.
Prof. Orlando, a conclusione di questa intervista vorremmo sfatare una vecchia abitudine secondo la quale al termine di ogni conversazione, i più giovani chiedono sempre un qualche consiglio ai loro interlocutori più anziani; ma noi sempre nell'intento di sovvertire un uso, ormai adottato dai più le domandiamo quale consiglio potrebbe dare ad un giovane democristiano un altrettanto giovane sindaco democristiano, punto di riferimento non soltanto per la Palermo che ha voglia di cambiare ma anche per tutti quei giovani democristiani che hanno il coraggio di rompere con i consunti schemi del passato.
Credo che la cosa più importante è quella di non perdere il «gusto per la provocazione»; di non ritenere che il consenso di tutti sia sempre la migliore garanzia della bontà delle nostre posizioni. Io dico che dobbiamo tutti quanti farci un poco di opposizione da noi «se vogliamo veramente cambiare fino in fondo la realtà che ci sta attorno. Avendo sempre presente una consapevolezza: che l'impegno personale di oguno di noi ha un senso se si iscrive in un «gioco di squadra». Se dovessi scoprire di essere un uomo solitario senza essere inserito in una quadra, avrei sicuramente gravi problemi ad andare avanti, e per dirlo con una espressione: «avere tutti il dovere di essere marziani, ma abbiamo anche al tempo stesso il diritto ed il dovere di non restare isolati».




















