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Nuova Politica - Atto d'accusa
Il giornalista Corrado Stajano ha curato per gli Editori Riuniti la pubblicazione di un libro che racchiude i passi più importanti dell'ordinanza sentenza dei giudici di Palermo per il primo grande processo contro la mafia.

«Un romanzo nero che rattrappisce le ossa e gela il sangue»: così Corrado Stajano definisce la sentenza ordinanza dei giudici istruttori di Palermo, i cui capitoli fondamentali sono stati scelti e pubblicati a cura dello stesso Stajano, giornalista e scrittore che si è già occupato del fenomeno mafioso, per gli Editori Riuniti in un volume intitolato «Mafia, l'atto d'accusa dei giudici di Palermo».

Pagine gravi, piene di sofferenza, di violenza e di sangue, piene di intrighi, di trame, di connessioni che farebbero pensare all'intreccio di un riuscitissimo romanzo giallo.

Ed invece si tratta, purtroppo, di realtà, una realtà sconcertante, scandalosa, incredibile.

In quei 40 volumi, in quelle 8.607 pagine vengono analizzate e sviscerate per la prima volta compiutamente e in modo organico le vicende della mafia tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta.

Si è detto da più parti che la grande novità del processo alla mafia apertosi a Palermo il 10 febbraio consiste proprio in questa nuova volontà da parte dello Stato di andare fino in fondo nella guerra a Cosa Nostra. E non c'è dubbio che questo risultato già così importante dal punto di vista politico, è dovuto soprattutto allo straordinario impegno delle forze dell'ordine e al coraggio, alla dedizione e alla professionalità dei giudici istruttori Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello Finuoli, che in condizioni difficili hanno portato a compimento l'istruttoria iniziata oltre tre anni fa da Rocco Chinnici.

Proprio questo è il dato che emerge prima di tutto leggendo le pagine di questo libro: l'immensa mole di lavoro, i precisi riscontri, la documentazione spesso inconfutabile, tutta una serie di elementi e di prove che chiariscono, una volta per tutte, vicende ed attività di un'organizzazione come quella mafiosa che fino a ieri sembrava impossibile affrontare.

Viene così alla luce che una realtà ben più radicata, diffusa e organizzata di quello che si sarebbe potuto immaginare; una realtà completamente diversa da quell'immagine romanzata e dai contorni vaghi, leggendari con cui la mafia è stata descritta, quasi si trattasse veramente di quell'organizzazione fondata su rigidi criteri «etici», impegnata a supplire alle lacune e alle mancanze di uno Stato lontano, e quindi utile, anche se costretta ad agire al di fuori della legge.

Dalle pagine della sentenza ordinaria emerge invece il vero volto della mafia: una macchina perfetta che funziona con una efficienza impressionante; la mafia è l'industria dell'eroina, del riciclaggio dei soldi sporchi, dei sequestri di persona, la mafia è ricatto, sopraffazione, violenza, morte, la mafia è soprattutto la degenerazione di un potere politico divenuto fine a se stesso.

Dai documenti dell'istruttoria palermitana si evince come Cosa Nostra possa contare su una enorme ricchezza di mezzi finanziari e su di una capillarità nella diffusione della sua rete organizzativa per cui non è più lecito parlare della mafia come di un fenomeno soltanto siciliano.

Basta leggere le pagine riguardanti il traffico dell'eroina per rendersi conto della vastità degli interessi in gioco: Thailandia, Grecia, Egitto, Francia, Stati Uniti, e poi la Svizzera con le sue banche, costituiscono le tappe di un itinerario criminale che va ben oltre i confini dell'isola.

Proprio per la vastità e le dimensioni che il fenomeno mafioso ha acquistato, assume ancora maggior valore il lavoro dei giudici e l'intuizione che per battere la mafia era necessario riunificare, come è stato fatto per questo processo, i vari procedimenti in corso contro Cosa Nostra.

È certo impressionante leggere nelle pagine presentate da Stajano i racconti dei pentiti (i vari Di Cristina, Contorno, Buscetta) su molti dei delitti mafiosi, sulla ferocia della «famiglia» più spietata, quella dei Corleonesi; ma quello che sinceramente colpisce di più è il rendersi conto di come sia stato possibile il diffondersi di un potere occulto tanto forte da potersi considerare parallelo e alternativo a quello dello Stato, un modello di sviluppo economico fondato su attività illecite e criminali, quello che Stajano nell'introduzione definisce «capitalismo mafioso», in grado di bloccare e compromettere la normale crescita economica e civile di una società.

E dietro a tutto questo c'è la degenerazione di un intero sistema che ha ragioni geografiche, storiche e soprattutto, purtroppo, politiche.

Così colpiscono le considerazioni dei giudici di Palermo sull'assassinio Dalla Chiesa, quando si afferma che «...il coraggioso impegno civile del singolo funzionario (o uomo politico), unito al disimpegno ed al disinteresse delle istituzioni, costituisce un vero e proprio dito puntato sulla sua persona, come ostacolo da eliminare...», oppure quando si dice che «...Cosa Nostra ha ritenuto di poterlo colpire (Dalla Chiesa) impunemente perché impersonava soltanto se stesso e non già, come avrebbe dovuto essere, l'Autorità dello Stato...».

E l'ordinanza sentenza diventa allora, oltre che una dura requisitoria contro l'organizzazione mafiosa, anche_ e prima di tutto una denuncia implacabile di tutta una serie di omissioni, connivenze, compromessi che hanno minato alle fondamenta, attraverso l'inquinamento delle istituzioni, il prestigio e l'autorità di uno Stato; quello stesso Stato che oggi, ha la possibilità di riscattare se stesso, nel nome di chi nella sua giustizia ha creduto e crede.

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