Mafia e antimafia da Dalla Chiesa a Sica
La lotta alla mafia resta un arido elenco di cosche e di episodi criminali se non si ha chiaro lo sviluppo del processo politico e giudiziario che si è avuto nell'ultimo decennio. Compito di questo pezzo è ricostruire sommariamente le contraddittorie vicende della trincea antimafia, a partire da quel tragico 3 settembre 1982. L'assassinio di Carlo Alberto Dalla Chiesa, di sua moglie e del suo autista segnano l'inizio di una stagione di feroci polemiche, ma anche l'avvio di una concreta reazione dello Stato alla sfida mafiosa. Sono cento giorni di solitudine quelli del pluridecorato generale dei Carabinieri, cento giorni di stima dichiarata, di solidarietà verbale, ma di ritardi rispetto alle richieste di mezzi e dotazioni che il prefetto di Palermo insistentemente sollecitava a Roma. "Qui muore la speranza dei palermitani onesti" è stato scritto in Via Carini dopo l'omicidio, ma – nonostante spariscano misteriosamente i documenti contenuti nella cassaforte del gen. Dalla Chiesa – costui lascia quantomeno un metodo nuovo di indagine: Dalla Chiesa sollecita il coordinamento tra i poteri, il mandato per poter setacciare ogni branca dell'amministrazione dello Stato, richiede accertamenti patrimoniali alla Finanza e disturba la mafia che conta. Che lo isola e lo ammazza, chiudendo con arroganza "l'operazione Carlo Alberto". Sono gli anni in cui i corleonesi stanno scalando i vertici di Cosa Nostra. Sono già caduti i vertici della vecchia guardia, Inzerillo e Bontade, ma è soprattutto in corso il più feroce assalto alle istituzioni: La Torre, Reina, Mattarella, Costa, Terranova, Giuliano, Mancuso, Basile, Russo ono stati già assassinati. Dalla Chiesa è personaggio troppo attivo ed ingombrante: non casualmente gli 8 prefetti delle province siciliane sono contrarie all'estensione di quei poteri che poi costituiranno l'oggetto della costruzione dell'Alto Commissariato negli anni successivi. Dirà il cardinale Pappalardo durante l'omelia per Dalla Chiesa "Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata".
Tre giorni dopo la strage di Via Carini, con decreto n.629, viene istituito l'Alto Commissariato per la lotta alla mafia, affidato a Emanuele De Francesco che assomma su di sé i poteri del prefetto e quelli di direttore del Sisde. Ma, per ora, il Commissario è un ammiraglio senza flotta:agli ampi poteri concessi non corrispondono i mezzi per poterli esercitare. Dopo pochi giorni, con altri due decreti, De Francesco èaffiancato dal prefetto di Napoli, dal direttore della Criminalpol, dalle autorità di pubblica sicurezza della Calabria. Sembra un rafforzamento ma l'alto Commissario, in realtà, non ha più il potere di indagare nelle altre regioni a densità mafiosa per colpire le sinergie tra poteri criminali.
Il Parlamento, in compenso, approva la Legge Rognoni-La Torre.
La guerra di mafia prosegue: don Tano Badalamenti cerca di ostacolare l'ascesa dei corleonesi ed un rifiuto di don Masino Buscetta viene pagato dall'anziano capo-mafia con lo sterminio della sua famiglia. De Francesco lancia un appello in dicembre, invitando i mafiosi a pentirsi, ma l'anno si chiude con la cifra record di 151 morti ammazzati.
Intanto cade Rocco Chinnici, titolare del processo contro i 162, l'uomo che afferma l'esistenza di una "superstruttura" mafiosa e che autorizza il giudice Falcone ad arrestare i fratelli Greco, Nitto Santapaola ed altri. Escono sulla stampa gli amari diari lasciati da Chinnici: anch'egli, come Dalla Chiesa, sentiva un clima di pericoloso isolamento attorno a sé. Cade anche il giudice Montalto, e il Collllllissario De Francesco viene sostituito nei ruoli di prefetto di Palermo e di direttore del Sisde.
Luglio 1984: rientra in Italia Tollllllaso Buscetta. Non è pentito, ma vuole vendicarsi con i clan vincenti; lo affianca Vincenzo Sinagra, che dopo essersi finto pazzo per molti mesi, racconta le atrocità della "camera della morte" di S.Erasmo, delle vittime scomparse nei bidoni di acido. Finiscono in carcere i cugini Salvo e l'ex sindaco Ciancimino, vengono raccontati gli appalti miliardari alla Lesca del conte Cassina e all'Icem, appalti sui quali si erano infranti gli sforzi di altri due sindaci dc, Elda Pucci e Giuseppe Insalaco. Ma anche quest'ultimo cade sotto il piombo mafioso all'indomani della conclusione del maxi-processo.
Il 2 aprile 1985 fallisce l'attentato al giudice Carlo Palermo, che indaga sul traffico fra armi e droga: una Volkswagen con a bordo una donna e i suoi due figli gli fa da schermo. La loro morte gli salva la vita. Il Collllllissario De Francesco è stato intanto sostituito da Riccardo Boccia, già prefetto di Napoli.
Mentre Boccia ripulisce la propria struttura dagli uomini dei servizi segreti, viene assassinato Beppe Montana. La reazione della Mobile sull'indiziato Salvatore Marino, che muore dopo una notte in Questura, scatena una rappresaglia: vengono uccisi Ninni Cassarà e Roberto Antiochia. L'autista di Cassarà, Natale Mondo, scampato miracolosamente all' agguato, viene ucciso pochi mesi più tardi. Boccia chiede di essere sostituito all' Alto Commissariato e il Ministro Scalfaro designa Pietro Verga, già questore di Catania.
Nell'estate 1987 si conclude il maxiprocesso di Palermo: i 635 imputati collezionano 2665 anni di carcere, 19 ergastoli e 11 miliardi di multa. Alcuni imputati del processo, scarcerati dopo una sentenza di assoluzione, sono abbattuti dalle cosche: Antonino Ciulla – insufficienza di prove per lui – sopravvive alla liberazione appena 40 minuti.
Il Csm entra per la prima volta nella bufera: preferisce Antonino Meli a Giovanni Falcone per la nomina all'Ufficio Istruzione di Palermo; il capo della Omicidi, Accordino, erede delle indagini di Chinnici e Cassarà, viene trasferito fuori Sicilia.
All'Alto Commissariato, arriva Domenico Sica. Nel frattempo, Cosa Nostra continua la decimazione dei vecchi vertici mafiosi: vengono assassinati Pietro Vitale, Cosimo e Antonio D'Amico.
Il 9 novembre 1988, il Parlamento approva la legge 486, di iniziativa del Ministro Gava, per il rafforzamento dei poteri nella lotta alla mafia: potenziato il potere del coordinamento, il contributo dell'intelligence, istituito un apposito Ced. A Sica viene spalancata ogni porta: banche, società, enti pubblici non possono rifiutare alcun genere di informazione; cade anche il muro del segreto istruttorio che autorizza Sica a chiedere gli atti di indagini in corso; 15 miliardi di budget (di cui 5 "coperti" come per i Servizi Segreti) e 250 persone a lavorare sotto la responsabilità del Commissario. La mafia presenta a Sica il proprio biglietto da visita assassinando Mauro Rostagno e il magistrato Antonino Saetta, ma prosegue la propia guerra privata uccidendo il fratello del già defunto boss Stefano Bontade, Giovanni. È in gioco l'assestamento dei poteri interni a Cosa Nostra.
Purtropo iniziano i prodromi delle "estati dei veleni": Falcone e Borsellino attaccano Meli, che replica aprendo un conflitto di attribuzione davanti alla Cassazione per strappare al pool antimafia alcune inchieste da delegare ai magistrati di Termini Imerese. Meli attacca ancora Falcone e Curti Giardina che replicano proponendo il proprio autoscioglimento.La polemica si risolve, ma alcuni magistrati denunciano il clima di "normalizzazione".
Alla fine del 1988, il pentito Totuccio Contorno descrive il nuovo vertice di Cosa Nostra individuandone i nuovi leaders in Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, latitanti in Sicilia, probabilmente a Palermo. La Collllllissione Antimafia nel 1990 conferma le indicazioni del Contormo, aggiungendovi il nome di Michele Greco, il "papa". Mentre Provenzano sarebbe ancora in una
collocazione incerta, è chiara la geografia dei nuovi poteri mafiosi: dalla parte di Michele Greco, i clan di Prestifilippo, Tinnirello, Pullarà, Nicola Milano, Farinella, Scaduto e di Lorenzo Nuvoletta a Napoli; dalla parte di Salvatore Riina, gli amici di Leoluca Bagarella, di Luciano Liggio (talent-scout di Riina), Pippo Calò, Vernengo, Marchese, Gambino e i Madonia. Incerta la collocazione dei clan catanesi di Santapaola, dei trapanesi e di altre province siciliane.
Il 1989 vede sul banco degli accusati proprio Domenico Sica, "Supersic", accusato di protagonismo e strapotere: in aprile, Sica depenna dall'Albo dei Costruttori le ditte del conte Cassina, ma è accusato di essere troppo morbido nei confronti dei fratelli Costanzo, poi in maggio scoppia il caso della trattativa sul pentimento di Gaetano Badalamenti che Sica conduce senza informare il Csm, la Commissione Antimafia ed i giudici di Palermo. Nasce la proposta di una "superprocura" incaricata di indagare, a livello nazionale, su tutte le questioni relative alla criminalità organizzata. Alla fine di maggio, nuovo caso, nuove polemiche: con un blitz, la magistratura arresta a Palermo il pentito Salvatore Contormo, per tutti da tre anni negli Stati Uniti. Si scoprirà che l'arrivo di Contormo era stato annunciato e che il pentito era regolarmente in contatto con l'Alto Collllllissario Sica.
Il 20 giugno, viene sventato all'ultimo minuto un attentato contro Giovanni Falcone: 20 chili di dinamite collocati davanti al bunker del giudice, proprio mentre Falcone doveva incontrarsi con alcuni giudici svizzeri. Chi è la "talpa" che ha suggerito con precisione il luogo e l'ora per un attentato perfetto?
Il giorno successivo Falcone è nominato dal Csm Procuratore Aggiunto a Palermo, mal'estate dei veleni è già in corso: cominciano a circolare le prime lettere del "corvo". Il pericoloso volatile accusa Falcone, Ayala, Parisi di aver pilotato il rientro in Italia di Contormo. Sica individua l'anonimo scrittore dei messaggi nel giudice Di Pisa. Quest'ultimo accusa, per fatti privati, Ayala e, per la procedura d'identificazione adottata, Sica. Il Csm trasferisce sia Di Pisa che Ayala. Il 10 agosto, a Palermo, Sica e Falcone chiudono le polemiche con un brindisi rappacificatore.
Ma la sorda guerra è ripresa da Filippo Mancuso, procuratore generale a Roma, palermitano. Il magistrato protesta con Andreotti e Gava sui metodi di Sica, ma il mondo politico conferma la fiducia a Supersic.
Pochi mesi e il Csm richiama nei ranghi tre magistrati, temporaneamenti distaccati al pool antimafia: Misiani, D' Ambrosia, Di Maggio.Quest'ultimo sceglie la platea del Maurizio Costanzo Show per vuotare il sacco delle proprie amarezze. Interviene anche Cossiga, ed il mondo politico riconferma il mandato all' Alto Commissario.
Il 15 febbraio 1990, i pentiti lamentano l'insicurezza propria e dei propri familiari, in tutto circa 1500 persona; in maggio viene assassinato Giovanni Bonsignore, funzionario alla Regione Sicilia, che si era rifiutato di riscuotere una tangente per agevolare alcuni appalti; in giugno, Leoluca Orlando accusa i giudici di non avere ancora chiuso alcuna indagine sui delitti politici eccellenti: nuovo polverone con l'intervento di Cossiga e del Csm; in luglio, nuovo arresto per Vito Ciancimino e nuove preoccupazioni per l'esplodere della Duomo Connection a Milano, un affare di corruzione nel capoluogo lombardo che fa traballare la giunta del socialista Pillitteri; il 21 settembre, cade un altro magistrato siciliano: è Rosario Livatino. Nella relazione annuale della Commissione Antimafia del 1990 si legge "il coordinamento tra le forze di polizia non è pienamente realizzato;(...) a causa del breve arco di tempo trascorso dall'entrata in vigore della Legge 486 dell'88, è ancora necessario valutare il corretto rapporto tra il prefetto antimafia e la magistratura, nei termini voluti dal nuovo processo penale".
Qualcuno sostiene che l'Alto Commissario è un super-parafulmine che deresponsabilizza il Ministero degli Interni, qualcuno lo definisce il terzo servizio segreto dopo Sismi e Sisde. Resta certo che questo organo – "uno Stato che ha commissariato se stesso" – esprime, oggi, troppi sintomi di un disagio che danneggia questa sanguinosa e interminabile lotta alla mafia.












