È il titolo di un felice testo scritto da Pino Arlacchi, che recava un sottotitolo ancora più significativo, parafrasi di un celebre libro di Max Weber, "L'etica mafiosa e lo spirito del capitalismo".
La mafia entra nel sistema imprenditoriale dopo aver annusato l'area della metropoli, gomito a gomito con la finanza e la politica, per poter investire le risorse derivate dai traffici di eroina e dalle altre attività.
Ma ci sono almeno quattro tipi di aziende mafiose, quattro modi per organizzarsi imprenditorialmente.
Innanzitutto, vi è la "non-impresa", l'impresa apparente che possiede sì beni strumentali e strutture, ma che non li sfrutta per alcun tipo di produzione. La memoria cinematografica è ricca di imprese di pompe funebri che non trasportavano alcun caro estinto, ma basta restare coi piedi in Italia per setacciare aziende specializzate in movimento terra che possiedono un solo e inadatto camion, oppure per constatare che nella Campania infestata dalla camorra sono spuntate come funghi centinaia di cooperative di pulizia che non si sa cosa puliscano.
Poi vi è l'azienda paravento, con un complesso di beni effettivamente utilizzato per gli scopi dichiarati dalla società, ma che funge da copertura per traffici illegali che in realtà costituiscono la parte preminente del vero reddito societario. Che ovviamente, nella sua parte legale, presenta pesanti deficit di esercizio, e magari usufruisce anche di incentivi da Enti Locali.
La differenza sottile fra queste due forme di imprenditoria mafiosa si presenta nell'applicazione delle leggi anti-mafia. Mentre è pacifico il sequestro dei camion non utilizzati se non per il trasporto dell'eroina, diviene più complesso e sicuramente penoso sequestrare beni strumentali che a qualche decina di persone oneste hanno comunque dato lavoro.
La carta d'identità del terzo tipo di azienda mafiosa presenta tutte le caratteristiche dell'azienda sana e redditizia: ha bilanci in attivo, offre occupazione, impiega tutti i propri mezzi per raggiungere gli scopi sociali. Spesso si tratta di un'azienda edile. E si capisce allora che la "mafiosità" sta nell'intimidazione con cui la proprietà ha ottenuto l'appalto dei lavori. Un'azienda del genere può dunque godere di una sostanziale riduzione dei propri costi: quello del denaro concesso dalle banche, quello della manodopera, quello delle materie prime. Se i bassi prezzi consentono di vincere l'appalto e di stracciare i competitori, ci penserà poi la revisione prezzi e la connivenza di qualche funzionario o qualche amministratore a restituire il "legittimo" margine di profitto.
In più, l'azienda gode di ingenti investimenti derivanti dal riciclaggio dei proventi del traffico di eroina. Un esempio reale di questo modello proviene dalla struttura delle aziende del clan Inzerillo-Spatola, come testimoniato dalle conclusioni del processo.
Infine, vi è l'azienda che compete regolarmente sul mercato, che gode di rilevanti capacità manageriali nella propria gestione, che lavora in modo tecnicamente eccellente, ma che sfrutta capitali originariamente illegali. È il modello che sta dietro ai grandi investimenti mafiosi in locali di lusso, catene alberghiere, discoteche e villaggi turistici.
C'è poi, ma questa parte non è nemmeno degna di essere raccontata sotto il titolo di "imprenditoria mafiosa", il sudicio mercato dei minorenni pusher di eroina, del killeraggio a 14 anni per due lire. Lo aggiungiamo soltanto con buona pace di coloro, sempre meno per fortuna, che tendono capziosamente a distinguere tra una mafia sanguinaria ed una "mafia che dà lavoro e crea ricchezza", affinché nessuno si dimentichi quanto sangue e quanta morte grondi da quelle mani gentili.










