"Un paio di bretelle a bottoni tira i calzoni fin sopra la pancia, che così viene bene sottolineata; la giacchetta è ripiegata sul braccio, senza eccessiva cura. Unico segno di prestigio, nella sciatteria generale, è la catena d'oro che pende dal taschino. Questo è uno degli ultimi ritratti fotografici di don Calogero Vizzini, capomafia degli anni 50, immortalato sulla piazza di Villalba, il paese da cui si è allontanato, in tutta la sua vita, sì e no un paio di volte.
Nel 1986, Pippo Calò, boss mafioso e trafficante di eroina, si presenta ai giudici in blazer di cachemire e pantaloni grigi, immagine perfetta di un uomo d'affari uso a frequentare la Borsa".
Non è più tempo di immaginare i mafiosi che giurano sull'immaginetta dei Beati Paoli, come nei migliori sceneggiati televisivi. La Mafia Holding & C. (la scelta della struttura societaria non è casuale) è mutata, si è modernizzata, ha assunto come Proteo il volto contemporaneo della finanza e della telematica. Assume i migliori commercialisti per le proprie contabilità "cinesi", invia i propri esperti in finanza nelle piazze del Nord Italia, occupa i migliori chimici nei propri laboratori di raffinazione dell'eroina, parla le lingue straniere.
Eppure rimangono alcuni retaggi della tradizione: come i massoni portano i cappucci, i mafiosi si feriscono il polso con una spina e giurano fedeltà all'organizzazione; il "molto vecchio" e il "molto nuovo" convivono.
La mafia nasce con lo Stato Unitario, forse prima, e trova nell'alleanza tra briganti e baroni il trait-d'union del rifiuto di una dominazione percepita come straniera, di un mancato monopolio statale della coercizione, di una conoscenza superficiale da parte dei "piemontesi" della terra siciliana.
Dal 1860 in poi, come ci raccontano i rapporti annuali del procuratore di Palermo Tajani, la mafia tesse le proprie alleanze con la borghesia locale, con i latifondisti, rivelando fin da allora una spiccata attitudine "politica".
È con Cesare Mori, il "prefetto di ferro" inviato da Mussolini, che la mafia combatte la prima guerra, una guerra tutta militare che registra la vittoria del prefetto, costretto a fermarsi, però, sulla soglia della politica. Mori aveva intuito le radici "hobbesiane" del potere mafioso, il fondamento della paura, e ne aveva paradossalmente invertito il significato: "se i siciliani hanno paura dei mafiosi, li convincerò che io sono il mafioso più forte di tutti". Ma una vittoria militare non produce l'amore per le istituzioni. Un nuovo punto a favore della mafia viene segnato con lo sbarco alleato in Sicilia, durante la seconda guerra mondiale, poiché lo Stato Maggiore Usa si affida ai clan siculo-americani per la costruzione di una rete affidabile di riferimenti locali che garantisca lealtà e ferreo anti-comunismo. Paradossalmente, vengono ripescati decine di mafiosi confinati dal regime fascista nel decennio precedente.
Da allora, non in modo così scientifico, la mafia attraversa tre fasi di sviluppo parallele all'evoluzione della società italiana: la mafia della campagna, quella della città ed infine quella dell'eroina.
Legata al latifondo negli anni 50, la mafia si urbanizza negli anni del boom, soprattutto a Palermo, conoscendo il proprio consolidamento economico negli anni della speculazione edilizia. L'assalto ai suoli edificabili e la nascita di autentici imperi economici si salda con le prime alleanze politiche e le infiltrazioni nei gangli della burocrazia statale. La mafia subentra nell'esazione delle tasse, nel controllo delle banche con una crescita esorbitante degli sportelli, non certo legata ad una sana espansione dell'industria, nel controllo degli appalti.
Alla fine degli anni 60, con una prima guerra che produce numerose vittime, la mafia italo-americana affianca al sempre meno redditizio contrabbando di tabacchi, il traffico di droga che, con i suoi vertiginosi profitti, crea una sorta di "accumulazione primaria di capitale". Si consolida l'imprenditoria mafiosa (vedi oltre), ma iniziano le feroci guerre tra i clan nazionali ed internazionali. Ecco allora la battaglia dei primi anni 70 fra il clan dei marsigliesi ed i propri alleati americani contro altri clan americani legati a famiglie siciliane. Ecco la guerra fra i corleonesi di Luciano Liggio e la famiglia Badalamenti legata al clan Bonanno di Pizza Connection.
Alla fine degli anni 70, arrivano i primi pentiti (Buscetta e Contorno per la mafia, Pandico, Barra e Melluso per la camorra) ma la mafia alza spaventosamente il tiro dichiarando, per la prima volta, una guerra esplicita allo Stato: tra il 1979 ed il 1983 cadono sotto i kalashnikov e le auto-bomba della mafia i vertici delle istituzioni, il prefetto Dalla Chiesa, il leader dell'opposizione La Torre, il segretario della Dc Reina, il Presidente della Regione Mattarella, il capo della Mobile Giuliano, il comandante dei carabinieri Basile, il procuratore della Repubblica Costa, il capo dell'ufficio istruzione Chinnici. Nei due anni successivi cadono anche il commissario Montana e il vicequestore Cassarà. E la lista si allunga in questi ultimi anni.
Una guerra senza quartiere, dunque, che si concretizza nel primo "rapporto dei 162", origine del maxi processo di Palermo, ma che conosce anche le laceranti polemiche sul pool anti-mafia, "l'estate dei veleni", la difficoltà per lo Stato di contrapporre ad una mappa sempre mutevole di famiglie e di clan una struttura specializzata e dotata di mezzi adeguati all'obiettivo.
La mafia è davvero una holding: divisa per settori di interesse economico, essa è rigidamente verticale e gerarchica; alla base della piramide, l'esercito dei sicari ("gli uomini d'onore"), al vertice, i capo-cosca che – nonostante le marcie indietro di alcuni dibattimenti processuali – almeno in passato sedevano in una "commissione", un Governo mafioso in grado di determinare bersagli avversari e obiettivi nel business. Solo a seguito della guerra di mafia degli anni 80 per la sostituzione dei vertici di Cosa Nostra, la mafia semplifica la propria struttura: i vecchi ruoli di rappresentante della famiglia, vice-rappresentante, consigliere, capo-decina vengono concentrati nella figura del "reggente". Cambiano le "competenze" ma la struttura resta. E resta assai forte poiché può contare ancora sul vincolo familiare e sulla regola dell'omertà, dando sicuramente, per molto tempo ancora, filo da torcere all'affermazione della società siciliana sana e al principio di legalità dello Stato democratico.
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