Qualche decennio fa gli italiani emigravano ali'estero in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori. Oggi il benessere diffuso, sia pure con i noti squilibri territoriali, in tutta la penisola ha bloccato i flussi migratori verso l'estero, ma la popolazione italiana non si è stabilizzata.
I nuovi emigranti non hanno la valigia di cartone e non si imbarcano come clandestini su qualche nave diretta verso l'America. Il loro sogno è un altro: abbandonare per sempre il caos, l'inquinamento e il traffico delle metropoli per la tranquilla vita della provincia.
I dati demografici relativi agli anni ottanta sono la prova inconfutabile dei nuovi flussi migratori.
Negli ultimi dieci anni un milione di italiani ha abbandonato i capoluoghi di provincia per trasferirsi in centri più piccoli. Tra i 50 comuni a maggiore incremento demografico non figura nessun capoluogo. E la grande fuga dalle città è appena cominciata. Secondo il Censis, da oggi al 2002 assisteremo ad un vero e proprio esodo: 124mila abitanti in meno a Milano, 100mila in meno a Roma, 74mila in meno a Genova, per citare solo alcuni esempi (vedi tabella). Metropoli addio, dunque. Meglio la vita di provincia.
Ma andiamo a scovare le cause di questo fenomeno secondo l'interpretazione del Censis.
La diffusione del benessere in Italia ha stabilito questa differenza: le metropoli sono cresciute in terribilità e potenza, le piccole città sono cresciute in agiatezza e vivibilità, scrollandosi di dosso ogni complesso di inferiorità, anche e soprattutto culturale.
La metropoli mantiene, anzi ha aumentato, il dominio dell'informazione, ma la provincia è diventata il luogo ideale per la formazione, ha continuamente migliorato il rapporto tra popolazione e scuole, palestre, biblioteche, campi sportivi.
La metropoli è finita, non ha più spazio a disposizione; la provincia può allargarsi fin che vuole.
L'elenco potrebbe continuare ancora, ma la vera svolta a favore delle piccole città di provincia è forse un'altra.
Dove prima c'era solo una migliore qualità della vita, oggi si moltiplicano anche le opportunità di lavoro, i servizi, la ricchezza.
Tra il 1985 e il 1988 le piccole e medie imprese di provincia hanno fatto innovazione (il 51,2 per cento ha immesso sul mercato nuovi prodotti), hanno ristrutturato i loro impianti (il 70,6 per cento), si sono ammodernate (l'informatica è entrata nel 34,4 per cento delle aziende). Hanno insomma creato nuove occasioni di ricchezza. E non solo. Si sono rese più autonome dalle grandi città: nel 12 percento dei casi hanno avviato iniziative di internazionalizzazione (accordi, joint-venture, stabilimenti ali' estero) e per il 65 per cento hanno cominciato ad esportare direttamente. Il Censis la definisce ristrutturazione silenziosa.
Del resto, per rendersi conto degli standards raggiunti dalle piccole città, è sufficiente guardare il campione di 20 città non metropolitane con popolazione superiore agli 80mila abitanti scelto dal Censis in base ai parametri di benessere. Per ciascuno dei dieci parametri considerati, le 20 città si piazzano quasi sempre ai primissimi posti nella classifica globale. Ravenna è in testa per numero di banche e, con Forlì vince la palma di città più tranquilla (zero omicidi dolosi nel 1990). Bolzano ha il più basso tasso di disoccupazione d'Italia, mentre Pisa si colloca al secondo posto, dopo Siena, per contratti di locazione, un efficace indice della facilità di trovare casa. Varese è seconda solo ad Aosta per numero di auto circolanti per abitante, Arezzo è seconda (dopo Firenze) per numero di antiquari.
Si potrebbe continuare a lungo con un elenco di motivazioni che spingono gli italiani a preferire la vita di provincia. Ormai le piccole e medie città italiane offrono tutti i vantaggi delle metropoli e nessuno dei loro svantaggi. Forse rimane solo un ostacolo alla vita in provincia: il controllo sociale, la continua sorveglianza reciproca che caratterizza il destino di chi vive in piccole comunità. Come dice il critico televisivo Beniamino Placido, la provincia è semplicemente quel luogo "dove ognuno spia tutti gli altri".
La fuga dalle città secondo le stime del CENSIS
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1990 |
2002 |
Differenza |
|
|
GENOVA |
706.754 |
631.299 |
-10,1 |
|
TORINO |
1.002.863 |
979.511 |
-4,9 |
|
MILANO |
1.449.403 |
1.325.896 |
- 8,9 |
|
ROMA |
2.816.474 |
2.716.466 |
- 2,4 |
|
PALERMO |
731.483 |
750.162 |
+ 1,7 |
L'urbanistica contrattata
Negli ultimi anni, di pari passo con lo sfascio della finanza pubblica, si è aggravata la crisi economica e finanziaria degli enti locali. Diminuzione dei trasferimenti statali, minori possibilità di accesso alla Cassa Depositi e Prestiti per la contrazione di mutui e, di conseguenza, difficoltà crescenti per i Comuni e le Province nell'assolvimento delle loro funzioni pubbliche. l soldi scarseggiano, ma i cittadini reclamano servizi efficienti, strade, scuole, impianti sportivi. Insomma, una situazione difficile per uscire dalla quale, soprattutto quando si rendono necessari investimenti onerosi, non esistono molte alternative. Da quando gli enti locali hanno penuria di mezzi finanziari e di ricchezza, la realizzazione delle grandi opere pubbliche e delle operazioni di sviluppo può avvenire in due modi: o con il finanziamento del Governo con leggi speciali o con la cosiddetta "urbanistica contrattata", cioè con la messa a disposizione da parte dei privati del capitale per gli investimenti e con la mano pubblica che chiede in cambio dell'ok all'investimento contropartite per la comunità (infrastrutture, case, verde).
Nei prossimi anni, la collaborazione fra pubblico e privato si renderà sempre più necessaria. Per rendersene conto è sufficiente dare un'occhiata all'elenco delle opere pubbliche previste dagli strumenti urbanistici di molte città italiane. Citiamo solo due casi a titolo di esempio.
Firenze
Fra nuovo piano regolatore e altri grandi opere pubbliche attese da anni come tangenziale, metropolitana, parcheggi, ferrovia e raddoppio del nodo autostradale, a Firenze le imprese edili si giocheranno nei prossimi anni qualche migliaio di miliardi.
Nel frattempo, all'inizio di luglio, il Consiglio Comunale ha approvato la cosiddetta variante Fiat, la prima vera scelta urbanistica dopo il piano regolatore del 1962. Riguarda un'area di 36 ettari su cui verranno costruiti 100mila metri cubi di cemento: nuovo palazzo di giustizia, università, opere ad uso terziario residenziale, aree pubbliche.
Torino
C'è un business di 24 mila miliardi nelle pagine del nuovo piano regolatore di Torino, atteso da più di 30 anni. Un gran calderone dove entra di tutto: la ristrutturazione del centro storico, nuove costruzioni per migliaia di metri cubi, 13 mila alloggi di edilizia economica e popolare il raddoppio del politecnico, le nuove sedi universitarie, la cittadella giudiziaria. Ma la grande sorpresa sarà il .via alla metropolitana che Torino attende dal secondo dopogue1rn. La realizzazione del metrò se l'è aggiudicata la Fiat. Sui binari torinesi correrà il Val, frutto della joint venture tra la cas:i automobilistica italiana e la francese Matra. L'intera opera avrà un valore di circa 2000 miliardi.
La Fiat parteciperà anche alla trasformazione del vecchio Lingotto che, secondo il progetto di Renzo Piano, diventerà centro fiere e sede delle facoltà scientifiche.
Abbiamo citato solo due esempi, ma l'elenco degli investimenti e delle opere pubbliche che richiederanno la collaborazione con il privato ed ilricorso all'urbanistica contrattata è così da lungo damodificare profondamente il volto delle nostre città nei prossimi anni. A Roma serviranno 70mila miliardi per attuare gli obiettivi della legge speciale sulla città che il Parlamento ha votato nel dicembre scorso; a Milano sta per partire la realizzazione della cittadella terziaria dove la Montedison conta di riaccorpare tutti i suoi stabilimenti ottici; a Palermo occorreranno lOmila miliardi per risanare i vecchi quartieri del centro storico.
Insomma, le città italiane si rifanno il trucco con investimenti massicci, di fronte ai quali c'è solo da augurarsi che la collaborazione fra pubblico e privato attraverso l'urbanistica contrattata consegua risultati migliori rispetto agli investimenti del solo "pubblico" di un assato molto recente.






