Sono quasi nove milioni, cioè poco più di un sesto della popolazione italiana, i giovani in età compresa tra il 15 ed i 24 anni. A questa fascia di popolazione si è rivolta poco tempo fa l'indagine dell'associazione IARD che è stata pubblicata da «Il Mulino».
Una inchiesta fondamentale, nata da una constatazione: l'immagine che gli adulti hanno dei giovani è fortemente «datata», influenzata da fenomeni che risalgono a quindici o addirittura venti anni fa. Ancora oggi si parla in maniera più o meno diffusa, esageratamente, dei giovani come contestatori, capelloni e rocchettari, politicamente radicali, quando non disponibili alla lotta armata, sessualmente senza freni inibitori, altruisti e generosi, ma anche sconsiderati ed aggressivi.
La ricerca dello IARD, ed i commenti che su tutta la stampa italiana hanno fatto segui- to, hanno spazzato via queste concezioni rivelandole per quelle che erano: un mito. I giovani intervistati dalla Doxa per lo IARD rivelano tutt'altro modo di pensare, stupefacente rispetto agli stereotipi diffusi nel nostro Paese, ma anche fuori d'Italia. Ma allora perché, è il caso di domandarselo, ancora oggi se si parla dei giovani se ne discute nei termini di qualche anno fa? Perché hanno resistito tanto i miti, dal '68 in poi?
Perché, si chiede Alberoni, nella prefazione al libro «si è prolungato per oltre 15 anni lo stereotipo del giovane che rifiuta il lavoro, che infila collanine e fa le barricate, che contesta i genitori e si droga?
La prima risposta possibile è che una immagine del genere colpisce la fantasia, è pittoresca». Se ancora resistono queste immagini, è perché, sempre a detta di Alberoni, «i movimenti giovanili degli anni sessanta hanno creato, nella generazione adulta, un vero e proprio trauma, ed è questo trauma che fa durare lo stereotipo».
Ma probabilmente ciò significa anche che dovremo rivedere, con maggiore spirito critico la storia degli anni «della contestazione giovanile», scoprendo che forse la percentuale dell'impegno politico di massa non è cambiato e se allora si parlava del «tutto è politica» è perché si credeva, ideologicamente, che i valori dirompenti messi in primo piano da alcuni gruppi giovanili più spregiudicati, fossero i prodromi di una introduzione, dai giovani, di valori nuovi, rigeneranti, nella società.
Dai giovani, insomma, sarebbero nati i tanti «uomini nuovi della società nuova». Per questo forse oggi si guarda con stupore al ricorrere di valori che sembravano morti e sepolti.
Con i ricercatori IARD che sono a Bergamo, in particolare con Ricolti che ha curato il capitolo di ricerca dedicato all'associazionismo ed alla partecipazione politica, e con Cavalli che si è occupato del tema della famiglia e delle amicizie, la devianza e la droga, scopriremo quanto è cambiato il mondo giovanile e che giovani abbiamo di fronte oggi. Partire dalla realtà, per chi fa politica è indispensabile, soprattutto tenendo conto che tra breve, seguendo la frequenza fissata in tre anni la IARD ci offrirà un altro panorama aggiornato di un movimento in continuo processo.




































