Dopo la grande sbornia ideologica, il riflusso, ecco che nuove categorie salgono alla ribalta per definire il mondo giovanile: c'è stato il periodo dei punks e degli skin heads, i «metallari» ed i «preppie», ma da mesi, al di là delle «scazzottate» milanesi tra paninari e punks residui, si parla con insistenza di una categoria, nata in Usa, di uomini – donne tra i 25 ed i 39 anni, con una professionalità ricercata (disegnatori, grafici, giornalisti, programmatori...), danarosi, egocentrici, arrivisti, attenti alle mode, dal persona! computer alla cucina raffinata orientale.
Chi sono? ma gli «Yuppie», «young urban professional», una categoria che, si dice negli Stati Uniti, ha fatto da trampolino di lancio alle teorie economiche del reaganismo.
Questa categoria è divenuta famosa per il movimento di pensiero, nel momento in cui un ex-impiegato bancario romano – pugliese, tal Roberto D'Agostino, descrivendo in «Quelli della notte» la nuova gioventù ha espresso in storici e magistrali concetti il movimento dell'«edonismo reaganiano».
Quello che doveva essere un semplice scherzo televisivo, una ironica presa in giro del modo di parlare un po' strampalato di critici e sociologi è divenuto in breve un filone di riflessione estivo sul modo di essere dei giovani e della società di oggi, e tra l'ironico e il serioso anche esperti come Alberoni o Beniamino Placido hanno preso spunto dall'edonismo reaganiano per alcune riflessioni invero serie e sensate.
Dice Alberoni «la polemica tra Saverio Vertone e Vattimo sul «pensiero debole», cioè sull'elogio della quotidianità, di quel mondo che ogni anno viene descritto da De Rita come il mondo del sommerso, dell'arcipelago dell'arrangiarsi pare mettere in primo piano come primato morale e civile degli italiani questa capacità di accettare tutto senza scegliere nulla.
Ma questo è l'elogio dell'arbitrario, di ciò che in quel momento è moda. Questo è il minimo comun denominatore, la moda. Forse l'intero mondo culturale italiano è intriso di moda come fatto culturale ed economico, fino ad esserne corrotto».
Conferma ancora Beniamino Placido, sempre su «La Repubblica»: «Tutto quello che egli dice (Alberoni ndr) si può condividere: grande è la superficialità sotto il cielo; non si approfondisce più; non si distingue più; non si bada più alla sostanza delle cose culturali; si privilegia e si premia l'apparenza».
Dunque questa società e in particolare le generazioni giovanili vivono solo di moda pseudo – culturali? Un giorno, hippie con i capelli lunghi, un altro, «stile cadetti di West Point»? Un giorno, paninari da «Burghy», un altro, raffinati «viveur» all'Harry's Bar? Ciò che è sicuro è che negli italiani in particolare, tra i giovani in special modo, c'è oggi una varietà unica di atteggiamenti e bisogni; in una parola, di stili di vita.
Questa complessità di stili secondo il sociologo Mario Abis, direttore della Makno, è tipica in primo luogo dei paesi occidentali, ma in special modo di un paese come l'Italia, patria di localismi, campanilismi, diversità da regione a regione.
Insomma, dietro l'etichetta scherzosa di Roberto D'Agostino, pare si celino tutti i sussulti di questi ultimi venti anni, dal «pubblico» al «privato», dalla ricerca della felicità pubblica alla ricerca della felicità privata secondo l'espressione del sociologo Albert Hirschmann.
Ma, per dirla con Maffettone, il filosofo più volte citato da D'Agostino, «siamo sicuri che l'edonismo, che a volte può anche essere figlio dell'utilitarismo e quindi anche egualitario», si accoppi con il reaganismo, nota teoria economica «tagliare i secchi?». Ai partecipanti l'ardua sentenza.












