Quelle risposte ancora non date
La tentazione di affermare che differenza fondamentale tra i tempi in cui viviamo oggi e quelli del rapimento e dell'uccisione dell'on. Aldo Moro è la sconfitta del terrorismo e della paura che pervadeva negli anni '70 il Paese, è stata, purtroppo, ricacciata indietro dall'assassinio del sen. Ruffilli ad opera delle BR. E, forse, per questo fatto, che ci ha lasciato tutti profondamente addolorati ed inquietati, è ancora più importante riflettere sulla concezione che Moro ebbe del rapporto tra le forze politiche e lo Stato da un lato, e i cittadini dall'altro, perché sono proprio queste tre componenti che, unite, devono impedire il prevalere del terrore, rafforzare la democrazia o costruire una società a dimensione d'uomo, in cui regnino la giustizia e la pace.
Invece sembra che si faccia sempre più profondo il distacco tra i partiti, e quindi le istituzioni, e la società civile e sulla soluzione di questo problema, che comporta il pericolo sempre incombente che di questa forbice si approfittino forze estranee e pericolose, è indispensabile che si concentrino gli sforzi e le energie di tutti.
L'attenzione di Moro nei confronti della società è sempre stata altissima e ha informato tutta la sua attività politica. Un'attenzione mai impostata su pregiudizi: in Moro si coglie evidente il desiderio di comprendere i cambiamenti, di capirne i motivi, di ascoltare le esigenze della gente e di dare ad esse risposte, senza paura ma con l'apertura di chi è consapevole che in ogni mutamento c'è sempre qualcosa di positivo, anche quando questo si manifesta insieme a fatti che possono apparire sconcertanti.
Dice Moro al Congresso DC del 1969: «Se noi vogliamo essere ancora presenti, ebbene dobbiamo essere per le cose che nascono, anche se hanno contorni incerti, e non per le cose che muoiono, anche se vistose e in apparenza utilissime».
Moro ritiene che il Parlamento, il Governo, i partiti e soprattutto la DC non possano sottrarsi al confronto con la società, di cui devono essere rappresentativi se non vogliono svuotare di significato il loro ruolo e la loro stessa esistenza. Per questo motivo, ad esempio, egli contrastò chi voleva la sostituzione del sistema elettorale proporzionale con quello maggioritario, sia nella DC che nelle istituzioni: riteneva che il primo fosse il più idoneo a dar spazio a tutte le componenti sociali.
È importante però sottolineare che per Moro l'attenzione e il confronto con le istanze sociali non fu mai strumentale, ma portò sempre ad atti politici concreti, coraggiosi, spesso in contrasto con la volontà di coloro in cui aveva invece il sopravvento la preoccupazione: nel partito, le battaglie perché mai lo scontro tra maggioranza ed opposizione portasse al completo prevalere di una sull'altra e all'esclusione totale di qualche componente, nelle istituzioni con la ricerca di adeguare le formule di governo ai cambiamenti sociali e alle esigenze dei tempi, così per il centrosinistra, così per la solidarietà nazionale.
I Governi infatti devono essere in grado di corrispondere alle attese della società e di rendere conto del loro operato. Dice Moro nel 1974 al Parlamento presentando il suo governo: «Con tale spirito mi rivolgo ai rappresentanti del popolo, e, al di là, ma pur sempre per questo tramite, al popolo italiano, ai lavoratori, ai giovani, alle donne, agli imprenditori, a tutti coloro che hanno in mano, con un atto di intelligenza e un moto di volontà, il destino dell'Italia, perché· essi tutti siano con noi, ci diano almeno, provvisoria e condizionata, la loro fiducia, ci accompagnino con il loro "sì" nel duro cammino che stiamo per intraprendere».
Come l'attenzione alla realtà sociale non fu quindi, nello statista mai un fatto strumentale, così le scelte conseguenti non furono mai segnate da trasformismo e opportunismo, ma furono al contrario sempre aderenti con l'ispirazione ideale del suo impegno ed egli era fermamente convinto che i democratici cristiani dovessero e potessero essere capaci di «flessibilità e insieme di un'assoluta coerenza» con se stessi.
Moro riteneva necessario che le istanze sociali fossero mediate politicamente ed incanalate nello Stato democratico perché non si snaturassero nell'eversione e nel tentativo di rovesciarlo. Nel discorso pronunciato al Consiglio Nazionale della DC del 21 novembre 1968, Moro si esprime chiaramente su questo punto: dinanzi alla realtà in movimento «bisogna, accettandola, interpretare e ordinare questa realtà»; la DC deve essere in grado di «operare una sintesi tra il nuovo che emerge ed il complesso di esperienze e di valori che debbono pur essere salvaguardati nella nuova storia».
Moro ammonisce che la politica della DC non sia «una politica delle cose, nella quale si smarriscano quelle linee di fondo della nostra azione politica, quel nostro fermo opporci da sempre alla reazione e alla rivoluzione, la nostra fede nella libertà, nella libertà politica perennemente creatrice di giustizia», insomma, dice Moro, bisogna dire sì al nuovo ma al «nuovo capito, dominato, voluto da noi stessi per quello che siamo stati e che siamo». Se però Moro esige dalle forze politiche e dai loro uomini la capacità di capire i cambiamenti della società civile e di rispondervi adeguatamente, non è meno esigente nei riguardi di questa, proprio perché consapevole che la protesta fine a sé stessa è inutile.
Egli afferma: «Se il potere politico è chiamato a fare passi decisivi verso la società civile, rinunciando ad ormai inammissibili esclusivismi e lasciando ad essa un più grande spazio di meditazione, di iniziativa e richiesta, è pur vero che governare sarebbe impossibile, se la società non facesse a sua volta passi innanzi verso il potere, se essa non si disponesse senza acquiescenza, ma proprio nella sua autonomia, alla sintesi politica che è, ad un certo punto, inevitabile (...) Occorre pure che la società concorra, per i tanti problemi, non solo a porre un'esigenza, ma anche a preparare una soluzione appropriata e realizzabile (...) Quando le forze sociali e politiche presenti ed i centri di potere ruotino intorno ad un punto, siano ancora tratti da una autorità morale e politica, tutti i problemi possono essere risolti in termini di libertà».
Oggi viviamo in condizioni diverse da quelle dei tempi in cui si andò sviluppando l'azione politica di Aldo Moro fino al suo assassinio.
La società italiana è certamente mutata, sono sorte esigenze nuove, accanto a quelle vecchie, a cui la politica è chiamata con urgenza a dare risposta. Il terrorismo, anche se continua a dare' prova di vitalità, come nell'ultimo atroce delitto di Forlì, è stato certamente sottoposto a duri colpi.
Non è più sentito dalla gente, così come lo sentiva Moro, il pericolo di una svolta totalitaria.
D'altra parte, dopo un periodo di calma, le tensioni sociali sono tornate ad essere altissime.
I lavoratori non si sentono più rappresentati dai sindacati tradizionali e cercano altre forme organizzative.
Anche i partiti vivono una forte crisi di rappresentatività, perché di fronte alle inquietudini della società civile e ai suoi mutamenti, essi sembrano essersi chiusi in una difesa massiccia del1'esistente.
Stesse interpretazioni, stesse logiche, stesse scelte, stesse formule in risposta ad una società in trasformazione quale la nostra.
E questa trasformazione la dimostrano, ad esempio, la nascita e lo sviluppo di movimenti composti da persone anche di diversa estrazione culturale che si uniscono in ragione di un ideale comune: così i movimenti pacificisti, ecologisti, così anche movimenti o associazioni di impegno sociale e politico, che sono talvolta sfociati specialmente negli ultimi tempi, anche nella presentazione di liste nelle campagne elettorali a livello nazionale o civico e che hanno avuto quel consenso popolare che ha consentito loro di entrare nelle istituzioni.
Il riconoscimento della grandezza della personalità di Aldo Moro, deve necessariamente portare al superamento della sua strategia e delle sue soluzioni di dieci anni fa, facendo propria però la sua linea di pensiero e soprattutto la sua intelligenza degli avvenimenti. Un dialogo e un confronto costruttivo con questi movimenti e con la società civile nel suo insieme è quindi necessario per tutte le forze politiche, un confronto e un dialogo senza preconcetti, che potrebbe, chissà, portare ad una collaborazione, che non sia strumentale, nelle amministrazioni locali e, perché no, anche al Governo.
Certo, il problema è grave e necessita di una riflessione più lunga e approfondita di quanto si possa fare in un partito.
Però di fronte ai cambiamenti della nostra società, alla crisi di partiti e istituzioni una soluzione bisogna trovarla, una scelta di riforma delle istituzioni e delle amministrazioni locali coraggiosa ed adeguata alla realtà non è più procrastinabile.
Una risposta chiara a sé stessa e alla società italiana le forze politiche dovranno darla al più presto, se vorranno rimanere coerenti con il loro ruolo, con il motivo stesso del loro esistere.






















