Tempi nuovi si annunciano
Credo che nella storia politica della «quinta generazione» dei giovani DC, Aldo Moro abbia un posto speciale. Quasi nessuno è riuscito a conoscerlo direttamente, eravamo troppo piccoli per sintonizzarci sui temi che gli erano caratteristici: egualmente molto difficile, per lo stesso motivo, coglierne dieci anni fa la grandezza di leader politico, la finezza di abile tessitore di una trama evolutiva della Democrazia italiana.
Eppure Aldo Moro ci ha segnato nel profondo.
Quando Moro divenne l'obiettivo scelto per colpire la libertà e la prospettiva democratica del Paese, ci siamo scoperti orgogliosi di una appartanenza ideale al Partito, in cui militiamo. Dieci anni fa la morte di Moro colpì duro la nostra sensibilità di adolescenti. Il dopo che ci ha lasciato avviandosi alla «prigione del popolo» è un esempio che in molti abbiamo capito ed imparato; la sua morte è l'atto di nascita della nostra esperienza politica.
Questo comporta riconoscere un debito nei suoi confronti.
Al di là della emozione e del dolore, c'è una lezione che ci ha insegnato a rifiutare le semplificazioni che falsano i problemi, il prassismo senza anima, l'intolleranza, l'assenza di un significato profondo al proprio impegno, l'incapacità di dialogo e di confronto con gli altri.
Non mi sembrerebbe male trasformare questo riconoscimento in un tentativo di non lasciar travolgere la figura di Moro dall'onda della rievocazione poliziesca e di parte.
Forse l'omaggio più grande ad Aldo Moro può venire dai giovani DC se sapremo essere capaci di cogliere il senso del suo messaggio, se sapremo raccontarci e raccontare agli altri chi è stato e cosa ha significato per noi Aldo Moro, come ci siamo confrontati con la sua tragedia. Capire e spiegare, insomma, se e come Aldo Moro ci parla ancora, e ci aiuta nel percorso politico che compiamo insieme.
Personalmente, sono convinto che questo lavoro ci viene facilitato dal fatto che dalla lezione di Moro possiamo individuare un capitolo che egli ci ha idealmente dedicato. Dalla fine degli anni '60 i giovani sono per Moro interlocutori importanti di una analisi della trasformazione della società italiana, i soggetti del nuovo, i portatori delle istanze di cambiamento con le quali il sistema politico non poteva evitare di confrontarsi ed alle quali doveva dare riposte esaurienti.
Questa riflessione inizia compiutamente nel tempo della maturità politica di Moro, e coincide con una fase della vita della Democrazia Cristiana che lo vede in forte contestazione degli equilibri interni al Partito.
Nel Partito, Moro si trova all'opposizione, ed è protagonista di una polemica durissima e tagliente con le componenti dorotee che avevano dato vita ad una alleanza «basata sulla comodità e sulla forza», gestita con «un misto di abnegazione e di opportunismo».
È il 1968.
Intanto, nella società civile si muove qualcosa di importante.
«Tempi nuovi si annunciano e avanzano in fretta come non mai. Il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d'ombra, condizioni di insufficiente dignità e di insufficiente potere non siano oltre tollerabili, l'ampliarsi del quadro delle attese e degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i giovani, sentendosi ad un punto nodale della storia, non si riconoscano nella società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità». (Intervento al Consiglio Nazionale del Novembre 1969). Ma non è per ricercare effetti di spettacolare contrasto che Moro oppone il vortice delle trasformazioni all'immobilità della gestione del Partito. Non era episodica la sua attenzione al rapporto tra società civile e società politica. Confligge con l'immagine volgarizzata del leader democratico cristiano come uomo di prudenti mediazioni, sempre teso alla ricerca di una composizione delle opinioni divergenti, la simpatia e il discernimento con le quali invitava a valutare le posizioni anche di rottura e di forte contestazione del mondo giovanile.
Moro comprese forse più di tutti l'esplosione di alcune tensioni portate dalla protesta giovanile, ma espressione ormai di una carica evolutiva di tutta la società. Ogni epoca ha forse avuto una sua questione giovanile, ma quella che si stava vivendo produceva una vera e propria «cultura» della trasformazione, destinata a coinvolgere aspetti generali e complessivi della convivenza.
I valori che Moro rintraccia nelle istanze della protesta giovanile sono globalmente positivi, e anzi di stimolo alle stanche ritualità della «politique politicienne». «È l'affermazione di ogni persona in ogni condizione sociale, dalla scuola al lavoro, in ogni luogo del nostro Paese... , è l'emergere di una legge di solidarietà, di eguaglianza, di rispetto di gran lunga più seria e più cogente che non sia mai apparsa nel corso della storia».
Tutta l'opera e la storia politica del leader dc può essere letta alla luce della consapevolezza di fragilità delle istituzioni, se esse non sono rette d l consenso effettuale, dalla partecipazione sostanziale delle masse al processo democratico. Ogni sentimento di estraneità – in qualche modo connaturato ai moderni sistemi politici – deve essere combattuto. «L'importante è che mai l'interesse di pochi prevalga su quello di molti, mai ad un giusto interesse manchi la traduzione in termini di potere politico».
In Moro si avverte, quasi palpabile, la paura di «perdere» un pezzo di società. E la funzione ultima della politica è quella di far sintesi e ricomporre le spinte centrifughe, gli interessi e i bisogni confliggenti.
A questo punto entra, nell'elaborazione morotea, il problema di come scongiurare l'irrigidimento della DC nel suo ruolo di Partito-Governo, PartitoIstituzione.
La percezione di estraneità e diffidenza che i giovani hanno del potere, deve indurre ad una analisi severa verso l'uso che se ne fa. «Il potere – dice nel suo intervento al Congresso di Roma, nel 1969 – diventerà sempre più irritante e scostante, e varrà solo un'idea comunicata per un tramite discreto e umanamente rispettoso. Queste non sono fantasie, sono cose che già cominciano ad avvenire e che avverranno sempre di più, cose che nascono e prendono il posto di quelle che muoiono. Se noi vogliamo essere ancora presenti, ebbene dobbiamo essere per le cose che nascono».
Dall'analisi di quel che si agita nel mondo giovanile come espressione più avanzata della società civile, Moro elabora una idea celebre di come la DC deve sostenere, insieme, i suoi doveri di partito di Governo e di interprete della trasformazione. È «l'attenzione» a tutto il sociale e tutto il politico, che si estende ad ogni novità, ad ogni interrogativo, ad ogni sussulto della nostra società. Non dobbiamo lasciare che altre forze, altri partiti siano gli interpreti di questa nuova età della democrazia italiana. «La DC può e deve porsi come il legame .più importante e significativo con la coscienza popolare.. Il potere si legittima davvero solo per il continuo contatto con la sua radice umana».
Non stupiamoci se inizialmente la protesta e l'attesa si incanalano in maniera più naturale – ma scatenando anche lì contraddizioni – nell'opposizione piuttosto che nella maggioranza, nelle forze che chiedono piuttosto che in quelle che devono rispondere. Ma la risposta per Moro non è quella della chiusura conservatrice. I giovani e la società chiedono alla DC di bruciare le tappe, di accelerare, di trovare anche al suo interno elementi di opposizione.
«Non si tratta di essere più efficienti, ma anche più profondamente capaci di comprensione, più veramente partecipi, più impegnati a far cogliere di noi non solo un'azione più pronta, ma anche un'anima nuova che sia all'unisono con l'animo del nuovo che cambia, per essere migliore e più giusto».
La politica della Democrazia Cristiana non deve quindi subire gli eventi, accettare solo a malincuore la prospettiva di sviluppo. La scelta di campo di Aldo Moro è nettissima, senza esitazione nell'escludere qualunque forma di attendismo.
È un'analisi quasi felice di incontrare, nei giovani, una volontà che risveglia la passione e l'interesse per la loro comunità. Credo che Moro trovasse in quella tensione la base per una nuova progettualità, una cornice ad una prospettiva di azione politica analoga ai tempi della Costituente.
Allora si erano gettate le basi ideali e istituzionali alla costruzione del nuovo Stato. Poi c'erano state la guerra fredda, le difficoltà istituzionali, la dura prosa della ricostruzione, le arretratezze e l'immaturità politica della sinistra e del mondo cattolico.
Adesso, dopo la distensione, il Concilio, l'esperienza del centro-sinistra, un'altra svolta. Come non accorgersi del dovere morale di volare alto? «Si affaccia sulla scena del mondo l'idea che, al di là del cinismo opportunistico, ma, che dico, al di là della stessa prudenza e dello stesso realismo, una legge morale, tutta intera, senza compromessi, abbia infine a valere e dominare la politica perché essa non sia ingiusta e neppure tiepida o tardiva, ma intensamente umana».
Moro ha la consapevolezza che è nato un nuovo interlocutore politico, una nuova·soggettualità. I giovani non possono più essere considerati – paternalisticamente – come. meri oggetti di cura, terminali di una «politica per la gioventù».
Questa domanda forte ed esigente del mondo giovanile si colloca, per Moro,
in un processo di ampliamento e consolidamento delle basi democratiche dello Stato.
Per essere interprete di questo momento di storia e svolgere la sua funzione di garanzia, la dc deve collocarsi a sinistra, «cioè sulle posizioni di movimento». Così, nell'impossibilità di un'alternativa politica alla Democrazia Cristiana nel sistema italiano «(la DC) riuscirà ad evitare che un'alternativa si affermi, facendo essa, con il mutare dei tempi, da opposizione e alternativa a sé stessa».
È da qui che prende origine la riflessione morotea sulla necessità della partecipazione dei giovani come strumento insostituibile di integrazione politica.
«I giovani chiedono un vero ordine nuovo, una vita sociale che non soffochi, ma apra liberi spazi... La richiesta di innovazione, naturalmente comporta la richiesta di partecipazione... Non è solo una rivendicazione, ma anche un dovere e un'assunzione di responsabilità».
Moro si accorge della correlazione profonda tra partecipazione e vitalità delle istituzioni. E osserva con amarezza, nella sua esperienza di docente universitario, il silenzio, il vuoto, «un'assenza diffusa, una partecipazione occasionale e distratta che mortifica gli sforzi di chi voglia comunicare con i giovani per la scienza e per la vita» (Il Giorno - 25 Ottobre 1977).
Così, in un altro articolo – dal titolo significativo «I giovani e la politica» – Moro esamina con grande preoccupazione il dato dell'alto numero di astenuti nelle esperienze democratiche occidentali. Intuisce con la disaffezione alle.urne colpisce soprattutto l'elettorato giovane. Moro non ha certo una visione elitistica della democrazia, la concezione per cui il governo del popolo si trasforma nel governo dei pochi che vogliono; il grande astensionismo non è segno della «maturità del sistema». «Ci si rende conto di quale enorme potenzialità di intelligenza e volontà resti escluso in tutto il mondo nelle decisioni sulla comunità, e come sia ancora oggi limitato il controllo dei diretti interessati a garanzia della giustizia e della pace». Moro si accorge dell'inversione di tendenza, di una carente risposta delle istituzioni che provoca disillusione. «È da ritenere che sia in atto un ripensamento, che ci si domandi come e con quali fini si possa assumere il proprio compito nel mondo». Anche stavolta, il malessere giovanile è il segno di un fenomeno più generale. I gendarmi dell'ordine rassicurante potranno gioirne, ma ad una democrazia non giova la rassegnazione, l'indifferenza, la stanchezza, la normalizzazione.
«Affezionare i giovani alla politica (una politica che sia degna di loro) può essere oggi un grande compito per la classe dirigente tutta intera, al governo come all'opposizione, anche questa discontinuità è il segno della nostra crisi. E se i giovani entrassero in modo serio nel dibattito politico per portarvi le loro speranze, o anche solo generose illusioni, potremo dire che questa crisi delle coscienze prima che dell'economia e dell'ordine sociale, comincia ad essere superata».
Moro intervenne al Congresso Nazionale del Movimento Giovanile DC, a Bergamo, nel 1977.
Ricordò alla DC che la vitalità di un partito si misura soprattutto sulla sua capacità di parlare ai giovani, di persuaderli, di impegnare a sostenerli, sia pure nelle posizioni più avanzate, la loro visione del mondo il loro progetto di convivenza civile. Fu l'ultima occasione in cui parlò ai giovani dc. Ho sempre l'impressione di un presagio cupo quando rileggo il passaggio in cui ci esortava a non essere ingenui ma nemmeno fatalisti rispetto alle difficoltà del fare politica.
E poi, quasi con un dire sapienzale: «... non si sceglie il proprio tempo, né si ha sempre diritto nella vita a cose esaltanti».
Però cambiare il proprio tempo e cercare compiti esaltanti rimane il profilo alto della nostra esperienza di giovani in politica. Contro ogni angoscia indifferente, furbizia o mediocrità che ci assale; contro l'ideologia feroce e impazzita che ci fa testimoni dell'assassinio di Roberto Ruffilli. Anche lui, come Aldo Moro, morto per la costruzione della città dell'Uomo.













































