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«Difendo Don Milani e la scuola di Barbiana» - G. Cardarelli, ed. Lo faro, Roma 1983, pp. 127, L. 7.000.

Nuova Politica - «Difendo Don Milani e la scuola di Barbiana» - G. Cardarelli, ed. Lo faro, Roma 1983, pp. 127, L. 7.000. pagina 25
Nuova Politica - «Difendo Don Milani e la scuola di Barbiana» - G. Cardarelli, ed. Lo faro, Roma 1983, pp. 127, L. 7.000.

Di Don Milani si è detto che è stato un profeta, che parlava per una realtà e per un mondo che non appartenevano al suo tempo. Oggi, il libro del Prof. Giovanni Cardarelli: «Difendo Don Milani e la scuola di Barbiana», ci permette di approfondire la conoscenza su Don Milani e del suo messaggio di civiltà. Un uomo scomodo dunque. Certo: è il giudizio che cade maligno su chi ha il coraggio di pensare fuori dagli schemi proposti dalle «mode» e dall'«andazzo» del momento: Don Milani non faceva populismo, né indulgeva al calcolo politico ed alla ricerca del consenso. Per chi era scomodo Don Lorenzo? Per lo «status quo», voluto dallo establishement politico-economico-militare e per la relativa «connection» con il mondo dell'insegnamento, dell'Università, dei salotti culturali dell'ovvio e dello scontato. Non era il suo moralismo di maniera, non opportunismo e nemmeno manicheismo; era invece un messaggio coraggioso, pulito, diretto al cuore di tutti gli uomini, anche dei non credenti: Don Milani parlava e pensava a favore della non violenza, della pace, del rispetto, del sacrificio, dell'impegno, dell'aiuto ai poveri: tuttavia non si limita, a a parlare cd a pensare, ma calava continuamente nella pratica quotidiana i suoi ideali e così, era proprio la scuola il terreno che considerava più adatto per l'applicazione di quei principi. Voleva una scuola compagna e maestra di vita, seria sì, ma non penalizzante, che aiutasse il giovane ad integrarsi nella società, non ad emarginarlo ed a frustrarlo; una scuola quindi calata nella vita, con rispetto per la dignità di tutti, anche di chi per condizioni economiche e sociali poteva entrare «già bocciato» dalla pagella, una scuola da vivere non in modo estraneo, non ostile, come una fase della vita del giovane da superare e da dimenticare al più presto; una scuola così non serve al giovane, ma soprattutto non serve alla società. Come la scuola può contribuire a calare i giovani nella vita? Risponde Don Milani: insegnando la «legalità» ed i principi.

Un esempio: il problema allora estremamente scottante dell'obiezione di coscienza e della difesa degli obiettori in carcere. Non solo per il cristiano, ma anche per il «buon cittadino» è doveroso il rifiuto della violenza e tale rifiuto non significa certo disobbedienza alle leggi.

Il rapporto che Don Milani auspica tra i giovani e le leggi è di grande apertura e senso di responsabilità: non è buon cittadino (né buon cristiano) chi si limita ad osservare supinamente le leggi, con spirito acritico di rinuncia o di adulazione. La forza della legge. in quanto base dello Stato di Diritto, sarà tanto più viva e sentita quanto più tutti, a cominciare dai giovani, si adopereranno per migliorarla, per calarla nella società, per renderla più giusta.

La scuola deve far nascere nel giovane il senso di «legalità». Il cittadino partecipe è il cittadino del futuro; la legge che nasce da un popolo cosciente è il potere più giustificato che possa mai esistere.

È un messaggio che trae origine da principi profondi e radicati di libertà e di rispetto, tenuti da Don Milani in considerazione sacra e giustamente, afferma il Prof. Cardarelli, che non può essere giudicato anarchico Don Lorenzo quando dice che è di grande esempio chi «viola la legge di cui ha coscienza che non è una buona legge ed accetta la pena che essa prevede» perché, «chi paga di persona, testimonia che ama una legge migliore e cioè che ama la legge più degli altri». L'Autore giustamente riporta per intero queste parole di Don Milani: «posso solo dir loro che i giovani dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando in vece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte), essi dovranno battersi perché siano cambiate».

E certamente un messaggio ed una esortazione ad una nuova coscienza, ad una nuova responsabilità, ad una nuova partecipazione; e soprattutto è un messaggio attuale e modernissimo in tempi, come quelli attuali, in cui quasi tutti sono attratti dal comodo riflusso.

Limpido è il pensiero sulla non violenza: Don Milani attraverso l'opera del professor Caldarelli afferma che gli oppressi non saranno liberati con la violenza. Una frase in particolare è idonea a rendere con semplicità la forza e la validità del collegamento «uomo-citadino-legge-giustizia-libertà»: «mi pare che le leggi degli uomini nel breve corso della mia vita abbiano progredito a vista d'occhio. Condannano oggi tante cose cattive che ieri sancivano. Oggi condannano la pena di morte. L'assolutismo, la monarchia, la censura, il razzismo, l'inferiorità della donna, la prostituzione, il lavoro dei ragazzi. Onorano lo sciopero i sindacati, i partiti». Tormentato, carico di dubbi e di timore, il discorso sulla guerra. Esistono guerre giuste? No, è difficile. Tutte sono dunque ingiuste dice Don Milani, sarebbe giusta la guerra di difesa, non certo l'aggressione per primi e l'offesa; tuttavia quando l'azione di difesa non sconfina, nel nostro animo, nella vendetta? E la vendetta non può essere in alcun modo giustificata. E gli ordini che spingono la guerra? Bisogna avere la forza e la responsabilità di respingerli con una grande coscienza!

Futuro come pessimismo o futuro come ottimismo?
Federico Mioni
«Le città e le autonomie» a cura di Lucio D'Ubaldo

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