La tela di Penelope
Che i problemi della scuola siano all'ordine del giorno, non è cosa nuova. Forse sarebbe più giusto dire che lo sono ormai da diversi lustri. Non è dunque quasi più una novità che si continui a cercare ancora oggi, come è necessario, una soluzione chiara ed efficace a tutti i quesiti che continuano ad arrivare da questo mondo. Anzi oggi, per la evidente distanza riscontrabile fra mondo giovanile e del lavoro e quello che invece è il servizio che l'istituzione scolastica è in grado di offrire, il problema scuola pare essere tornato con nuova forza sulle prime pagine dei giornali e sulle scrivanie dei principali segretari di partito.
Quello che stiamo vivendo sembra essere perciò un passaggio piuttosto vivacizzato (talvolta anche un poco strumentalizzato), della vita della scuola. Ma ciò, e va notato subito, sul piano nazionale come su quello internazionale, anche se spesso con motivazioni ben diverse. Subito ci vengono alla mente le recenti manifestazioni degli studenti cinesi, anche se in questo caso la genesi del movimento ed i suoi stessi obiettivi sembrano indicare con chiarezza che questi ragazzi siano più figli di Deng Xiao Ping e del suo riformismo piuttosto che della «fantasia aJ potere» di sessantottesca memona.
In Francia abbiamo osservato nell'autunno scorso un movimento che ha ricordato il caldo ma lontano «maggio francese» ma anche qui solo per la larghissima partecipazione. Ma se quella dell'86 è stata una mobilitazione di massa, apolitica (nel senso migliore del termine, cioè senza alcuna sponsorizzazione di partiti o movimenti politici) e con lo scopo ben determinato di rimuovere un progetto governativo elitario e neoliberista, in Italia questo non si è verificato. E ciò per l'evidente mancanza di analogia di premesse.
Il movimento dei «ragazzi dell'85» è stato più notato per le Tymberland dei suoi protagonisti che per le sue stesse richieste, a dire il vero, vaghe almeno quanto le sue premesse. Ancora nell'autunno '86, abbiamo assistito al tentativo di chi, con un massaggio cardiaco artificioso quanto infruttuoso, ha cercato di riportare in vita questo stesso movimento studentesco italiano scomparso da alcuni mesi. Possiamo però dire che l'unico risultato tangibile a cui si sia arrivati, sia stato quello di avere promosso, per lo spazio breve di un mattino, i «ragazzi dell'85» a «ragazzi dell'86». E proprio in questo contesto, come facilmente si può notare, non troppo facile, che si è inserita la conferenza nazionale sulla scuola organizzata dalla DC. Aperta al contributo di molte forze del mondo cattolico, di quelle del sindacato e di quelle dell'imprenditoria pubblica e privata, la conferenza non ha certo deluso le aspettative, o almeno in gran parte le ha rispettate.
Per potere capire meglio quello che è stato il filo' conduttore della discussione e quindi per rendersi anche meglio conto di quelli che sono i reali problemi della scuola, la cosa migliore è studiare subito la parte introduttiva della relazione del responsabile dell'ufficio «scuola e ricerca» del partito, On. Tesini. Il fatto nuovo della scuola di questi ultimi anni è che la imponente scolarizzazione di massa, ha messo in çrisi i sistemi scolastici tradizionali. E ciò ha causato «non solo una moltiplicazione degli utenti del servizio scolastico, ma di una domanda di cultura e di professionalità sempre più diversificata e personalizzata, causando un divario fra richiesta e offerta formativa, in termini soprattutto di qualità».
Emerge così con la massima chiarezza un dato: che il problema scuola non è affare esclusivo di questo o quel paese. È invece una questione con cui tutti i paesi industrializzati dovranno prima o poi fare i conti.
Fatta questa dovuta premessa, sarà ora più semplice comprendere ciò che questa conferenza ha rappresentato e quelli che sono stati i contributi che sono arrivati al convegno dai suoi partecipanti. Fra questi i più interessanti sono stati ad esempio quelli portati dall'esponente de «Il Confronto» che in primo luogo ha chiesto una maggiore autonomia per scuole ed università che possa assicurare a queste un maggiore ruolo nella scuola secondaria superiore, come mezzo per combattere il fenomeno degli abbandoni scolastici. Mentre poi Crotti, esponente dei Cattolici Popolari, chiedeva una maggiore valorizzazione delle componenti del mondo universitario, la rappresentante della FUCI ha attaccato il progetto Falcucci-Covatta, chiedendo invece un'articolazione dei diplomi a livello universitario permettendo così, per quanto riguarda l'insegnamento, ruoli diversi all'interno dell'università.
Non è mancato neanche l'intervento del locale «comitato studentesco» di chiara ispirazione figiciotta che ha rappresentato in un certo qual modo anche una nota di colore, anche per il «look» del suo esponente, decisamente unico in sala. Invocate, come da copione, le dimissioni del ministro Falcucci, tacciato di autoritarismo, è stato chiesto che un comitato studentesco riconosciuto per ogni scuola possa ammm1strare parte del bilancio della stessa scuola e che l'insegnamento dell'ora di religione venga spostato fuori dall'orario scolastico. (Ma qui permetteteci di ricordare che su questo argomento ci si è tenuti strettamente a quelli che sono i patti concordatari che in parlamento sono stati votati da tutte le forze dell'arco costituzionale, anche da quelle forze che oggi attaccano l'attuazione di queste norme).
Da parte del presidente dell'IRI Prodi non poteva non venire un'analisi del problema scuola dal punto di vista del sistema produttivo. «Il nostro sistema manca nella formazione tecnica e dopo la scuola non esiste altra strada se non l'università. La chiave della riforma, ha sostenuto Prodi, sta proprio in questo, nell'interpretare questa esigenza, perché solo così il tasso di sviluppo potrà crescere al calare della disoccupazione. Restando in tema di università, il professor Scoppola, responsabile della commissione che alla conferenza si è occupata proprio di questo settore, ha affrontato in primo luogo il problema delle tasse. Oggi come oggi queste riescono a coprire solo una minima parte di quello che sono le · spese per ogni studente. Ma l'innalzamento dei contributi non deve essere una mera operazione contabile, deve essere una manovra di diritto allo studio che comprenda anche la programmazione e l'indirizzo degli accessi e che mantenga d'occhio le esigenze dei più deboli. Scoppola ha invocato al tempo stesso misure di meritocrazia, o se preferite, atteggiamenti manageriali, che eliminino .la struttura impiegatizia che caratterizza l'università di oggi. Un intervento per certi versi in linea con quello del professor Mazzocchi che analizzando il rapporto tra mondo bancario e mondo dello studio, ha osservato che le banche, mentre offrono prestiti per qualsiasi tipo di investimento, rifiutano l'«investimento in capitale umano». Ebbene questa proposta dello studio come investimento economico, pare essere una delle idee più originali emerse a Bologna, o comunque una proposta delle più moderne ed originali.
Ma l'intervento senza dubbio più atteso alla vigilia era quello del ministro Falcucci. Dopo una vasta analisi del pianeta scuola e delle indecisioni che il mondo politico ha sempre avuto a proposito, il ministro ha concluso che le colpe della situazione che si è creata, sono di tutti i partiti e che per superare l'attuale situazione di stallo, occorre un'alleanza che vada al di là di q_uelli che sono i confini della maggioranza.
Volendo riassumere quelli che sono i perni del problema e quindi i risultati della conferenza stessa, otteniamo che essi sono, come ha detto in conclusione De Mita, il diritto allo studio, la qualità dello studio stesso e l'autonomia per le università. La soluzione del problema scuola ha aggiunto De Mita, non si può trovare assolutamente negli sbarramenti improvvisi, ed il numero chiuso ne è la chiara riprova, ma nella meritocrazia.
Questo dunque il senso di una conferenza che se da una parte ha analizzato i problemi della scuola dal punto di vista del mondo del lavoro e del mondo dell'insegnamento e della ricerca, pare essersi dimenticata dell'analisi del problema nell'ottica dello studente, che vive in prima persona l'abbandono e le contraddizioni della scuola di oggi. Per un convegno di tale portata, non è stato certo sufficiente l'intervento del solo Lusetti per l'analisi dei problemi dal punto di vista del mondo studentesco.
Se dunque la conferenza è stata carente in qualche punto, pensiamo di averlo identificato.
La scuola italiana è ormai stanca di aspettare riforme che sembrano somigliare un po' troppo alla famosa tela di Penelope. «Ci sono punti obbligati da risolvere al più presto: primo quello di ridare alla scuola di Stato una effettiva libertà. In Italia non solo non è libera la scuola in genere, ma neppure è libera la scuola che dipende dallo Stato. Questa è burocratizzata, dalla elementare alla media e sotto molti aspetti alla universitaria. Libri di testo, tasse scolastiche, nomine di insegnanti, trasferimenti, esami, concorsi, licenze, permfìssi, pensioni, tutto è statizzato»; in questo modo si esprimeva Don Sturzo diversi anni fa. Eppure purtroppo sembrano parole pronunciate oggi. La scuola italiana riparte allora da Bologna? Questa pare essere l'intenzione, o quanto meno la speranza.



















