Giovani '85: al di là della cronaca
Sono tendenzialmente scettico di fronte alle semplificazioni se rileggiamo i quotidiani e la stampa impegnata del dopo '77 (l'anno del crepuscolo del '68) ci rendiamo conto del giudizio un po' affrettato dato alla nostra generazione; il più benevolo era travoltista poi duraniani poi ancora, a secondo delle mode, del momento, paninari, discotecari, scoppiati. Un giorno accade che la generazione delle «Timberland» e di «Alé-oo» scende in piazza, pare si renda improvvisamente conto dei suoi problemi riscopra la politica tenuta per anni nel diario dei ricordi, scelga gli obiettivi contro cui lottare, insomma rinneghi in pochi giorni il suo vergognoso passato di generazione disimpegnata. Ora è chiaro che per quanto simpatici od antipatici siano la Falcucci, Goria, Craxi non è immaginabile che in così poco tempo la loro presenza possa divenire foriera di tanto.
Lo scetticismo per le semplificazioni si rafforza poi quando si passa dalla costatazione empirica dei fenomeni all'analisi più seria dei dati sulla condizione giovanile ed il suo rapporto con la politica: la ricerca IARD confrontata con analoga inchiesta del 1968 fa giustizia di ogni assurda semplificazione mostrandoci dati in parte almeno inattesi: negli anni caldi della partecipazione politica e sindacale solo il 10% dei giovani riuscì ad esserecoinvolto; oggi la politica è più diffusa che negli anni 60 perché cresce l'area di chi si occupa saltuariamente di politica; infine si riduce l'area di chi fa l'attivista il «nocciolo duro» della partecipazione politica.
Quindi mi pare che, con maggiore riflessione vadano rivisti molti giudizi approssimativi, spesso costruiti sull'emozione di cortei più o meno lunghi o frutto di tentativi, in vero mal riusciti, di far divenire i giovani quello che a certe federazioni di partitogiovanili farebbe comodo che fossero.
Ma rilevato tuttociò non sono nemmeno convinto che tutto sia rimasto come prima né che la pagina scritta in questi giorni dai «giovani 85» possa essere dimenticata né dal MGDC né dai referenti politico-istituzionali: il problema più difficile nascerà quando si saranno spente le luci della ribalta e verrà il momento di compiere una riflessione critica e concreta. Ma insomma che cosa chiedono o meglio che cosa chiediamo alla classe politica ed al paese?
1. L'esigenza forse meno avvertita dai mass-media forse nemmeno troppo presente nelle riflessioni compiute durante l'autogestione di questi giorni, non appare tanto quella della carenza strutturale della scuola italiana, (che io certi casi è a dir poco preoccupante per responsabilità anche, ed occorre ricordarlo, di Enti Locali insipienti) quanto la carenza culturale dei nostri istituti superiori e la scarsa preparazione professionale che forniscono. Il mondo del lavoro chiede flessibilità, versatilità, alta qualificazione, riconvertibilità delle mansioni assunte e la scuola superiore risponde con programmi vecchi e scadenti, con docenti spessonon aggiornati, talvolta ignoranti, sicuramente demotivati con lodevoli casi contrari, ma sappiamo tutti che le eccezioni confermano la regola Ma non basta: vi è un dato preoccupante generatore di scompensi sul futuro di noi giovani ed è quello dello scarso passaggio alla laurea da parte di chi si iscrive all'Università:si obbietterà chenon tutti si iscrivono per la laurea, che molti lavorano ma resta il dato preoccupante della perdita di notevoli energie in termine economico ed umano per l'insistenza di un servizio di orientamento universitario o, meglio, resta il fatto che l'intera scuola superiore non è capace di orientare il giovane per il suo stesso futuro.
2. La seconda istanza politica che si può cogliere pare possa essere cosi sintetizzata: nessuno può nègare che la spesa pubblica abbia toccato, limiti non più ammissibili; non solo ma nessun giovane è così stolto da non rendersi conto che questo vecchio modo di concepire lo Stato Sociale sta bruciando le possibili risorse per lo sviluppo e quindi per l'occupazione giovanile. Se questi dati sono di comune dominio ne deriva la necessità di creare assieme ai giovani un progetto serio per il loro futuro nel quale allora si potrann9 motivare i sacrifici di oggi se sono finalizzati ad obbiettivi spiegati, condivisi, storicamente e tecnicamente perseguibili. Voglio dire, in estrema sintesi, che i giovani sono disposti a riflettere, a capire, a ragionare forse più di passate generazioni, ma proprio per questo occorre che la politica faccia la sua parte individuando obbiettivi per il futuro e non solo per la gestione del presente. Occorre allora che con la politica si facciano scelte chiare e non contraddittorie, a partire dai ritardi di inteJ."Venti nel settore dell'istruzionesuperiore ed universitaria; non colmando questi vuoti, sarà ben difficile spiegare al mondo giovanile che esiste un progetto di politica economica serio e coerente se poi non risultano dati veri e credibili di cui disporre. Certo sappiamo benechela complessità di questo paese non consente di governare da soli e che sul tema della scuola si scol}trano spesso non solo i partiti ma anche le linee culturali od ideologiche presenti nel nostro difficile paese. Ma è altresì vero che l'attesa è stata lunga e che difficilmente si potrà continuare ad attendere.Sappiamo bene che la mediazione politica è incrisi, macredo eh su questi temi si possa esigere di più anche da partiti della coalizione, in modo da rendere possibile, credibile e seria, la nuova scuola superiore, vigilando poi sull'attuazione del D.P.R. 382/80, resa difficile da ritorni baronali ed anche massonici.
3. Certamente il movimento generato in questi giorni non è alieno da emotività, strumentalità, talvolta perfino da goliardia o da protagonismi, e tutti questi elementi, se presi assieme, rischiano di essere il testo del suo epitaffio. Ma noi dimentichiamo che a noi giovani democristiani, un po' interlocutori, un po' parte che protesta, interessa una sola cosa: che le energie espresse non si disperdano, non ritornino nell'intimità; viviamo come giovani l'angoscia della tranquillità: non ci dimentichiamo che seora il futuro ci pare roseo, senza chiare scelte di breve termine puònon esserlo per niente. Perché l'angoscia non si trasformi in disperazione occorre che la politica recuperi il proprioruoloe che inessa portiamocon lucidità, razionalità, serietà e passione leesigenze non rappresentate di giovani che sperano e vogliono un paese diverso.
Mentre scrivo, la mia sorellina del Liceo di Pisa mi informa che l'occupazione e l'autogestione,è finita, che da domani tutto torna·«regolare», cioè «entro le regole»: ma a non stare dentro le regole resta la condizione giovanile, così articolata e complessa, sicuramente, ma certo tendente anche alla disperazione. Dunque nonci illudiamo; le energie non si disperdono mai, si accumulano ed il nostro ruolo nella società e nel Partito è di cercare di dare ad esse la direzione istituzionale, l'unica, fra l'altro, proficua, qualora esista la risposta. Un giorno la tranquillità del benessere che ci avvolge svanirà ed allora non potremo più pensare a tempi che furono e nei quali non abbiamo saputoscegliere saggiamente, perché allora dovevamo assumerci le nostre responsabilità.
Mi ricordo anche che nel '77,dopo l'occupazionè e la violenza fra «autonomi» e FGCI, si aprirono anni in cui i giovani sembravano muti e disattenti. Speriamo che questo affascinante mondo, di cui noi siamo parte, non scelga le scorciatoie del disimpegno o dell'autonomia. Macerto la proposta della FGCI di questi tempi, cosi populista, semplicista e presuntuosa, non fa ben sperare.
Vorrei concludere con un'ultima osservazione: secondo analisi sociologiche-economiche-politiche, pare che il futuro non debba andare nel senso della solidarietà fra gli uomini ma verso la scelta solo del migliore. Così si parla di terziario avanzato, di cooperative giovanili altamente specializzate, di nuovi managers, di premio peri meritevoli, di giovani rampanti emergenti di scelte elitarie. Ora non v'è dubbio che nella stessa protesta giovanile, vi sia la presenza di elementi corporativi, solidaristi, elitari: credo che se non è valida la scelta dell'appiattimento professionale perseguito anche in sede sindacale, non sia nemmeno seria la strada che non considera l'esistenza di fasce sociali che rischiano di diventare marginali per peso economico e scientifico, ma di enorme peso politico e numerico.
Occorre allora non diminuire le istanze di solidarietà, ma valorizzarle, coniugando assieme le esigenze di valorizzazione delle professionalità avanzate, facendone altresì emergere i riflessi positivi per tutto il Paese. Altrimenti rischieremo di avere un Paese con i migliori tecnici, con l'economia e la moneta più forti, ma avremmo compiuto un passaggio politico elitario. E non è questo il ruolo di un Partito popolare.

















