Qualche passo dopo la Pantera
È l'atteggiamento con il quale le istituzioni e il mondo della politica si sono posti di fronte alle proteste studentesche non è stato apparentemente univoco.
Tra le posizioni più rilevanti emerse possiamo sintetizzare alcune linee. Innanzitutto quella di chi si è posto al fianco della Pantera appoggiando e cavalcando le proteste anche a costo di entrare in contrasto con le precedenti prese di posizione dei propri responsabili di settore nei confronti del "Progetto Ruberti".
In secondo luogo, e specularmente, la posizione di chi si è schierato apertamente contro le occupazioni e dalla parte di chi "vuole tornare a studiare", pur con perplessità più o meno forti sul Ddl. Infine, e forse è stata la posizione nei fatti più diffusa, quella del "muro di gomma", con il lasciare sfogare le proteste in attesa che le contraddizioni interne al Movimento con il passare del tempo ne provocassero la morte per autoconsunzione. All'apparenza differenti, queste posizioni, che pur si sono scontrate polemicamente in tutte le sedi, sembrano accomunate da una mancanza di reale volontà nel recepire quanto emerso dal Movimento. Pare un atteggiamento tattico condizionato dal momento politico incerto e dal ruolo che i mass-media hanno avuto nel gonfiare a dismisura prima e nello sgonfiare improvvisamente il fenomeno poi. La logica del consumismo giornalistico sembra aver condizionato in modo talmente rilevante lo sviluppo della protesta fino al punto di creare un atteggiamento quasi di amore-odio da parte degli studenti, divisi tra l'espulsione dei giornalisti dalle assemblee e la voglia di fare notizia nel modo più spettacolare.
I rischi di un simile atteggiamento da parte delle istituzioni appaiono di portata incalcolabile sull'impatto formativo verso le giovani generazioni.
Il dato che, inequivocabilmente, è emerso dalla protesta studentesca è una forte "volontà di partecipazione"; per alcuni solo voglia di protagonismo, ma comunque da valutare comne espressione di interesse e di atteggiamenti attivi. Ma è apparsa come una volontà labile, quasi improvvisa, segno di una vivacità, ma tutt'altro che strutturata..
Nel momento in cui i riflettori dei massmedia sono a cercare notizie e immagini altrove dopo aver spremuto la Pantera, proprio ora si può trovare quel clima più consono a riflessioni approfondite e interventi seri. Allo stesso tempo è necessario dirigere ai referenti più indicati i contenuti più evidenti della protesta e del disagio.
É necessario qui fare un passo più in là rispetto a dove la Pantera si è fermata, e cercare di incanalare quella protesta, per certi versi generica, verso quei soggetti istituzionali capaci di porre in essere i meccanismi decisionali opportuni. Sono identificabili, operando una sintesi forse un po' approssimativa tre soggetti istituzionali da chiamare in causa.
Prioritariamente i partiti politici, in quanto portatori dell'iniziativa politica nelle sedi istituzionali; in secondo luogo il Parlamento e il Governo nel suo complesso; infine, e più nel particolare, il Governo dell'Università, nei suoi spazi di autonomia e nelle sue articolazioni centrali e periferiche.
Che fare?
Un primo campo di intervento, quello forse più generale, chiama in causa l'atteggiamento e le forme con cui i partiti e le istituzioni gestiscono i sommovimenti della società civile e della condizione giovanile universitaria.
Da questa volontà politica.discendono di conseguenza gli altri passaggi.
Si è già sottolineato come assieme e attraverso l'opposizione al Progetto Ruberti, sia stato espresso un malessere diffuso verso l'organizzazione complessiva della società.
Se l'atteggiamento della politica rimane quello delle tre posizioni precedentemente accennate, il disagio non può che accrescersi. Il senso di impotenza, parallelo magari ad una grande considerazione ottenuta nel mondo dell'informazione e nonostante forme estreme di protesta, non può che generare sentimenti di due diversi tipi: da una parte il radicalismo di un rifiuto sempre più complessivo del sistema, e dall'altra la supina accettazione di uno status quo vissuto con rassegnazione e passività.
Per la tenuta e la crescita del tessuto democratico, si tratta in entrambi i casi di rischi di grande portata, evitabili solo alla radice e non più in seguito. Si tratta di incanalare la voglia di partecipazione emersa e inserirla tra i soggetti istituzionali.
Un problema quindi innanzitutto di atteggiamenti da mutare, magari attraverso iniziative, confronti, forme di dialogo, sia nelle sedi universitarie, sia in quelle istituzionali, che vedano partecipi attentamente rappresentanti e rappresentati, per fare sentire di più le istituzioni come Casa Comune.
Ma all'interno di questa cornice, di questo sfondo, sono necessari oggi più che mai atti concreti di riforma del sistema politico-istituzionale. Pur nella difficoltà di interpretazione della protesta, spesso generica, è possibile leggere alcuni segnali chiari.
I giovani hanno chiesto ai partiti di autoriformarsi, hanno espresso il loro disagio rispetto ali'occupazione delle istituzioni come regola dell'agire politico. Hanno soprattutto marcato il distacco, il fossato quasi che esiste e si è manifestato durante le proteste con le segreterie politiche. In particolare è emersa la inadeguatezza di riflessione culturale all'interno dei partiti, in sede centrale e nelle sedi periferiche, e la rigidità di strutture legate, per alcuni partiti, ad un rapporto ormai fittizio con la base degli iscritti. Netto è apparso lo scollamento e altrettanto netta è apparsa l'aspirazione ad un interessarsi di politica che non passi tuttavia attraverso riti codificati dalla tradizione e propri di un sistema autoreferenziale.
Parallelamente a questo si possono leggere i segnali emersi dall'ultima consultazione elettorale.
Ma se l'autoriforma dei partiti appare come il segnale più diretto, la questione più generale riguarda la riforma delle istituzioni nel suo complesso.
I giovani hanno posto con altrettanta chiarezza l'inadeguatezza delle forme di democrazia rappresentativa nel nostro Paese.
Qui l'itinerario della Pantera è stato molto indicativo, e segnato da un rifiuto iniziale e aprioristico della delega e della rappresentanza in quanto tale, a favore delle forme più ampie possibili di partecipazione, l'assemblearismo e le forme della democrazia diretta hanno poi bloccato qualsiasi capacità decisionale e, al termine, vi è stato un ripensamento su questi fatti.
L'unica risposta forte che le istituzioni possono dare a queste aspettative di partecipazione piena, di tutti, è quella di ridare pregnanza piena all'indicazione che scaturisce dalla partecipazione del cittadino, innanzitutto attraverso il voto. E questo non può che passare attraverso un rapporto diretto tra espressione del voto e tipo di governo. Se questo vale per il Governo nazionale, a maggior ragione vale per quello locale, dove la formazione delle giunte è determinata più che dal voto del cittadino, da equilibri e influenze difficilmente valutabili dall 'elettore comune.
Senza volersi addentrare in una materia specifica, occorre tuttavia sottolineare come solo una serie di riforme, che non tocchino solo il sistema elettorale, può rispondere adeguatamente a queste aspirazioni forti.
In modo non dissimile è possibile leggere un altro dei capitoli importanti della rivendicazione studentesca, quello del no alla privatizzazione.
Benché si sia trattato di un "no" deciso e diretto alle aperture del Progetto Ruberti, tuttavia pare di poter dire con una sufficiente dose di certezza che sia mancata la chiara consapevolezza e conoscenza del ruolo che i privati già svolgono e che potenzialmente possono svolgere in collegamento con l'Università e in rapporto con il mondo del lavoro.
Probabilmente il "no" degli studenti era diretto più alla situazione italiana in cui, in mancanza di una regolamentazione delle concentrazioni industriali, vige la regola del "Far West" e in cui pochi e famosi nomi si spartiscono come in un gioco fatto di influenze sulla testa dei cittadini, spettatori.
Il "no" è stato più a questo sistema nel suo complesso e alla paura che, con le sue forme più degeneri, sbarchi e occupi il sistema universitario. E anche qui la sola risposta possibile passa attraverso la regolamentazione legislativa antitrust e, parallelamente e con egual forza, ad un perfezionamento del rapporto tra Università e privati sulla linea del Progetto Ruberti.

































