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Anni '90. Il tempo di “studiare”

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Nuova Politica - Anni '90. Il tempo di “studiare”

Per chi si diletta con le questioni internazionali, il decennio degli anni 80, appena concluso, è stato un periodo eccezionale e strano.

Se, per gioco, si prova a elencare le acquisizioni della tecnologia o i fenomeni sociali e politici emersi in questo decennio, che ormai fanno parte del quotidiano di molti, e che non erano nemmeno stati concepiti negli anni '70, la lista è lunga, e impressiona lo schiacciamento sul tempo presente e l'annullamento della dimensione della prospettiva che caratterizza la memoria collettiva dei nostri tempi: che dire di radiotelefoni, fax, bancomat, alogene, crack, extracomunitari, cassonetti urbani, swatch, buco dell'ozono, break-dance, treni intercity, macchine fotografiche con l'autofocus, videotel? Provate anche voi ad allungare questa lista di novità degli anni '80!

In questo tempo di mutamento frenetico, tanto frenetico da spazzare le abitudini, per un verso, ma anche da costringere ad un eterno presente, per l'altro, la politica, soprattutto quella internazionale, seguiva tempi e ritmi da cerimoniale diplomatico. La Borsa di Tokyo scopriva il mercato "around the clock" (aperto cioè 24 ore su 24) ma le superpotenze si inseguivano sulla cartina del globo da un conflitto regionale all'altro, come nel Risiko, in nome di opposte ideologie, incapaci ormai di interpretare bisogni, nuove professioni, fenomeni, che niente avevano più a che fare con il modello bipolare partorito a Yalta oltre 40 anni fa.

La dimensione dei problemi faceva esplodere le contraddizioni degli Stati nazionali (rapporti nord-sud, desertificazioni e piogge acide) ma nei due blocchi si parlava un linguaggio da Congresso di Vienna. Il 1989, di cui i nostri nipoti celebreranno tra un secolo il primo centenario al posto della terza ricorrenza della Rivoluzione francese, ha visto la sconfitta storica dell'ideologia che aveva diviso in due l'Europa nel 1917 e in due il mondo nel 1945, e la riscoperta della politica, di una politica più difficile ed esigente.

Sì, perché, se da un lato, la caduta del comunismo è la caduta di una cappa di piombo che ha paralizzato tante, troppe energie, dall'altro, i tempi per chi fa politica oggi, diventano parimenti molto duri.

Si sfarinano le appartenenze: le battaglie non saranno più sull'identificazione in un blocco o nell'altro, ma sul merito dei problemi, e sul merito le rendite di posizione non contano già più, sia per gli sconfitti di ieri, che per i vincitori di oggi. Esplodono contrasti sopìti: nel tempo dell'equilibrio nucleare del terrore, oggi superato, chi avrebbe mai osato parlare di regionalismi, particolarismi di varia natura? Termina l'abbraccio soffocante ma unificante delle ideologie ed eccellera il processo di entropia sociale, del frazionismo, della segmentazione rivendicazionista. Diceva un intellettuale pochi giorni fa "temo che la crisi del comunismo preluda ad una cobasizzazione massiccia della società. Fin quanto resistevano le ideologie, almeno, la gente si comportava secondo il motto non capisco, ma mi adeguo. Oggi esplode l'egoismo sociale di chi non declina le proprie rivendicazioni di fronte a niente".

Sul primo dato di questo 1989, il dato evidente e macroscopico della crisi del comunismo è la rapidità con cui è avvenuta l'autocombustione dei regimi dell'Est: i brontosauri dell'oltrecortina – riguardare i giornali per cred re – sono schiantati, come pezzi del domino, uno dopo l'altro, in meno di 90 giorni. Se si eccettua la cancellazione dalla storia dei comunisti polacchi, avvenuta con un colpo di lapis il 4 giugno in contemporanea col massacro di Tienammen, che era già matura nell'aria, e si eccettua la tragica farsa in due tempi della rivoluzione rumena – che oggi mostra il suo vero volto gattopardesco da congiura balcanica di fine secolo - tutto crolla fra la metà di settembre e la metà di dicembre dell'anno scorso.

Una classe politica, ritenuta a torto inespugnabile, che è caduta al soffio delle società civili, ma che probabilmente è morta come morirono i dinosauri: ipertrofici, giganteschi, ma lenti e stupidi, senza sufficienti collegamenti nervosi e muscolari tra cervello ed arti troppo lontani.

Il 1990 è iniziato sotto un buon segno: il disgelo sudafricano, l'unificazione tedesca, le elezioni in Nicaragua.

Ma una cosa è certa: questo è il tempo in cui la politica cerca una sua ridefinizione, schiacciata com'è fra l'americanizzazione delle guerre per procura parlamentare tra lobbies e la reazione, talvolta scomposta, della società civile, a sua volta divisa fra leghe e forum civici. Questo è il tempo ed il decennio in cui la carta geografica del pianeta verrà ridisegnata (esperimenti economici federativi in sud America, riunificazioni yemenite, coreane, tedesche ed europee, divisioni sovietiche).

Questo è il tempo in cui la politica dovrà sperimentare interdipendenze e sinergie, se vuole imitare ciò che di buono si muove, per mettere mano ai cosiddetti "problemi assoluti" (nord-sud, riconversione militare, ambiente).

Questo è il tempo delle società, preconizzate dalla fantasia cinematografica di Blade Runner, dove lingue, costumi, colori, religioni, si mischieranno gomito a gomito, che La Malfa lo voglia o no. tempo cioè di navigazione in mare aperto, anzi apertissimo. Per chi, soprattutto se giovane, crede nella politica, è il tempo di rimettersi in discussione, radicalmente, è il tempo della formazione politica sui problemi vecchi e nuovi, è il tempo di assumere la responsabilità di fronte ad un cambiamento che ci investe come un ciclone.

Per dirla in una parola, con don Milani, è il tempo di "studiare, studiare, ancora studiare".

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