Sconfiggere la cultura della morte
La droga produce la morte, morte come evento naturale di un processo di assuefazione dell 'organismo umano alle sostanze stupefacenti, morte come cultura che noi rifiutiamo, perché drogarsi significa, in definitiva, rinunciare a vivere.
Se l'illiceità dell'uso degli stupefacenti è la premessa indispensabile per avviare ogni confronto, diverse sono le soluzioni prospettate per risolvere la questione. Si spazia dalla liberalizzazione alla punizione in un tessuto psicologico di sostanziale rigetto e fastidio verso l'arcipelago droga rendendo, implicitamente, sussidiarie le ipotesi di intervento più significative ed efficaci, anche sotto il profilo etico, identificabili con il recupero, la rieducazione e la riabilitazione dei giovani tossicodipendenti.
Con la liberalizzazione si aggira il problema trasformandolo, fittiziamente, in un "non problema" mentre con la carcerazione si mette da parte il "diverso" in attesa che si ravveda, posizioni che non risultano condivisibili e caratterizzate da un sottile cinismo, da un inaccettabile egoismo, da una carenza di solidarietà verso le persone sfortunate inciampate in una spirale da cui è difficile emergere.
Il profilo carcerario palesa, ad una analisi più approfondita, degli aspetti aberranti: non sono assimilabili il mercato criminale ed il flagello sociale della droga, differenti sono i cardini endogeni del tossicodipendente delinquente rispetto al criminale comune, co- sì come non è possibile paragonare il consumo della droga a nessun altro delitto, perché quest'ultimo postula nell'autore l'esistenza di una coscienza e volontà che mancano o quanto meno risultano fortemente scemati in chi si droga: egli è un criminale, un criminale suo malgrado.
Una cosa è rievocare il precetto, altro definire la faccenda, tenendo presente che la legge appena approvata deve tendere al "educare non punire".
In quest'ottica dev'essere valutato favorevolmente lo stanziamento previsto per le Comunità di recupero, per le carceri divenute il coacervo di omosessualità, droga e criminalità, che si intrecciano minando il funzionamento della nuova normativa.
Auspicabili sarebbero la previsione di un maggiore organico per gli operatori nei servizi sociali, specie con riferimento alla prevenzione, il potenziamento dell'Ufficio Centrale Antidroga Italiano e di quelli all'estero, lo studio approfondito delle risultanze del cospicuo lavoro profuso dalla Commissione parlamentare di indagine sulla condizione giovanile, una rinnovata strategia dell'attenzione verso il volontariato affinché si creino sinergie con il pubblico, nelle aree che la nuova legge intende privilegiare.
La cultura della droga è cultura della dipendenza, dell'annichilimento del libero arbitrio, pertanto, la "ratio" che dovrà permeare detti interventi dovrà essere chiara per tutti: liberazione dal bisogno droga intesa come liberazione dai bisogni, in una visione di recupero delle individualità dei giovani tossicodipendenti.
Principi di vita contro princìpi di morte.













