I «Numeri» delle forze armate
Le forze armate italiane, quali numeri, quali strategie, quale situazione.
È possibile saperne di più? È possibile analizzando il «Libro Bianco sulle forze armate» che da qualche anno il Ministero della Difesa pubblica allo scopo di informare il Parlamento e l'opinione pubblica sulla situazione generale della Difesa italiana. Quanti sono, innanzitutto coloro che ogni anno prestano servizio militare di leva e quanti i volontari? In una decina di anni, dal 1974 ad oggi i numeri non sono poi cambiati molto: si va dai circa 280.000 «incorporati» in Esercito (237.702) Marina (13.387) e Aviazione (21.183) ad una cifra approssimativamente uguale nel 1984 (279.857).
Unica novità, ma non estremamente rilevante l'aumento di volontari, che erano 1669 nel 1974 (686 nell'esercito e 973 in Marina) mentre sono divenuti 2200 nel 1984 (963 nell'Esercito e 1237 in Marina).
Se si considera che nel frattempo il fenomeno dell'obiezione di coscienza ha raggiunto proporzioni rilevanti (5000 istanze nel 1980, oltre 10.000 nel 1983) appare chiaro che la «dotazione» in uomini delle forze armate italiane è rimasta identica in questo decennio e la nascita di nuove situazioni giuridiche quali il riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza ed al servizio civile alternativo, come anche l'iniezione di democrazia rappresentativa (con elezione di rappresentanti militari per ogni livello), non ha intaccato minimamente la struttura delle nostre forze armate.
Alcuni dati risultano poi ancora più interessanti rispetto ad alcuni luoghi comuni ed anche ad alcuni fatti di cronaca degli anni passati; se si prende ad esempio una classe di leva (in questo caso il 1964) risulta che su 508.000 iscritti alle liste di leva '64 i riformati sono circa 25.000, ma con percentuali che variano da regione a regione.
Dai dati percentuali pare chiaro che i più ligi al dovere sono i giovani meridionali, e in particolare i siciliani (solo un 4,31 per cento di riformati) a differenza della regione Tosco-emiliana che raggiunge il massimo percentuale di «riformati» con il 5,62 per cento degli iscritti alle liste di leva.
Le domande di «dispensa» dal servizio militare sono 30.000 circa all'anno, ed in particolare, per prendere una classe di leva ad esempio, per gli iscritti «arruolati» della classe 1965, che sono stati 390.043, le domande di «dispensa», che in genere vengono presentate da giovani che ritengono di averne diritto per le condizioni familiari precarie o comunque «meritevoli di essere salvaguardate» (ammogliati con prole, unico reddito familiare, figli di genitori gravemente ammalati...), sono state 28.649, in media il 7,34 per cento degli arruolati.
Di queste domande solo il 50,83 per cento, cioè 14.563 sono state accolte: o la metà «ci prova» o la legge è restrittiva ed antiquata!
Altro dato che tocca situazioni che una nuova legge di riforma dovrebbe sanare è la presenza di militari che prestano servizio nella propria regione; attualmente, sono dati del 1984 gli ultimi a disposizione, alcune regioni vivono più di altre il disagio di avere «in casa» enormi contingenti militari o, al contrario di vedere i propri militari sparsi per l'Italia.
Se prendiamo ad esempio un contingente del 1983, scopriamo che sui 2107 siciliani oltre la metà presta servizio nel resto del Paese con evidenti problemi economici e sociali, mentre, dei 15.311 friulani ben 13.000 prestano servizio nell'Italia nord-est.
È chiaro allora che già anche questi pochi dati, tratti da pubblicazioni della difesa e da comunicazioni al Parlamento, evidenziano alcuni limiti di una futura possibile (ed auspicabile è ovvio) norme sull'arruolamento, sulla presenza territoriale, sulla stessa dislocazione delle caserme, che tanto incide nel rapporto con la società, dipendono dalle strategie organizzative del Ministero della Difesa e delle gerarchie militari.
È infatti impensabile immaginare norme precettive, imperative, che per legge dispongano la regionalizzazione del servizio militare di leva se non interverranno cambiamenti nella strategia della difesa italiana, tutta concentrata su un possibile attacco da nord-est, in dipendenza della quale è logico che circa la metà delle nostre forze armate siano schierate in Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, e di rincalzo in Lombardia ed Emilia-Romagna.
Nel libro bianco della difesa questa strategia è ben identificata e su di essa si predispone la richiesta finanziaria del Ministero.
Si prevedono cinque missioni interforze.
La prima è la «Difesa a nord-est», ritenuta prevalente rispetto alle altre missioni italiane, per essa sono dislocate 20 brigate, di cui 12 in Zona (Veneto, Friuli, Trentino) e 8 di rincalzo (Lombardia).
Per questo settore il Ministero della Difesa prevede nel 1986spese per armi controcarri (elicottero A129, sistemi lanciamissili 260 miliardi) e un inizio di spesa per armi contraeree che nel decennio si tradurrà in un impegno di 2500 miliardi di lire per i sistemi missilistici Aspide e Mistral; da questo anno si realizzeranno anche prototipi di carri armati «di seconda e terza generazione».
La seconda missione interforze è la «Difesa a sud e alle linee di comunicazioni marittime», una difesa che, a fronte degli ultimi avvenimenti internazionali nel Mediterraneo torna prepotentemente in primo piano.
Oltre l'impegno della Marina (il settore più economico della Difesa: solo 900 miliardi di lire all'anno per le sue funzioni ...) c'è quello dell'Aeronautica con F-104(tristemente noto come «bara volante» per i numerosi incidenti avvenuti nel passato), MRCA Tornado, G- 91 e Atlantic antisommergibili.
Questo impegno dell'Aviazione è collegato alla terza missione interforze «Difesa Aerea» per il quale un ammodernamento con il caccia europeo per gli anni '90 (Efa) e l'AM-X (onere di 3700 miliardi di lire).
Quarta e quinta missione interforze la «difesa operativa del territorio» per la quale il Ministero della Difesa propone una spesa pluriennale di 3300 miliardi di lire e le «Azioni di pace, sicurezza e protezione civile» nella quale il Ministero inserisce una FOPI (Forza di pronto intervento) pronta a collaborare con le autorità civili in caso di calamità naturali.
Niente a che vedere con la Spadoliniana FOIR (forza di pronto intervento) che, forse per emulazione della «Delta Force» statunitense, il «nostro» Ministro della Difesa vorrebbe inserire nei programmi futuri, e sulla cui costituzionalità ci sarà molto da discutere. Nel 1986 però l'agguerritissimo (è il caso di dirlo!) Ministero Spadoliniano continuerà a spendere per i suoi «rambo» di leva e volontari solo il 60 per cento del bilancio della Difesa che vedrà una buona fetta (il 40 per cento) «divorato» da spese per il personale (e ben 346 miliardi per non meglio specificate «funzioni esterne»)!
A questo punto una riflessione è d'obbligo: una riforma del servizio di leva seria per chi continua a prendere 90.000 mila lire al mese per un servizio alla Patria così scadente è il minimo.
Ma non è nulla, se non si risana la situazione di bilancio del ministero, e questo è possibile solo se la strategia della difesa italiana cambierà trasformando strategie militari e organizzazione interna; democratizzando sempre più le forze armate fino ad una difesa popolare, magari territoriale e, speriamo, non-violenta per sempre.















