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Soggetto e comunità

Nuova Politica - Soggetto e comunità pagina 26
«Per una comunità luogo del soggetto» è il titolo di un breve saggio che Francesco Viola ha pubblicato su «Vita e Pensiero» (n. 7-8/85). L'autore parte dalla costatazione dell'«oblio del soggetto» nella cultura moderna: in questa infatti troviamo sempre meno legittimato il concetto di «persona», a volte rimosso, a volte definito (ma solo in quanto «soggetto», non in quanto «persona») in delazione ad una «collettività». Anzi, e non mi sembri un gioco di parole, «collettività» oggi significa soprattutto «relazione»: il soggetto in sé per sé non è definibile, lo può essere solo (per molte correnti culturali contemporanee (nel momento in cui si pone .«in relazione» con una realtà ad esso esterna, sia essa il sistema normativo (Kelsen: l'uomo come produttore-destinatario di diritti e di doveri, facoltà e obblighi), il sistema sociale (Luhmann: l'uomo come protagonista di azioni-interazioni col sistema in cui vive), o un'ideologia (in particolare quella marxista).

Altro concetto che pare essere stato esiliato dall'attuale orizzonte culturale è quello di «comunità», intesa non nel senso attribuibile da Tönnies (per il quale è un'entità prevalentemente affettiva intimistica e organicistica, contrapposta alla «società» dal carattere contrattualistico, spersonalizzante e pubblico), ma neanche come sinonimo di «comunione», che attiene soprattutto al rapporto di fusione interiore tra soggetti. Viola intende riferirsi alla polis greca e alla civitas medievale, recuperate non come modelli storici (operazione chiaramente impensabile), ma in alcune loro caratteristiche di regolamentazione della vita associata.

In particolare della comunità si deve forse riscoprire la centralità in essa attribuita al «bene comune», un bene che è «morale» ma anche «storicamente determinabile» che richiede un'opera comune ma presuppone nel contempo una comunicazione tra le persone. La conclusione è che «dove manca il bene comune manca anche la comunità, e dove manca la comunità manca anche il luogo in cui la persona riconosce sé stessa come tale e gli altri come persone».

Ecco allora che si pone il problema di riportare lo stile della comunità in una città e in una società considerate molto spesso o un sistema da governare o una macchina produttiva da far funzionare a pieni giri. E si badi bene, la riscoperta di uno stile comunitario (inteso non in un'accezione solo urbanistica o strutturale, ma come capacità di ascolto, scambio ideale, affettivo e ludico perfino come comunicazione spirituale) è tanto più necessaria quanto più si registra nella nostra società una dislocazione di questa domanda di comunitarietà in altre sedi, come le associazioni dai più vari scopi, i movimenti, i fenomeni collettivi di gruppo, che non hanno in necessario carattere di generalità per rispondere compiutamente a questa domanda (che resta quindi molto spesso evasa, anche per un deficit del fattore educativo e dialogico), ma che si pongono pur sempre come referenti di questi bisogno che sale dal basso.

Quindi, conclude Viola, «se ci interroghiamo sulle ragioni del tramonto della comunità come forma direttiva delle relazioni sociali, possiamo anche rispondere che esso dipende dal tramonto della persona e dall'affermazione dell'uomo come creatura di passioni. La persona e la comunità sono interdipendenti. L'una non cade senza l'altra»... Ecco perché oggi v'è «una tendenza insopprimibile verso la comunità», che però non riesce ad esprimersi in strutture operative.

Alle radici della disoccupazione
Nino Galloni

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