Un potere esecutivo «normalizzato»
Le riforme istituzionali sono un impegno preso, un primo risultato lo abbiamo raggiunto, altri seguiranno nei prossimi mesi così, soddisfatta quanto il presidente del Senato Giovanni Spadolini, la comunista Nilde lotti, durante la tradizionale cerimonia del ventaglio, ha parlato della approvazione definitiva della legge n. 400 del 23.9.88 sull'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il tentativo di codificare e regolare per legge l'ordinamento della Presidenza del Consiglio ha caratterizzato lunghi periodi delle varie legislature repubblicane, fino ad arrivare ai nostri giorni dove è cresciuta la convinzione che il tempo delle riforme istituzionali è oramai maturo. Una domanda di maggiore capacità decisionale, introdotta con la predetta riforma, determina oggi, con il conforto di un quarantennio di libertà repubblicana, una centralità significativa al tema non certo nuovo delle riforme istituzionali, verso la quale convenga ora un vasto arco delle forze politiche, anche di opposizione.
La riforma della presidenza del Consiglio, inserendosi nel più ampio dibattito delle riforme istituzionali, intende ripristinare l'efficienza del circuito delle decisioni politiche, con la chiarificazione e la definizione dei compiti propri del Presidente del Consiglio, mirando a restituire e sviluppare nel sistema politico la sua capacità di produrre orientamenti e decisioni certe.
Gli oggetti specifici del provvedimento in questione riguardano anzitutto la chiarificazione dei rapporti tra Presidente del Consiglio, Consiglio dei Ministri e Ministri medesimi, che determina così un rafforzamento del ruolo di coordinamento del Presidente del Consiglio coniugandolo ad una collegialità più incisiva ed efficace.
C'è poi la questione sugli organi del governo in ordine alla quale si è garantita una maggiore collegialità del Consiglio di Gabinetto (in forza dei chiariti rapporti tra Presidente, Ministri e Consiglio dei Ministri) risolvendo così definitivamente la perplessità e le riserve sull'argomento, affermando che esso potrà essere la sede di realizzazione, a vantaggio del Consiglio dei Ministri di una unicità di indirizzo e di convergenza nell'ambito del Governo.
Quanto poi ai compiti più propriamente di coordinamento e di indirizzo politico, il provvedimento riformatore, circa le strutture serventi del Presidente del Consiglio, in parte mobili ed in parte istituzionalizzate l'ha realizzato quale uno staff, concepito in maniera agile e non burocratizzata, a sostegno dei compiti di diretto espletamento del Presidente del Consiglio, il capo di essa è stato collocato il Segretario Generale, con l'intenzione di ovviare al pericolo eventuale di confusione delle due diverse dimensioni, politica ed amministrativa, nell'espletamento dei compiti direttamente svolti dal · Presidente. Il Segretario Generale dipende dal Presidente del Consiglio e, per competenze specifiche dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
Sono stati poi istituzionalizzati il Vice Presidente del Consiglio e la conferenza delle Regioni, come organo di collegamento tra le Regioni e il Governo, in forza della convinzione che non è possibile regolare in modo adeguato la funzione di Governo del Presidente del Consiglio se non tenendo conto della realtà regionale.
È opinione concorde che si è così riconosciuta esplicitamente la natura regionale dello Stato.
E stato poi respinto dal Senato il numero complessivo dei Sottosegretari deciso dalla Camera demandando alla legge sulla organizzazione dei Ministri il numero e le attribuzioni dei Sottosegretari. Altro capitolo del provvedimento è quello sull'attività normativa del Governo. È stato qui riconosciuto un ruolo decisivo alla regolamentazione della potestà normativa dell'organo esecutivo avviando un processo di apertura a forme di delegificazione, in forza della convinzione maturata che ad una migliore capacità di elaborare norme corrisponde una più elevata incisività di Governo nei singoli rapporti sociali. Tra gli aspetti fondamentali della questione relativa ai decreti legge: necessità di contenere l'uso di tale strumento; esigenza di omogeneità dei contenuti del decreto ed esigenza di non reiterazione.
Quanto ai primi due punti l'art. 15, 3° comma, prescrive che il fine dei decreti debba essere quello di esprimere misure di immediata applicazione e indica – nello stesso comma – un necessario contenuto omogeneo specifico. Quanto alla non reiterazione il provvedimento espressamente definisce l'impossibilità di reiterare decreti legge che abbiano avuto il voto contrario dei due rami del Parlamento.
In ordine al rapporto con il ruolo della Corte dei Conti ed il complesso degli atti normativi con forza di legge del Governo, nel provvedimento in questione, vi è un tentativo di utilizzazione del contributo di conoscenza e valutazione che la Corte dei Conti può fornire al Parlamento. Pur abbracciando tale orientamento è stato tolto il visto, dalla predetta Corte, ai decreti legge e legislativi; visto che era puramente formale, tranne nei rari casi di contestazione.







