Grandi città, grandi emergenze
Novemilioninovecentoventiquattromilacentosessanta sette. Questo il numero degli abitanti delle 13 città italiane con oltre 350.000 residenti.
Salgono a circa 14 milioni se si tiene conto delle aree metropolitane.
Addirittura tre le proposte di legge che si occupano di questo quinto degli italiani: 2 democristiane, una presentata dal Ministro degli Interni (on. Gava), l'altra d'iniziativa parlamentare (on. Martinazzoli e altri); il Psi a sua volta si è fatto promotore di un'altra proposta. Segno che il problema è sentito, impellente e non più rinviabile, anche se nel contesto di una ampia riforma di tutti gli enti locali.
Come mai di tanto interesse, cosa c'è che non funziona?
Le città hanno sempre rappresentato nelle grandi masse contadine e braccianti il mito, il luogo a cui arrivare, nel quale integrarsi, e ciò per poter usufruire di tutti quei benefici a disposizione del cittadino. Non spetta a me ricordare i flussi migratori che per anni si mossero dalle campagne in direzione dei maggiori centri della penisola. Eppure negli ultimi anni molto è cambiato. Al sostantivo città se ne uniscono ormai altri quali degradazione, invivibilità, caos, etc, etc...
Se cerchiamo di identificare alcune peculiarità delle metropoli che le accomunino, scopriamo tassi di disoccupazione più elevati della media nazionale, un elevatissimo degrado ambientale (inquinamento, case fatiscenti, enormi quantità di rifiuti, traffico congestionato), mancanza cronica di alloggi soprattutto per le giovani coppie che non possiedono elevate risorse ma anche per gli anziani, una disgregazione sociale ed una emarginazione degli individui più deboli a livelli di guardia; per non parlare dei fenomeni di microdelinquenza (ricordo il baby-crimine) e della tossicodipendenza.
È un bel panorama, non c'è che dire!
Il tutto è riassumibile in una qualità della vita estremamente più bassa che nel resto del paese. Vivere in città è oggigiorno più difficile; ma molti non intendono lasciarla, in quanto permette di mescolarsi, di evitare l'assunzione di responsabilità oggettive e soggettive.
Il mio non è, però, un appello bucolico, non penso proprio allo slogan "torniamocene nei campi", e quindi (come in ogni discorso che si rispetti) "occorrono urgenti e significativi provvedimenti delle autorità competenti''.
E due sono le strade da battere. La prima, più immediata, è una riconsiderazione del ruolo e dei poteri dell'ente locale. La struttura comunale sembra un po' fare acqua, nel tentativo di risolvere tali problemi, che di fatto abbracciano jn modo anche più violento gli abitanti dei comuni limitrofi alle città, i quali pur vivendo nello stesso ambiente e nella stessa struttura rischiano vieppiù di venire considerati cittadini di serie B.
Da qui si muovono le tre proposte di legge che mirano alla costituzione dell'area metropolitana, ossia un agglomerato urbano che, facendo proprio il concetto di "bacino d'utenza", viene coordinato da un medesimo ente locale dotato di diversi e più adeguati poteri. Ognuno può divertirsi con l'immaginazione, e lo sta facendo anche chi scrive, per dotare tale ente di accessori, optionals, gadgets e magari anche di vernice metallizzata.
È però sulla seconda strada che vorrei soffermarmi maggiormente, anche perché mi appare la meno considerata.
Un partito politico, in più cristiano, non può fermarsi ad aggiustamenti tecnici, né l'elettore si potrebbe accontentare.
Occorre uno sforzo per offrire una proposta di vita e di convivenza diversa; e siccome ritengo che nessuna proposta di natura politica possa estranea all'ideale di società che si pone il gruppo che la propone, allora dobbiamo anche gridare forte e più degli altri, l'ideale che ci ispira e che riteniamo in grado di portare a soluzione la nostra proposta.
Detto in soldoni, non possiamo immaginare che siano sufficienti artifici, per quanto ben costruiti, per eliminare dalle città il senso di disagio sociale che le pervade. Si potrebbe eliminare o almeno ridurre il traffico, ma non ci spingerebbe a tendere una mano verso i più deboli.
All'on. Craxi vorrei dire che non è la galera che elimina i tossicodipendenti, la violenza minorile, i barboni, gli emarginati, gli anziani abbandonati per egoismo, i drammi familiari che si compiono ogni giorno nelle case dei nostri dirimpettai e che noi volentieri ignoriamo.
E la solidarietà che aiuta, la disponibilità di ognuno di noi ad aiutare il prossimo consentendoci di migliorare.
Non è tollerabile che noi ci accorgiamo degli altri, pronti alla commiserazione, solo quando leggiamo sul giornale che proprio il nostro vicino, considerato una così brava persona, era anni che malmenava i figli e poi li ha magari uccisi; o che un nostro ex compagno di scuola è morto di droga anche perché non ha avuto un vero amico che lo aiutasse nei momenti di sconforto.
Non a caso queste emergenze sono meno presenti nei piccoli centri e nei paesi. Perché lì, a dispetto di molti, alcuni valori premianti quali la solidarietà, la famiglia e la comunità sono ancora vivi e determinanti.
Il nostro partito non può abdicare a questo ruolo di trascinatore, della cultura della vita contrapposta a quella della morte.
Quando riuscissimo a far comprendere quanto sia importante mantenere stretti contatti con il prossimo in maniera diversa dall'attuale, sono convinto che il nostro Paese potrà diventare più vivibile e pulito, senza promulgare asettiche nuove leggi e regolamenti.
Lo ammetto, questo è un ragionamento forse un tantino demagogico e verosimilmente utopistico; ma mi hanno insegnato a spaziare con la mente ed il cuore al di là della mediocre quotidianità; con questo premesso auspico di riuscire a portare il mio modesto contributo.















































