Il voto da sciogliere
Se c'è un argomento che di per sé simboleggia la riforma delle istituzioni per la gente comune questo è certamente il sistema elettorale. Da sempre spauracchio agitato, in un senso o nell'altro, per significare un cambiamento di era politica. E non vi è dubbio che stavolta il buon senso popolare vede giusto: il sistema elettorale, inteso non solo come meccanismo di computo dei voti, ma anche come regolazione della vita politica come termometro del consenso dei partiti, come mezzo per imporre le proprie ragioni, come plebiscito o come condanna senza attenuanti, come sistema, talvolta, anche di clientela, di abuso, di spesa facile, è in definitiva uno degli elementi che concorre a definire un sistema come democratico o autoritario, oppure come una via di mezzo tra i due.
Un terreno ardito, quello della riforma del sistema elettorale, su cui pochi si sono avventurati se si fa eccezione per la proposta di riforma De Gasperi, che fu all'origine della polemica sulla cosiddetta «legge truffa». Ed a questo c'è certo una spiegazione che deriva dalla nostra storia passata e presente. Da un lato il ventennio di dittatura fascista aveva lasciato uno strascico psicologico notevole per cui, per reazione, si è inteso tutelare sin dai primi atti della nostra Repubblica ogni minoranza, di qualunque entità; dall'altro è indubbio che il nostro sistema politico, seppure costantemente viziato da quella che ormai convenzionalmente si definisce
«democrazia bloccata» ha sempre offerto, fino alla metà degli anni settanta, una stabilità di massima, venuta meno solo negli ultimi anni, ed esplosa in maniera forte dopo il pericolo della «solidarietà nazionale».
Da qui la necessità sottolineata da molti, e non da tutti in maniera disinteressata, di rivedere il complesso delle norme che regolano il sistema elettorale per garantire da un lato maggiore stabilità del «paese legale» e di conseguenza maggiore funzionalità (qualcuno parla di decisionismo ma non sono la stessa cosa) nel dare risposte alla società civile, e dell'altro un rapporto più immediato tra gli elettori, la loro volontà e coloro che sono chiamati a rappresentarli. Su queste tematiche i partiti (ma non solo loro, si pensi per esempio alle ipotesi del cosidetto «gruppo di Milano» che si raccoglie attorno al prof. Miglio) si sono esercitati molto in questi ultimi tempi preparando alcune proposte (in commissione Bozzi ne sono giunte ben sette) su cui però lo scontro verbale è stato sicuramente maggiore della propensione a discuterne seriamente.
Bisogna dire, per onestà, che scegliere un nuovo tipo di sistema elettorale non era il compito principale assegnato alla commissione bicamerale per le riforme istituzionali e che pure, nell'incertezza generale, alcuni punti di convergenza essa li ha raggiunti. Vediamo in sintesi quali sono.
Innanzitutto il riconoscimento «dell'opportunità di conservare il pluralismo delle forze politiche e della loro rappresentanza che corrisponde ad esigenze sociali e alle peculiarità storiche della nostra società, con rifiuto di clausole di sbarramento che vadano al di là dell'esistente». Già il primo punto, tanto per parlarci fuori dai denti, propone in maniera chiarissima il modo con cui i partiti si stanno avvicinando alle riforme istituzionali: l'esigenza di tutelarsi prima ancora della voglia di aprirsi alla società ed al nuovo. Qualcuno, maliziosamente, al momento della designazione di Bozzi a presidente della commissione bicamerale disse che era funzionale ad una esigenza di difesa dei piccoli partiti, preoccupati della possibilità di eventuali sbarramenti «alla tedesca». Mi pare chiaro che se questo era uno dei compiti affidati a Bozzi, non poteva esserci migliore risultato. E, per intenderci, non lo si dice perché riteniamo vadano penalizzati i partiti minori, ma solo per mostrare quanto ancora di fazioso e di «partitocratico» sopravvive in una fase che, a detta di qualcuno un po' troppo ottimista, dovrebbe essere una nuova fase costituente.
Tra le altre convergenze troviamo l'ancoraggio al sistema proporzionale, la revisione del meccanismo delle preferenze, temperato eventualmente da un collegio unico nazionale, la riduzione del numero di voti di preferenza esprimibili da ciascun elettore e l'attribuzione al candidato capolista di un numero di preferenze éorrispondenti ai voti di lista.
Tutto sommato sembrano indicazioni importanti e precise, ma se guardiamo alle proposte dei vari partiti o di singoli Commissari ci troviamo di fronte da un panorama di opinioni certamente più vasto.
Il Pri, il Pli, e il Psdi, ed anche il MsiDn, come linea subordinata, si sono sostanzialmente pronunciati, infatti, per il mantenimento del sistema attuale, con l'adozione della eventuale ripartizione dei resti con la proporzionale (proposta su cui concorda anche Dp anch'esso «per ovvi motivi di «opportunità»).
La Democrazia Cristiana si è presentata in commissione e sulla stampa, con un'ipotesi di legge elettorale che tende a dare rilievo, nell'assegnazione dei seggi elettorali, alla formazione di coalizioni tra i partiti privilegiando la coalizione che risulti maggioritaria dall'esito del voto e fornendo premi elettorali, ai partiti minori all'interno della coalizione, secondo la proposta ufficiale su cui si è speso anche il segretario nazionale De Mita, oppure, nell'ipotesi presentata dal senatore Scoppola dando una rappresentanza aggiuntiva alle due maggiori coalizioni contrapposte.
Nel corso dei lavori della commissione ma anche dopo, il senatore Ruffilli, sempre della Dc, ha riassunto in alcuni punti le proposte su cui ritiene, come responsabile Dc per le riforme istituzionali, di trovare credito presso le segreterie degli altri partiti: circoscrizioni elettorali ridotte con 5-1O seggi da assegnare con sistela proporzionale (e con riduzione del numero delle preferenze) e ripartizione dei resti su base regionale; riserva ad un collegio unico nazionale di un decimo dei seggi, da assegnare sulla base di «apparentamenti» dichiarati prima del voto, per il 60 per cento alla coalizione vincente, per il 40 per cento alla coalizione seconda classificata (questo meccanismo non scatterebbe qualora non si costituiscano coalizioni plurapartitiche). Per quanto riguarda l'elezione del Senato, si prevede la riserva di un decimo dei seggi per il collegio unico nazionale, da assegnare con sistema di ripartizione proporzionale.
Sempre nell'ambito delle coalizioni pre-elettorali si muove la proposta dei senatori Pasquino e Milani, propugnata sia nella relazione di minoranza, sia in articoli che più volte ha presentato Pasquino nelle pagine delle «opinioni» su «La Repubblica». Si tratta di un sistema elettorale a doppio turno: nel primo turno gli elettori sarebbero chiamati a scegliere il partito preferito per la ripartizione dell'SO per cento dei seggi, nell'ambito di piccole circoscrizioni (da quattro a sette seggi) con sistema proporzionale e senza preferenze, tra il primo ed il secondo turno i partiti potrebbero associarsi in coalizioni, indicando il nome del premier e il programma di governo: i restanti seggi sarebbero assegnati, si parla sempre del secondo turno, per il 75 per cento alla coalizione vincente e per il 25 per cento agli sconfitti. Il capolista della coalizione vincente sarebbe il Presidente del Consiglio designato.
Finora abbiamo visto, varie ipotesi al mantenimento del sistema attuale, alle coalizioni con un turno o doppio turno. Ma con il Pci, con la proposta presentata da Barbera si passa a tutt'altro terreno. I comunisti puntano all'abolizione del voto di preferenza mediante una combinazione tra collegi uninominali per l'espressione del voto e sistema proporzionale per la ripartizione dei seggi. Secondo Barbera il territorio nazionale verrebbe ripartito in «collegi uninominali pari alla metà dei deputati da eleggere, in ciascuno dei quali sarebbe eletto il candidato che consegua la maggioranza semplice; mentre l'altra metà dei seggi sarebbe ripartita proporzionalmente sulla base dei voti di lista ottenuti da ciascun partito o raggruppamento in tutto il Paese, ma sottraendo al totale i seggi già conseguiti nei collegi uninominali».
E la «Grande Riforma» socialista? Nonostante la presenza, l'unica che si è fatta sentire, del senatore Giugni, tutta la proposta politica socialista si riduce a circa 10 righe sul teso della commissione Bozzi: riduzione della dimensione delle circoscrizioni, riduzione del numero dei parlamentari, revisione. del meccanismo delle preferenze, magari éon il «doppio calcolo del voto» sul modello tedesco. Per il Senato i socialisti propongono liste regionali bloccate e soppressione degli attuali collegi uninominali...
Di segno diverso le proposte di Rodotà (indipendente di sinistra) che immagina un sistema uninominale articolato in collegi adeguatamente ristrutturati con utilizzazione del voto trasferibile, all'interno della stessa circoscrizione. Da segnalare che, al termine dei lavori della commissione Bozzi, fu presentato un documento dai commissari Scoppola, Barbera, Giugni, Pasquino, Pontello, Lipari e Segni in cui si proponeva per la Camera dei Deputati un sistema elettorale secondo i seguenti criteri: 1) la metà dei seggi è assegnata in collegi uninominali a maggioranza relativa dei voti; 2) la scelta dei candidati per i collegi uninominali avviene attraverso elezioni primarie regolate per legge; 3) la proporzionalità complessiva della rappresentanza è ottenuta attraverso l'attribuzione dell'altra metà dei seggi in grandi collegi pluriregionali, con il sistema proporzionale oggi in vigore, previa detrazione dei seggi già assegnati nei collegi uninominali compresi nella grande circoscrizione; 4) la lista dei candidati per le grandi circoscrizioni è formata per i primi nominativi (non più di tre) su designazione dei partiti e per i restanti posti da candidati che si presentano per lo stesso partito nei collegi uninominali compresi nella grande circoscrizione, i quali risultano eletti nell'ordine dei quozienti individuali; 5) l'elettore esprime in un unico voto la sua scelta per il collegio uninominale e per la grande circoscrizione.
Dalle decisioni sul sistema elettorale, più che da altri impegni di riforma, capiremo veramente se ci avviamo ad uno sviluppo della democrazia, o ad una involuzione pericolosa e, forse, fin troppo annunciata.
Nel resto d'Europa si fa così
Francia
Quando si parla del sistema francese il riferimento è chiaro verso il metodo maggioritario a due turni introdotto, nel 1958, da De Gaulle, vista la paralisi del parlamento bloccato da se! gruppi più o meno equivalenti. Nel primo turno per ottenere il seggio ci vuole la maggioranza assoluta (51 per cento). Dove non si è raggiunta la maggioranza assoluta, nel secondo turno si fa un ballottaggio tra i due migliori piazzati. Fu subito la vittoria per De Gaulle e il crollo della sinistra, soprattutto del Pc. Da allora c'è stata solo una leggera modifica per l'elezione che ha portato al governo Chirac, il quale si propone, però di tornare all'antico.
Germania Federale
Nella Repubblica federale di Germania il sistema elettorale vigente, come abbiamo letto sui giornali, prevede l'elezione di 496 deputati al Bundestag, secondo una legge approvata il 7 maggio 1956 che si basa in parte sui principi della proporzionale ed in parte sul suffraggio nominativo. Ciascun elettore ha a disposizione due voti. Per 248 deputati c'è suffragio diretto in altrettanti collegi uninominali; per gli altri 248 l'elezione avviene col sistema proporzionale, in base allo scrutinio di lista, secondo i voti riportati nei Lander (Regioni). Sono però ammessi alla ripartizione dei suffragi del secondo voto solo i partiti che abbiano superato losbarramento del 5 per cento dei voti su scala nazionale, oppure che siano riusciti ad ottenere almeno tre mandati diretti.
lnghiltena
La Gran Bretagna presenta il sistema classico di elezione maggioritaria, a collegio uninominale. El'unico Paese della Comunità Economica europea dove questo sistema venga applicato in forma integrale. Per eleggere i 650 deputati della Camera dei comuni (House of Commons) il Paese viene suddiviso in altrettante circoscrizioni elettorali, ovviamente uninominali. Il sistema elettorale prevede la maggioranza semplice. Quindi ad un candidato è sufficiente superare, per numero di voti, il candidato a lui più prossimo, ma egli non deve necessariamente ottenere la maggioranza assoluta. Questo sistema penalizza ovviamente i piccoli partiti e spesso propone casi paradossali, come nel 1955 e nel 1974, quando il partito che ottenne la maggioranza parlamentare si trovò ad essere minoranza nel Paese in quanto a voti effettivamente espressi. Da alcuni anni i partiti minori britannici (liberali e il nuovo partito socialdemocratico), chiedono la proporzionale.
Il piccolo glossario della riforma
| Proporzionale | Sistema elettorale che riproduce in Parlamento i rapporti di forza esistenti tra i partiti, dando rappresentanza anche ai grafici più piccoli. |
|---|---|
| Maggioritario | Alternativo al proporzionale, questo sistema premia chi conquista la maggioranza e penalizza, in termini di seggi, gli sconfitti. |
| Collegio Uninominale | Piccola circoscrizione nella quale ogni partito presenta un solo candidato. |
| Premio di maggioranza (o «di coalizione») | Assegnazione di un certo numero di seggi in più all'alleanza vincente. |
| Apparentamenti | Legami dichiarati tra partiti affini per la conquista del «premio di maggioranza». |
| Clausola di sbarramento | Meccanismo che stabilisce una percentuale (in Germania il 5%) al di sotto della quale il partito non entra in Parlamento. |
| Primarie | Votazioni interne ai partiti per designare i candidati alle elezioni. |
| Quorum | Percentuale minima per conquistare un seggio. |































