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Romania

La prima delusione dell'89

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Nuova Politica - La prima delusione dell'89

Chissà quando e se sarà possibile scrivere la vera storia della rivoluzione rumena, l'unica rivoluzione con spargimento di sangue di tutto il 1989.

Iniziata col tentativo violento del clan Ceausescu di mantenere le redini del potere politico nel massacro di Timisoara,

proseguita con la battaglia di Bucarest, la fuga del dittatore e sua moglie, l'esecuzione sommaria trasmessa, quasi in tempo reale, dai telegiornali di tutto il mondo, la rivoluzione rumena ha mantenuto, anche quest'anno, la sua caratteristica di ibrido fra la congiura di palazzo e la mutazione gattopardesca.

Fatto è che il maggior interlocutore parlamentare dei 233 seggi di Ion Iliescu (attuale leader del FSN ed ex-cortigiano di Ceausescu) sono gli sparuti 29 seggi dei Liberali di centro-destra e della minoranza ungherese, autentico grattacapo per le relazioni fra i due Paesi.

Prime indiscrezioni giornalistiche sulla natura reale della rivoluzione rumena sono arrivate nel gennaio di quest'anno, quando una rivista francese ha affermato, per voce di alcune "gole profonde" di Bucarest, che il golpe contro Ceausescu era già pronto da 6 mesi e, alcuni aggiungono, benedetto da Mosca, e che i suoi autori lo hanno travestito da rivolta popolare solo dopo gli eventi cecoslovacchi, ungheresi e tedeschi del settembre-novembre.

Dal gennaio al giorno delle elezioni, i giornali hanno riportato una contraddittoria altalena di notizie sulla direzione di marcia del Fronte di Salvezza Nazionale.

Nato1per essere un organismo politico "rivoluzionario e bio-degradabile", il Fronte è entrato prima nel ciclone delle polemiche sulla rappresentatività dei suoi componenti, cooptati nel caos della rivoluzione, poi in quello sui tempi del suo scioglimento pre-elettorale, ma alla fine il Fronte si è registrato al Tribunale come partito politico e con quella composizione ha affrontato e vinto le elezioni.

E che dire della improvvisa marcia indietro di Silviu Brucan, ex-ideologo del PC rumeno ed ora responsabile delle relazioni internazionali del Fronte?

Il 12 gennaio venivano promulgati due decreti, il primo sulla condanna a morte dei dirigenti del vecchio regime compromessi in crimini contro la popolazione, il secondo sulla messa al bando del PC.

Esattamente una settimana dopo, i due decreti venivano ritirati.

In questi mesi dunque, il "vecchio" e il "nuovo" hanno incrociato le spade: lo hanno fatto una prima volta nei due processi- spettacolo tenuti, il primo dal 27 gennaio al 3 febbraio, il secondo nella prima settimana di marzo, contro i gerarchi di Ceausescu e contro gli agenti della Securitate responsabili del massacro di Timisoara. Ergastolo a tutti nel primo processo; condanne più lievi per gli agenti ritenuti semplici ingranaggi di un gioco più grande di loro. Ma quale fiducia verso la giustizia può esserci in tempi nei quali il giudice capo del processo a Ceausescu, Gica Popa, si suicida in circostanze misteriose, o in cui a chiedere sentenze esemplari e ad esprimersi in favore della pena di morte contro i vecchi gerarchi è Dumitru Mazilu, vice-presidente del Fronte, ex comunista, ex agente della Securitate?

Ma il vero scontro tra vecchio e nuovo è stato quello fra il Fronte e gli studenti dell'università di Bucarest, perenni critici del trasformismo di Iliescu, che ha segnato il suo momento più duro nel richiamo di Iliescu alle squadracce dei minatori dalle regioni periferiche in una vera e propria "marcia" sulla capitale seguita da due giorni di pestaggi e di caccia all'uomo, anzi allo studente – trasmessa dai media di tutto il pianeta – dal pubblico elogio di Iliescu ai minatori, suoi fedeli alleati, dalle immagini, assai preoccupanti, dei numerosi feriti ricoverati negli ospedali. Anche se i leaders dei giovani studenti sono oggi tutti in carcere, lo scontro politico non accenna a placarsi.

L'altra nota dolente, presente anche in Romania, è quella della violenza etnica che, in questo caso, contrappone rumeni ed ungheresi nella regione della Transilvania. In questa terra, scavata nell'arco montuoso dei Carpazi, la "più vasta minoranza d'Europa" – come amano definirsi i 4 milioni di magiari che qui vivono – difendono il loro diritto a parlare, studiare, esprimersi nella loro lingua, a tutelare le proprie tradizioni. E proprio nel centro della Transilvania, a Tirgu Mures, il 22 marzo è scoppiata ancora la scintilla della violenza incrociata: una trentina di morti, centinaia di feriti, il pattugliamento dei carri armati, la chiusura delle frontiere con l'Ungheria, questo il bilancio. Il Fronte accusa il governo ungherese di fomentare la rivolta, Budapest tace: certo una maggiore omogeneità politica fra i due governi renderebbe le cose più semplici, ma questo purtroppo non è stato possibile.

In conclusione, ha forse ragione uno dei più brillanti giornalisti italiani inviati a seguire le vicende rumene quando ha scritto di Ion Iliescu e del suo fronte "Ha vinto un comunista 'riformatore' con l'appoggio di un partito che vuole ridefinire l'immagine del suo passato, della sua nomenklatura, del suo apparato". Eh sì, niente di più, niente di meno.

Da Bucarest arriva la prima delusione del "magico" 1989.

La Romania dopo il voto

Si sono tenute il 20 maggio 1990 per assegnare i 396 seggi della Camera Bassa e i 190 di quella Alta.

Il mandato è biennale ed il Parlamento deve scrivere la nuova Costituzione entro la fine dell'anno prossimo.

Partiti % di voti seggi
Fronte di Salvezza Nazionale
(ex e non proprio ex-comunisti, ex-dissidenti, ufficiali dell'esercito)
66 233
Unione Democratica Ungherese
(gruppo etnico presente in Transilvania)
7 29
Liberali
(formazione di centro)
6 29
Verdi 3 12
Partito Nazionalista Contadino
(di orientamento democristiano)
3 12
Altri
(prevalentemente gruppi etnici e minoranze)
15 81

 

Presidente in carica: Ion Iliescu (FSN)
eletto con un plebiscito il 20 maggio con l'85% dei voti.

Primo Ministro in carica: Petre Roman (FSN)

Già membro della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Debito estero praticamente inesistente.

La Cee ha rinviato la firma di nuovi accordi di cooperazione commerciale, stante la non chiarissima situazione politica.

Membro del Patto di Varsavia, non ha truppe sovietiche sul proprio territorio.

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