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Ungheria

Ora tocca all'Ungheria

Nuova Politica - Ora tocca all'Ungheria pagina 59

Quella dell'Ungheria non è stata una rivoluzione, né violenta né pacifica.

Si è piuttosto trattato di una decomposizione endogena della galassia comunista e della società medesima che, senza eventi traumatici significativi, ha però sgretolato progressivamente il vecchio ordine, facendo intravedere i tratti del nuovo.

Ungheria e Cecoslovacchia hanno una caratteristica comune: portano nella coscienza popolare e nella memoria collettiva la ferita, il trauma di un'invasione operata da Paesi "fratelli" ma sostenuta da una sponda interna collaborazionista. Rimasticare quel passaggio era un'operazione dovuta, anche se faticosa, ma proprio la rivisitazione di quel periodo non poteva che avere effetti deflagranti sul tessuto politico.

L'Ungheria aggiunge a questo un altro fattore specifico: abituata fino al secolo scorso ad essere con Vienna il centro della Mitteleuropa, non ha dimenticato il proprio prestigio, la sua posizione di crocevia con l'Ovest. Dicono i taxisti di Budapest "che 40 anni di comunismo- non sono riusciti a rovinare la città"; sul Lago Balaton è fiorente il turismo dall'Ovest, il Paese intero è ricco di splendidi segni di un passato glorioso.

Così, opposizioni a parte, furono per primi i giovani comunisti ungheresi, nel 1988, ad interrogarsi sul loro passato, a cambiare nome alla loro organizzazione. Poi, su pressioni dell'opinione pubblica e dell'opposizione ungherese, arrivarono i pronunciamenti di Gorbaciov contro la "sovranità limitata" e l'invasione del 1956.

Raccontavano i diplomatici a Budapest, all'inizio del 1989, che il pluralismo politico e partitico, indicato come obiettivo di un processo con date certe, era di fatto già esistente; e lo era a partire da un Partito Comunista fortemente disgregato e articolato in componenti, lusingato dalla sirena del capitalismo occidentale, stremato da un debito estero altissimo sintomo di una economia fortemente aperta all'esterno.

Così, prima le leggi sul pluralismo, poi quelle sulla riforma economica, ed infine la riabilitazione di Imre Nagy sono state le tre tappe dell'autocollasso comunista in Ungheria.

Il Partito ha cercato – va riconosciuto: con coraggio – una sua nuova legittimazione. Ha invitato Gorbaciov a confrontarsi con franchezza sul 1956, ha abolito "simbolicamente" e concretamente la cortina di ferro durante la visita di Bush, ha poi, in settembre, preso atto della marea crescente di aspiranti profughi in partenza per l'Ovest ed ha aperto le sue frontiere. A dispetto di Honecker e del Patto di Varsavia convocato d'urgenza per stigmatizzare la scelta.

In ottobre, mentre oramai il mondo guardava a Berlino, Praga e Sofia, il Parlamento Ungherese ha ripudiato il ruolo guida del comunismo, la "democrazia popolare" e tutto l'armamentario della retorica da internazionalismo proletario riportando così in auge lo stemma prebellico della Repubblica Ungherese.

A Budapest, 33 anni dopo il più violento scontro civile in Europa dai tempi della Comune, la rivoluzione è stata fatta senza clamori ed in guanti bianchi.

Una transizione morbida e attesa

11 gennaio Varata la prima legge sul pluralismo politico.
12 febbrario Entro il 1 agosto in vigore una nuova legge sul pluralismo dei partiti.
16 giugno A 33 anni dalla sua impiccagione, funerali di Stato per Nagy.
6 luglio Muore inosservato Janos Kadar, strumento della repressione del 1956. 
settembre Il governo ungherese pone in crisi la Germania di Honecker con la propria decisione di lasciare libero il passaggio dei profughi per l'occidente.
7 ottobre Ripudiato il comunismo; il congresso del PC ungherese approva a grande maggioranza la nascita del PSU, il nuovo partito socialista.
23 ottobre Abbandonata la Democrazia Popolare, nasce la Repubblica Ungherese.
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