"L'euforia generale era durata soltanto i primi sette giorni dell'occupazione. I rappresentanti della nazione ceca erano stati portati via dall'esercito russo come criminali, nessuno sapeva dove fossero, tutti tremavano per la loro vita, e l'odio verso i russi stordiva la gente come alcool. Era l'ebbra festa dell'odio. Le città ceche erano coperte da migliaia di manifesti dipinti a mano con scritte di scherno, epigrammi, caricature di Breznev e del suo esercito del quale tutti ridevano come di un circo di analfabeti. Nessuna festa, però, può durare in eterno. Nel frattempo, i russi avevano costretto i rappresentanti cechi sequestrati a firmare a Mosca un compromesso. Dubcek ritornò con esso a Praga e lesse alla radio il suo discorso. Dopo sei giorni di prigionia era così distrutto che non riusciva a parlare, balbettava, boccheggiava, a metà delle frasi faceva pause interminabili che duravano quasi mezzo minuto" queste sono parole del romanzo best-seller "L' insosteni bile leggerezza dell'essere" di Milan Kundera L'invasione di Praga del 1968 è punto di partenza cronologico di una storia, citazione in punta di penna – ancorchè fortemente trasgressiva per uno scrittore cecoslovacco – di una tragedia che ha invece scosso con forza l'opinione pubblica mondiale che riteneva improbabile, dopo la tragedia di Budapest, secondi interventi dell'Armata Rossa sotto la copertura del Patto di Varsavia.
E invece anche Leonid Breznev ebbe la sua Budapest, e la ebbe proprio nel momento in cui tutte le piazze europee erano scosse da una voglia diffusa ed anche contraddittoria di cambiare, i giovani americani contestavano la guerra del Vietnam, la Chiesa viveva l'esperienza post-conciliare, l'ago della bilancia politica si spostava verso sinistra.
E in fondo anche la tragedia di Praga nasce da un profondo scontro tutto interno, all'inizio, alle componenti del Partito Comunista, uno scontro che contrapponeva fin dall'inizio degli anni 60 gli "stalinisti" ai "tecnocrati" ed agli intellettuali.
Paese fortemente controllato da un partito ancora stalinista, la Cecoslovacchia sentiva l'esigenza di una maggior liberalizzazione economica ed intellettuale promossa da un lato da economisti come Ota Sik, dall'altro da intellettuali dissidenti come Havel o Hrabal.
Ma invece di cogliere i segnali di disgelo della scena internazionale, lo stalinista Novotny operò un compromesso nel 1967 con i "tecnocrati" avviando però una odiosa persecuzione degli intellettuali sull'alto fronte. E fu così che, anche a Praga, si mosse la piazza.
Prima il Congresso degli Scrittori, poi gli studenti, tutti iniziarono a chiedere a gran voce democrazie e riforme contando anche sulla solidarietà di dirigenti comunisti aperti come Dubcek o l'economista Cernik.
Agli inizi del 1968, Dubcek sostituiva Novotny alla guida del partito (divenendo così, a 46 anni, il più giovane segretario di un PC al potere nel mondo), che però rimaneva Presidente della Repubblica, ed avviava un profondo programma di riforme contando sull'appoggio della popolazione, degli intellettuali, degli studenti. Con maggior prudenza, il Cremlino sondò gli umori, invitò Dubcek alla moderazione, emarginò Novotny che, alla fine di marzo, cedeva la Presidenza della Repubblica al generale Ludvik Svoboda.
Ma il processo avviato dalla sintonia fra Dubcek e le istanze dell'opinione pubblica stava dando il via ad una fioritura impressionante di iniziative, di proposte per cambiare, uscire da un passato buio. Fu così che i media adottarono l'espressione "primavera di Praga".
A guardarlo oggi, il programma di Dubcek non sembrerebbe poi così rivoluzionario: eppure, per la prima volta, un partito comunista al potere, sotto l'ombra del grande fratello sovietico, parlava di "via cecoslovacca al socialismo" e cercava di ritrovare un autentico consenso democratico come legittimazione delle proprie scelte. Si proponeva così la separazione fra Stato e Partito, la maggior libertà di critica dei sindacati, l'abolizione della censura, il diritto dei cittadini ad avere il passaporto, una vera autonomia etnica per cechi e slovacchi; si cercava, in due parole, un "nuovo corso", un socialismo "dal volto umano".
Ma come l'89 ha dimostrato, in sistemi politici fortemente integrati, la vera paura è quella del contagio, della "teoria del domino" grazie alla quale se cade un pezzo seguono a ruota gli altri.
I Paesi "fratelli" erano sorpresi dall'ampio consenso popolare sull'operato del governo Dubcek, ma soprattutto temevano le manifestazioni studentesche che, a Varsavia ed a Berlino, chiedevano scelte analoghe ai propri governi.
Mentre in Polonia e in Germania si rispose con arresti ed epurazioni, a Praga Novotny veniva espulso a marzo dal Comitato Centrale e gli intellettuali scrivevano il "manifesto delle 2000 parole" in appoggio ai "liberali" che si apprestavano a dare l'ultima battaglia contro i "conservatori" del partito.
Il peggio stava arrivando.
Chiesta invano da Mosca la condanna degli intellettuali autori del "manifesto", la Pravda scrisse che "si stava cercando a Praga di cancellare tutta la storia dopo il 1948"; in giugno, con la scusa di esercitazioni del Patto di Varsavia, le prime truppe sovietiche entravano in Cecoslovacchia, pur consapevoli che non vi erano le condizioni per un intervento di tipo "ungherese": nessuno chiedeva l'uscita dal "blocco", ma soprattutto era impressionante il consenso popolare sull'operato del Governo.
E fu così che dopo due inutili conferenze ceco-sovietiche a Cierna e Bratislava, il Cremlino decise, poggiando sul gruppo "conservatore" cecoslovacco, l'invasione del Paese.
Il 21 agosto, le truppe sovietiche occupavano senza difficoltà Praga ed il resto del Paese. Dubcek, Cernik e Smrkovski evitavano ogni forma di resistenza e venivano arrestati, mal 'insediamnto al governo del "novotniano" lndra veniva ostacolato dal rifiuto del Presidente Svoboda di ratificarne la nomina.
Il giorno successivo, sotto la protezione armata della gente, si riuniva il Comitato Centrale che espelleva Indra dal partito, esortava alla resistenza ali'invasione e proclamava per il 23 uno sciopero generale, perfettamente riuscito. Constatato lo stallo, Mosca convocò una conferenza con Indra, Dubcek e gli altri "liberali", Svoboda e Gustav Husak, un comunista vittima delle purghestaliniane che avrebbe costituito l'asso nella manica del Cremlino. Con gli accordi del 26 agosto veniva raggiunto un compromesso, una tregua: i sovietici rimanevano nel Paese, ma senza interferire, Dubcek rimuoveva le decisioni politiche raggiunte dal Comitato Centrale il 22.
Furono strani mesi: Dubcek continuò a governare, ostaggio di Mosca, mentre quest'ultima preparava con calma la completa eliminazione del gruppo dirigente "liberale".
L'occasione si presentò nel!'aprile 1969 quando, per un incontro sportivo cecosovietico, si preannunciarono disordini. Mosca decise di mettere in campo il suo "Kadar", Gustav Husak: Dubcek fu allontanato dal Governo ed espulso in giugno dal partito. Negli anni successivi – sottile vendetta dei comunisti moscoviti- avrebbe fatto prima il guardiaboschi e poi il parcheggiatore di auto in una piccola città. Seguì una profonda "normalizzazione", gli intellettuali spediti – quando fortunati – a svolgere lavori manuali, i dirigenti "liberali" epurati.
L'invasione del '68 fu però il primo segno di crisi del mondo comunista internazionale che reagì in modo differenziato alla decisione di Breznev: condanne arrivarono, in toni diversi, da Italia, Francia, Cina, Romania e Jugoslavia.
Ha scritto un noto slavista in quei giorni "La presente avventura sovietica, coperta dal solito leucoplasto ideologico, con le sue brutalità e i suoi colpi di teatro, questo miscuglio asiatico di truculenze e di falsi e di minacce e di beffe e di abbracci e di parolone, sin inquadra logicamente nella storia russa, come se nulla fosse cambiato dalla sanguinaria e crudele epoca di Ivan il Terribile ecome se i cecoslovacchi fossero i tartari della città di Kazan, da lui conquistata. Del resto, dicono le cronache del 500, Kazan era come Praga: una marmitta dentro cui il popolo ribolliva come acqua."
Ma Praga avrebbe avuto immediate ripercussioni anche nel blocco socialista: in Polonia, Gomulka, contestato violentemente dagli operai a Danzica e a Stettino – che per alcuni giorni cadde addirittura in mano agli operai dei cantieri – per misure economiche che decurtavano, alla vigilia del natale 1970, il potere d'acquisto dei già modesti salari, fu allontanato dal potere e sostituito da Edward Gierek.
Da Dubcek a Husak: la fine "morbida" della Primavera
| 3 gennaio 1968 | Alexander Dubcek sostituisce Novotny alla guida del Partito Comunista. |
|---|---|
| 30 marzo 1968 | Novotny si dimette anche dalla carica di Presidente della Repubblica: subentra il generale Svoboda. |
| 6 aprile 1968 | Adottato il "programma d'azione del partito" che sancisce la via cecoslovacca al socialismo. |
| 15 maggio 1968 | Novotny è espulso dal Comitato Centrale del partito |
| 27 giugno 1968 | Gli intellettuali pubblicano il "Manifesto delle 2000 parole". |
| Giugno 1968 | Con la scusa delle esercitazioni del Patto di Varsavia, truppe sovietiche entrano in Cecoslovacchia. |
| 14-15 luglio 1968 | Il blocco socialista discute a Varsavia del caso cecoslovacco. |
| 27 luglio – 1 agosto 1968 | Riunione ceco-sovietica a Cierna. |
| 3 agosto 1968 | Riunione dei cinque Paesi socialisti a Bratislava. |
| 21 agosto 1968 | Invasione sovietica di Praga e della Cecoslovacchia. |
| 22 agosto 1968 | Riunione del Congresso Clandestino del Partito che rinnova il consenso a Dubcek. |
| 23 agosto 1968 | Sciopero generale ed espulsione dello staliniano lndra dal partito. |
| 26 agosto 1968 | Accordi di Mosca che stabiliscono una tregua politica fra Cecoslovacchia e Unione Sovietica. |
| 17 aprile 1969 | Dubcek è sostituito con un colpo di mano da Gustav Husak con l'appoggio di Mosca. Finisce la "primavera di Praga" ed iniziano le epurazioni e le repressioni. |



























