GIO’ Freedom
pagina 37
Budapest 1956

L'illusione della destalinizzazione

Nuova Politica - L'illusione della destalinizzazione pagina 37
Nuova Politica - L'illusione della destalinizzazione
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Nuova Politica - L'illusione della destalinizzazione

"Ero sulla Ulloy Utca quando la folla, il 30 ottobre, ottavo giorno della rivolta, ha dato l'assalto alla caserma "Maria Teresa" della polizia politica. Sono arrivati, sparando, due carri armati, con la bandiera tricolore. La folla è corsa via, sotto gli alberi, poi è tornata indietro, vedendo che i carri puntavano i cannoni contro l'edificio.

Dalle finestre uscivano le canne dei mitra dei poliziotti. I carri hanno fatto fuoco e pennacchi di fumo sono esplosi sulla facciata del palazzo. Quando il fumo è svanito e al fragore dello scoppio è seguito un grande silenzio, c'erano due grosse breccie ali 'altezza del primo piano. I poliziotti avevano smesso di sparare. Allora la folla ha preso la rincorsa

contro il portone. I poliziotti della Ulloy Utca sono stati linciati. Li portavano già morti o moribondi sotto gli alberi, poi si vedevano i corpi salire sopra le teste della folla e pendere dai rami. Donne e uomini uscivano dai portoni brandendo forbici e coltelli. I corpi scendevano, oscillando dai rami, appesi alle funi, sparivano nella folla e risalivano, con gli abiti a brandelli, rossi di sangue".

Non è un romanzo. É la corrispondenza di un settimanale italiano nei giorni della rivolta di Budapest, la più violenta lotta armata in una città europea dai tempi della Comune di Parigi.

La storia dello stalinismo e della graduale e contraddittoria destalinizzazione dell'Europa centro-orientale è una storia cupa, ancora controversa, molto complessa. I primi segnali violenti di reazione, dopo la morte di Stalin il 5 marzo 53 si erano avuti il 17 giugno 1953, in Germania orientale, con la ribellione degli operai delle officine Csepel di Berlino ribellione nata dal tentativo del governo di aumentare del 10% i ritmi di lavoro e repressa da Ulbricht in due giorni con 200 morti.

Il 4 luglio 1953, il leader staliniano ungherese Rakosi nominava primo ministro Imre Nagy, vecchio bolscevico che non nascondeva le proprie simpatie per Tito, il grande eretico del mondo comunista per combattere le cui idee si erano giustificate sanguinose purghe. Un fatto inaspettato dunque.

Ma cosa era l'Ungheria del tempo di Stalin? Doveva essere "la patria dell'acciaio": in realtà era una terra senza ferro, nè comunque carbone per fonderlo. Nella realtà nessun Paese comunista aveva sperimentato uno Stato ed un partito così terribili e sanguinari. I due leaders Rakosi e Geroe avevano costruito un sistema infernale fondato sulla polizia politica, l' Avho, che poteva togliere la terra ai contadini senza fornire spiegazioni, requisire appartamenti, depredare gli stipendi. E dire che un salario medio operaio non bastava a pagare i 1500 fiorini di un modesto vestito.

Ma nel maggio 53, Malenkov, l'episodico successore di Stalin, aveva chiamato a Mosca Rakosi chiedendogli quella nomina per dare segni di cambiamento, in un gioco delle parti in cui, perfino Beria, capo della polizia politica di Stalin, tentava ora un riciclaggio prendendo le distanze dal defunto dittatore. Rakosi, ossessionato da Stalin che aveva cercato di imitare in tutto, dal culto della personalità alla collettivizzazione forzata delle campagne fino alla metropolitana della capitale (nonostante i pareri negativi dei geologi), era stato accolto da una sorta di tribunale speciale che gli aveva messo di fronte il disastro economico da lui guidato e prodotto, gli aveva poi intimato di silurare due membri della "quadriga" che guidava il Paese – Farkas e Revai – e gli aveva "consigliato" la nomina di Nagy.

Ironia della sorte: grazie a Mosca, capo del governo a Budapest diveniva l'uomo che lo stesso Kruscev avrebbe fatto uccidere 4 anni dopo nel cortile di una prigione. Misteri del comunismo!

Ma le sorti di Budapest continuavano a decidersi a Mosca: ali'allontanamento di Malenkov dal potere del febbraio '54 fece seguito, nel gennaio '55, una nuova convocazione a Mosca dei dirigenti ungheresi, messi nuovamente di fronte ai disastri economici del loro Paese. Stavolta però sul banco degli accusati era Nagy.

Costretto alla fine del mese ad abbandonare il governo per un attacco al cuore, Nagy venne condannato da Rakosi il 9 marzo per "frazionismo, attività destrorse ed anti-marxiste" e destituito il 14 del mese successivo. Il dittatore si prendeva la propria rivincita.

Ma una nuova accelerazione dei tempi venne imposta dal XX Congresso del Pcus in cui Kruscev lesse ad una platea sconcertata il famigerato "rapporto segreto" sui crimini di Stalin e dello stalinismo; l'evento era destinato a rimanere conosciuto ai soli delegati, ma – nonostante i tentativi di contenere la fuga di notizie – una copia arrivò al New York Time e nelle "democrazie popolari" si diffuse la sensazione che si poteva ricominciare a respirare.

Morto il premier comunista polacco Bierut, si eleggeva Ochab un intelligente mediatore che, come primo atto, riabilitava l'ex leader comunista Gomulka, arrestato nel 50 per simpatie titoiste, alimentando così un grande entusiasmo. Le buone notizie si succedevano a ritmo forzato: si condannava il culto della personalità di Stalin e dei suoi ammiratori (Gottwald in Cecoslovacchia, Cervenkov in Bulgaria), si scioglieva il Kominform, si epuravano dirigenti compromessi; Togliatti parlava del modello comunista come modello "policentrico"; dopo le dimostrazioni in Polonia del 28 giugno in cui 15.000 operai marciarono a Poznan, Gomulka tornava addirittura alla direzione del Partito nonostante l'opposizione di Kruscev che richiamò per un soffio le autoblindo sovietiche già in marcia su Varsavia.

La timida "liberalizzazione" produceva qualche effetto anche in Ungheria: riabilitati Bela Kun, scomparso in Urss negli anni 30, Laszlo Rajik, ministro degli interni nel 1949 impiccato per titoismo, condannato ali'ergastolo Gabor Peter nel 1954, capo della polizia politica, l'Avho.

Ma mentre il post-stalinismo era stato controllato a Mosca dagli stalinisti, la stessa cosa non riuscirà in Ugheria a Rakosi.

Una settantina di scrittori, attivi nel circolo Petòfi, avviano petizioni e dibattiti contro il sistema; si moltiplicano le visite a casa di Imre Nagy che viene festeggiato il giorno del suo compleanno da una folla spontaneamente uscita per strada. Il 19 giugno la vedova di Rajik accusa Rakosi della morte del marito. Al gruppo dirigente trema il terreno sotto i piedi. Dopo una nuova convocazione a Mosca, Rakosi si dimette il 18 luglio lasciando spazio al suo vice Geroe e all'ex ministro degli interni Janos Kadar. Ma mentre il Paese preme per richiamare Nagy al governo, Geroe ne fa la critica, venendo perciò subito richiamato da Mosca che gli impone di mantenere con Nagy buone relazioni.

Il 4 ottobre Nagy richiede l'iscrizione al partito che rivede il suo caso, fa autocritica, e lo riaccoglie fra le sue fila.

Due giorni più tardi, ai funerali solenni fatti in memoria di Laszlo Rajik, partecipano oltre 300.000 persone: è assente Geroe, inviato significativamente da Kruscev a fare pace con Tito.

Il 23 del mese, quando si diffonde la notizia della vittoria politica di Gomulka in Polonia, gli studenti ungheresi scendono in piazza per reclamare la valorizzazione di Nagy. Ma quando Imre Nagy si affaccia al balcone, la folla dei 200.000 manifestanti è cambiata: le bandiere ungheresi sono tagliate al centro – dove vi è il simbolo della "democrazia popolare" – ed in piazza, al posto dei comunisti "revisionisti" sta la gente comune che chiede di liberarsi da 10 anni di regime. Nelle stesse ore Geroe, politicamente ormai accecato, pronuncia un discorso ridondante di "fraternità con l'Unione Sovietica" in cui attacca gli sciovinisti ed i controrivoluzionari. Sembra una provocazione.

Al palazzo della radio, verso le 9 di sera, si spara il primo colpo di arma da fuoco. Nagy viene chiamato a fare il Primo Ministro, ma nelle ore di caos si moltiplicano i comunicati e i dispacci incontrollati: le truppe sovietiche iniziano a muoversi verso Budapest.

Nagy parla alla radio di "democratizzazione della vita pubblica", Geroe è allontanato dal Comitato Centrale e sostituito da Kadar che pronuncia un altro discorso sull'aiuto dei "soldati sovietici, nostri fratelli".

In poche ore, due comunisti, vittime dello stalinismo, consumano la loro tragedia e scelgono strade opposte. Nagy troverà la fucilazione, Kadar da ex-perseguitato diverrà persecutore impotente e responsabile del massacro del suo popolo.

Il 25 mentre Kadar si insedia a Segretario del partito, nel Paese c'è lo sciopero generale e la gente chiede l'allontanamento dei comunisti compromessi coi sovietici e delle truppe del Patto di Varsavia.

Il 27 ottobre, sabato, viene formato un nuovo governo, con i partiti resuscitati dei contadini e dei piccoli proprietari. Il giorno seguente, mentre nella capitale infuriano i combattimenti, Nagy chiede l'allontanamento delle truppe sovietiche. Gomulka e Tito inviano a Nagy messaggi di congratulazioni ma anche caldi inviti a fermare la rivoluzione.

Ma il processo era ormai sfuggito di mano.

Tanto più che da tutto il mondo arrivavano attestazioni di solidarietà, scambiate per un improbabile promessa di aiuto concreto.

Il 25 ottobre Eisenhower diceva di "essere col cuore dalla parte del popolo ungherese"; Radio Free Europee Voice of America assicuravano "non sarete lasciati soli".

Così Budapest si avvia al suo tragico epilogo ignara che da un'altra parte, non lontanissima, della carta geografica, è in corso un'operazione che distoglierà l'attenzione dalla sua tragedia: l'attacco di Israele, Gran Bretagna e Francia al- 1'Egitto, reo di avere nazionalizzato con Nasser il Canale di Suez.

Il 28 ottobre Nagy annuncia di aver raggiunto l'accordo sull'evacuazione delle truppe sovietiche; il Cremlino, il 30 ottobre, emana una lunga dichiarazione sulle relazioni amichevoli fra i due Paesi e sulla necessità di una revisione dei rapporti passati, ma in piazza – come scriveva il corrispondente italiano citato all'inizio – il ritmo e il tono degli eventi sono ormai diversi. Durante la mattina, il Palazzo della Federazione Comunista viene attaccato, i suoi occupanti linciati e bruciati vivi. Nagy ne è scosso, annuncia la fine del sistema a partito unico, il cardinal Mindszenty, liberato dai lavori forzati, parla in pubblico. Radio Free Europe continua a sobillare gli insorti: "Interni e Difesa sono ancora nelle mani dei comunisti. Non date tregua, non appendete i fucili al muro". Intat\to vari comitati rivoluzionari non riconoscono nemmeno il governo Nagy e chiedono elezioni libere immediate; Kadar rinomina il Partito Comunista, Partito dei Lavoratori Socialisti Ungheresi ma invia segnali per interrompere la rivoluzione e consolidarne i risultati.

Il 1 novembre, mentre Kadar si rifugia in Unione Sovietica, Nagy annuncia la neutralità ungherese e l'uscita dal Patto di Varsavia e chiede l'intervento delle Nazioni Unite, ormai assorte dalla crisi di Suez.

Il 3 novembre, iniziano i colloqui fra lo Stato Maggiore sovietico ed il colonnello Maleter quale leader degli insorti, excombattente della guerra di Spagna, partigiano, nominato quella mattina Ministro degli Interni.

A mezzanotte, Maleter viene arrestato da uomini in borghese della polizia sovietica; il 17 giugno 1958 verrà reso noto che è stato fucilato assieme a Imre Nagy in una prigione socialista. Paietta commenterà questa notizia, giunta in Italia due giorni dopo le elezioni politiche italiane: "Se l'avessimo saputo ieri l'altro, avremmo perso due milioni di voti".

Il 4 novembre, gli abitanti di Budapest si svegliarono, invece che nella prima domenica di libertà, al rombo dei cannoni e ricevettero un comunicato del neogoverno Kadar che annunciava di aver chiesto "all'esercito sovietico di aiutare la nostra nazione a schiacciare le forze bieche della reazione e a ristabilire l'ordine e la calma nel Paese". 32 anni dopo, quelle truppe ci saranno ancora. La repressione sarà durissima e durerà fino a tutto il 1959.

La signora Nagy e la signora Maleter sono oggi membri della Federazione dei Liberi Democratici; almeno 10.000 sono le vittime accertate della repressione di Kadar, oltre 100.000 i rifugiati ali'estero.

Ha scritto Kruscev riguardo all 'invasione "Ci saranno strilli in Occidente e risse all'Onu, ma anche queste si assopiranno quando Francia, Israele e Gran Bretagna muoveranno guerra al Cairo. Essi sono Ìmpantanati nel Canale, noi in Ungheria".

Quei giorni terribili

5 marzo 1953 Morte di Stalin; Malenkov diventa Presidente del Consiglio
4 luglio 1953 Imre Nagy è nominato primo ministro dallo staliniano Rakosi su "ordine" di Malenkov, Molotov e Kruscev.
8 febbraio 1954 Malenkov è allontanato dal potere in Unione Sovietica; si raffredda il "rinnovamento" post-staliniano.
7 gennaio 1955 Nuova convocazione a Mosca per gli ungheresi accusati di sfascio economico da Kruscev.
14 aprile 1955 Nagy viene destituito dal Governo ad opera di Rakosi che prende la sua rivincita sul rivale.
25 febbraio 1956 Kruscev chiude il XX Congresso del Pcus con la lettura del "rapporto segreto" sui crimini di Stain e dello stalinismo.
30 marzo 1956 Prime attività di protesta del Circolo Petofi.
17 aprile 1956 Il Kominform cessa le proprie attività.
18 giugno 1956 La vedova di Rajik, vittima dello stalinismo, accusa Rakosi della morte del marito.
18 luglio 1956 Rakosi è costretto da Mosca a dimettersi, ma lascia il potere al suo vice Gero e all'ex ministro degli Interni Janos Kadar.
4 ottobre 1956 Imre Nagy chiede la reiscrizione al partito comunista.
23 ottobre 1956 La folla, ora composta di gente comune, e non solo di comunisti "revisionisti" acclama Nagy con le bandiere mutilate della stella rossa; contemporaneamente Gero pronuncia alla radio un discorso dai toni ormai passati che suona come una provocazione.
24 ottobre 1956 Nagy diviene Primo Ministro, Gero è allontanato, ma si consuma la frattura con Kadar che saluta il primo intervento delle truppe sovietiche.
27 ottobre 1956 Formato il nuovo governo con il partito dei contadini e dei piccoli proprietari.
Nagy chiede il ritiro delle truppe sovietiche; Tito e Gomulka gli chiedono di fermare la rivoluzione.
28 ottobre 1956 Toni distensivi dal Cremlino mentre Nagy annuncia l'accordo sul ritiro delle truppe sovietiche 30 ottobre Liberato il Card. Mindszenty, Nagy annuncia la fine del partito unico e ripropone la coalizione di governo degli anni 45- 48.
Intanto Israele attacca, come concordato con Francia e Gran Bretagna, l'Egitto di Nasser che aveva nazionalizzato il Canale di Suez.
1 novembre 1956 Kadar si rifugia in Urss, Nagy annuncia la neutralità ungherese e il ritiro dal Patto di Varsavia e chiede il riconoscimento da parte dell'Onu.
3 novembre 1956 Durante i colloqui con lo Stato maggiore sovietico il colonnello Maleter viene arrestato dal KGB. Verrà fucilato assieme ad Imre Nagy: la notizia della loro morte verrà data il 17 giugno 1958.
4 novembre Le truppe sovietiche entrano per la seconda volta massicciamente a Budapest. Nagy accetta l'offerta di asilo politico dell'ambasciata jugoslava.
22 novembre 1956 Nagy e gli altri rifugiati, protetti dal salvacondotto di Kadar, escono dall'ambasciata jugoslava per tornare a casa, ma vengono arrestati dalla polizia sovietica e deportati a Snagov, in Romania.
1-4 gennaio 1957 Incontro dei segretari comunisti ungherese, sovietico, cecoslovacco, bulgaro e rumeno: nel comunicato finale, si accusa per la prima volta Nagy di "tradimento" e si sottolinea l'impegno a liquidare definitivamente la "controrivoluzione".
19 gennaio 1957 Annunciata l'esecuzione di Dudas e Szabo: è l'inizio di una durissima repressione che durerà fino a tutto il 1959.
9-15 giugno 1958 Si svolge a porte chiuse il processo a Nagy, Maleter e Gimes che vengono condannati a morte e giustiziati il giorno dopo nel carcere della Via Fo.

Le ultime ore di lmre Nagy

"Attenzione, attenzione!
Vi parla Imre Nagy, Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Popolare Ungherese (ore 5.19 del mattino).

Oggi all'alba, truppe sovietiche hanno iniziato un attacco contro la nostra capitale, con l'ovvia intenzione di rovesciare il legittimo e democratico governo ungherese. Le nostre truppe stanno combattendo. Il Governo resta al suo posto.

Comunico questo fatto al nostro popolo e al mondo interno."

 

"Attenzione, attenzione! (ore 5.56)

Il Primo Ministro Imre Nagy chiama il Ministro della Difesa Pat Maleter, il capo di Stato Maggiore Istvan Kovacs e gli altri membri della delegazione militare che andarono ieri sera alle 22.00 al quartier generale sovietico, e che non sono ancora tornati, di tornare indietro senza ulteriori ritardi per prendere i loro rispettivi incarichi."

 

"Attenzione! (ore 7.14)

Il Governo Ungherese chiede agli ufficiali ed ai soldati dell'esercito sovietico di non sparare.

Evitate spargimenti di sangue!

I russi sono nostri amici e lo rimarranno anche in futuro."

Le integrazioni economiche
Praga 1968. Arrivano i carri armati

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