Poche, pochissime notizie su questo dolce "putsch" di Palazzo che ricorda le trame dell'impero di Bisanzio.
La Bulgaria è un Paese in ombra nelle relazioni internazionali: non si fa mai notare, nemmeno nel corso della guerra fredda, per atti particolarmente ortodossi a Mosca, ma nemmeno per gesti di apertura al dialogo.
Anche il 1989 è stato vissuto in ombra, rapidamente, in modo indolore.
Il giorno stesso dell'annuncio del libero passaggio fra le due Berlino, cioè l'annuncio dell'abbattimento politico del muro, sui giornali di tutto il mondo trovava un piccolo richiamo in prima pagina una notizia 'che, in altri momenti, avrebbe avuto la ribalta degli inserti speciali: anche in Bulgaria funzionava la teoria "del domino", la irrefrenabile concatenazione di richiesta di libertà che aveva già fatto crollare Polonia, Ungheria e Germania Democratica.
Il vecchio leader Theodor Zhivkov si dimetteva (veniva cioè silurato) il 9 novembre lasciando spazio al giovane Peter Mladenov. Si vocifera di proteste di piazza che il vecchio Zhivkov avrebbe comandato, senza esito, di reprimere nel sangue, quasi in una tragica anticipazione degli eventi rumeni. Da lì la decisione, covata da tempo, di sostituire con un blitz del Politburo il leader della vecchia guardia brezneviana.
Solo un breve flash di agenzia sulla tacita approvazione di Mosca dell'operato di Mladenov, poi nuovamente il silenzio.
L'unica altra svolta è il 13 dicembre: Zhivkov è addirittura espulso dal partito secondo il classico rituale marxista della epurazione graduale ma implacabile; contestualmente Mladenov promette nuove elezioni e cancella il ruolo guida del Partito Comunista.
Per ciò che riguarda la Bulgaria, il 1989 si ferma qui.




























