I protagonisti e gli eroi delle nuove «Tribune elettorali»: l'uovo, De Gregori, Gigi il Gatto
Un'analisi dei rapporti tra contenuti della competizione politica e modalità della comunicazione politica si trova sul n. 1 dell'84 di «Problemi dell'informazione», la rivista trimestrale de «II Mulino» dedicata ai media e alle questioni poste al sistema politico e sociale dall'influsso di questi rivoluzionari canali di consenso.
«La prima volta degli spots politici (le elezioni sui teleschermi)» è il titolo di un saggio di Paolo Murialdi, frutto di una ricerca sulla recente campagna elettorale finanziata dalla «Verifica Programmi Trasmessi.» della RAI.
Il saggista inizia delineando in estrema sintesi i tratti principali e le categorie fondamentali di quella politica che si va sempre più svolgendo sotto gli occhi dell'addetto ai lavori e del cittadino comune: laicizzazione della politica (intesa come positivo superamento degli «universali» ideologici, ma, credo, anche come oggettivo abbassamento del coefficiente valoriale ed etico), indifferenziazione dei messaggi (finalizzata a conquistare un «audience» sempre più vasta e articolata), fungibilità o familiarità programmatica dei partiti politici (si riducono le distanze programmatiche e i partiti diventano, in buona parte a livello di contenuti ma a volte anche a livello ideologico, interscambiabili), personalizzazione della comunicazione politica (con prevalenza sempre più accentuata, in quasi tutti i partiti dell'image sulle issues, cioè di un referente simbolico del partito sulle tematiche vere e proprie di una campagna elettorale).
Dopo questa premessa, l'autore fa il punto sullo stato della ricerca nel campo degli spot televisivi, ricerca in certo senso neonata in Italia (e proprio in coincidenza delle ultime elezioni), già consolidata invece nell'area anglosassone.
Ma il contributo più originale di questo saggio è dato dalla terza parte in cui si prendono in esame i 39 spot televisivi diffusi in scala nazionale dai partiti politici (7 DC, 6 PCI, 12 PSI, 7 PRI, 6 PSDI, 1 PLI), spots che vengono disaggregati secondo tre chiavi di lettura; contenuti programmatici enunciati, struttura (filmato o immagine o filmato con immagine, musiche, voci fuori campo...), indicazione o meno di avversari politici.
Gli esiti dei tre piani di ricerca sono omogenei, consentono cioè di formulare una tesi «già e non ancora» politica commercializzata, marketing. A una sostanziale omogeneità (spesso addirittura assenza di pronunciamento) sui programmi fa riscontro una specificità di strategia narrativa dei diversi spot (l'uovo e la candela della DC, il lavarsi le mani del PRI, la drammaticità delle fiction del PCI, la panoramica da Brera alla Rettore, con musiche di De Gregori del «anche noi votiamo socialista», le avventura di «Gigi il Gatto» per il PSDI), con la conferma dell'assenza negli spot dell'indicazione del «nemico da battere», tranne gli spot del PCI, quasi tutti anti DC.
La conclusione dell'autore è che in uno scenario politico sempre più post -ideologico e sempre meno caratterizzabile programmaticamente si crea un rapporto di inversa proporzionalità tra contenuto e modalità di diffusione di un messaggio politico: quanto più i partiti sono omologati, tanto più essi cercano di conquistare i loro spazi e le loro «centralità» (categoria decisiva nel quadro di una politica no più polare ma competitiva) affidandoci alle modalità del messaggio, alla loro «image» invece che alle loro «issues».
Questo nuovo scenario della politica suscita perplessità ed inquietudini, per il rischio di imbarbarimento valoriale e di managerizzazione tecnologica della vita democratica, ma è anche una realtà con cui tutti, e direi soprattutto la DC, devono fare i conti.




























