Marco Follini, Il tarlo della politica
Predicare contro la politica è ormai cosa facile, ovvia e persino conveniente. Ma il mugugno, il fastidio di una società che non si sente più coinvolta nel progetto della politica non aiutano a «inventare una diversa arte di governo». Questo sembra essere il senso del libro di Marco Follini. Un libro che sembra un esame dei motivi della insoddisfazione attuale da parte di chi aveva concepito la politica come «un modo – non il solo ma il più importante – di dialogare col prossimo, di lasciare un segno di sé e delle proprie opinioni». In qualche modo questo percorso vorrebbe essere l'autobiografia di una degenerazione che oggi si ritrova a muoversi in una società che nonostante tutto cerca delle sintesi possibili dei suoi conflitti e che sembra non ritrovare queste sintesi nella politica di questo nostro tempo. La politica, dice Follini, per ritrovare questa capacità di sintesi «dovrà uscire dall'effimero, dal gioco dell'immagine, dal rifiuto della memoria, dal suo attuale sbriciolamento in mille pezzi». Il palazzo mostra pericolosi scricchiolii; il ceto politico appare «più insicuro che arrogante, più improvvisato che stratega». In sostanza i protagonisti della politica accusano il malessere dell'isolamento, il black-out della società ma non riescono a venirne a capo. La credibilità degli uomini di governo e di partito si è appannata (la questione morale, anche se spesso amplificata oltre misura, anche se spesso brandita come un'arma impropria nella battaglia politica, ma pur sempre una questione vera, ha contribuito a far perdere al sistema dei partiti tanta parte del suo patrimonio di consensi). Adesso, conclude Follini, ci si muove in una fase di transizione che non riesce però a fare intravedere identità che non siano «provvisorie e indefinite». L'autore arriva a queste conclusioni aperte, conclusioni che si affidano più «alla fantasia degli eventi» che alle esercitazioni da laboratorio: nella convinzione che comunque la politica resta un «passaggio inevitabile». «Qualche volta si affaccia la tentazione di illudersi che l'insieme dei fatti della vita sociale, culturale, perfino mondana e spettacolare possano prendere il posto degli attuali equilibri del potere. Oppure l'altra tentazione che ci si possa chiudere in una dimensione più intima e raccolta, mettendosi al riparto dalle intemperie politiche. Ma sono, appunto, tentazioni». Dalle «tentazioni» si può uscire con codici non scritti, con regole non burocratiche, con ordini non imperativi che devono pur essere immaginati per ricomporre la figurazione della politica e farla corrispondere ai cambiamenti di una società. È un bisogno questo, che non può appagarsi di surrogati.
Pur restando il discorso aperto, c'è nel libro la convinzione che, nonostante tutto, per una convivenza possibile, alla politica, una politica ridisegnata, debba confermarsi un ruolo di strumento regolatore dei rapporti, fautore degli equilibri possibili. In questo bisogna sforzarsi di credere nonostante che «il peso delle illusioni», nel confronto con gli eventi, si sia fatto «doloroso e difficile». In altre parole, dietro l'angolo c'è ancora la politica, resta da vedere quanto sia lungo il muro, prima che si arrivi all'angolo.
Marco Follini,
Il tarlo della politica,
Rusconi,
pagg. 147,
L. 20.000





























