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Maggioritario o proporzionale. Uninominale secca o corretta da elementi maggioritari e viceversa. Affidati alla voglia di cambiamento dei cittadini chiamati a votare sui referendum, oppure alla capacità dei partiti di autorinnovarsi attraverso una legge del Parlamento. Il tema della riforma elettorale è sempre più oggetto di discussione e negoziati tra le forze politiche, che si confrontano all'interno della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali.

Le posizioni di massima sono varie, e per la rapidità dei processi in atto, tendono ad assumere aggiustamenti di forma e di contenuto. C'è chi, innamorato dell'attuale sistema, non vorrebbe cambiare un virgola. Poi c'è chi propugna la tesi del sistema proporzionale "corretto", l'ibrido proporzionale-maggioritario. Poi ci sono i sostenitori dell'uninominale, secca o a doppio turno. Tutti questi schieramenti "convivono" nella Commissione bicamerale insediatasi il 9 Settembre 1992, sotto la presidenza di Ciriaco De Mita.

Da quel 9 Settembre, sono passati tre mesi, e siamo ancora all'inizio. Ci sono difficoltà su tutto, persino sul metodo di lavoro. Le voci di accordo tra le forze politiche sono più spesso foraggio per le invenzioni della stampa che auspicabili realtà. Lo scontro, tra le forze chiamate a gestire le riforme, è quasi sempre frontale.

Tuttavia non si può neanche dire che i primi giorni di lavoro alla Bicamerale non siano serviti. Se non altro hanno precisato la consistenza dei gruppi contrapposti. Ci sono essenzialmente due schieramenti: i sostenitori della via referendaria e quelli della soluzione parlamentare. Due schieramenti anche nella Dc: quello di Segni, che vuole il maggioritario, e l'altro che vuole arrivare ad un sistema proporzionale corretto da elementi presi dal maggioritario. Il lavoro della Bicamerale è certamente arduo. C'è chi lo paragona a quello della Costituente, anche se con le debite differenze di intensità storico-politica. Trovare una mediazione tra tante posizioni diverse non è facile. Basta dare un'occhiata alla stessa composizione della Commissione, per capirlo. Fanno parte della bicamerale 20 democristiani, 11 pidiessini, 9 socialisti, 5 leghisti, 3 esponenti di Rifondazione comunista e 3 dell'Msi, due repubblicani, e poi un liberale, un socialdemocratico, uno della Rete, uno dei Federalisti europei (Pannella), un verde e due parlamentari del gruppo misto. Non è certo cosa da poco mettere d'accordo tutti, o almeno una consistente maggioranza, su temi cardine come la riforma del regionalismo, la riforma elettorale, la riforma degli organi parlamentari, e via dicendo.

Certo qualcuno con le idee chiare sul ruolo della commissione c'è. E' il principe delle esternazioni: l'ex Capo dello Stato, Cossiga, si dichiara assolutamente a favore dei referendum, anzi, gradirebbe addirittura un referendum su due o tre quesiti eleborati dalla Commissione bicamerale. Cossiga è preoccupato dell'impasse in cui si trova la Commissione che, secondo lui, vuole fare la Repubblica dei cittadini senza i cittadini. E allora, se sarà necessario dare la parola ai cittadini, ben vengano i referendum. In ogni caso, dato che la Commissione per le riforme ha avviato, pur zoppicante, il suo lavoro, la speranza è che lo porti a termine nel migliore dei modi, per restituire ai cittadini la fiducia nelle istituzioni che, rinnovate, siano in grado di governare i processi politici di un sistema democratico e funzionante.

Sistemi elettorali
Istruzioni per l'uso

Il sistema elettorale si può definire come un insieme di regole che influenzano le modalità con cui gli elettori esprimono il loro voto determinando la rappresentanza parlamentare dei partiti.

Solo per chiarezza, merita ricordare la differenza tra "formula elettorale" e "sistema elettorale". La prima riguarda solo il meccanismo di traduzione dei voti in seggi; la seconda abbraccia invece l'abolizione o meno delle preferenze, la determinazione delle circoscrizioni fino alle modalità di finanziamento dei partiti.

Affrontando allora il discorso delle formule elettorali, l'esame si rivolge su tre tipi: ci sono formule che richiedono la maggioranza assoluta; altre che richiedono la maggioranza relativa; e formule proporzionali. Le prime vengono spesso scartate perché, senza correttivi, è difficile che un partito o un candidato riescano a vincere in un determinato seggio con la maggioranza assoluta dei voti, provocando quindi una pericolosa situazione di stallo.

Nelle formule dove è richiesta la maggioranza relativa viene eletto il candidato che raccoglie il numero più alto di voti. Queste formule sono tipiche del mondo anglosassone dove il collegio è necessariamente uninominale con un solo candidato presente nel seggio.

Infine ci sono le formule proporzionali che riguardano più direttamente l'Italia. Il principio delle formule proporzionali è che i seggi vadano distribuiti in proporzione alla percentuale dei voti ottenuti. È una formula tipica delle circoscrizioni plurinominali che eleggono più candidati come infatti accade in Italia.

Vediamo meglio, allora, l'attuale sistema elettorale italiano: la prima cosa riguarda il modo di presentare le liste elettorali: una legge che risale ormai agli anni '50, consente ai partiti che intendono presentare le liste per la Camera dei Deputati, di farlo al Ministero dell'Interno 62 giorni prima della data delle elezioni comunicando il nome e il simbolo del partito. Le liste con i nomi dei candidati devono poi essere presentate alla Corte di Appello della circoscrizione, corredate da almeno 500 firme di elettori.

Per il Senato il discorso è invece un po' diverso, in quanto le firme richieste sono 300 e i giorni a disposizione appena 45. Negli altri sistemi elettorali la presentazione delle liste è invece accompagnata anche da un deposito in denaro, che viene perduto nel caso il candidato o la lista non raggiungano una percentuale minima di voti.

Elemento importante per capire il sistema elettorale è la scheda: alcuni paesi consentono all'elettore di esprimere una preferenza tra tutti i candidati della circoscrizione. In Italia invece si vota una sola lista e un solo candidato (prima del referendum del 1990 all'interno della lista era possibile esprimere anche più di una preferenza tra candidati della stessa lista): ciascun elettore oggi può esprimere solo il voto di lista oppure indicare per esteso il nome della preferenza.

L'altro elemento importante è l'esistenza di circoscrizioni che potremo definire come porzioni del territorio nazionale che esprimono un certo numero di seggi, variabile da un minimo di uno (uninominale) ad un massimo che può essere anche di venti a seconda dei casi (circoscrizioni plurinominali).

In Italia si è fatta la scelta delle circoscrizioni plurinominali per la Camera, e uninominali su base regionale per il Senato.

Con un occhio alla pratica, alla Camera, la distribuzione dei seggi tra i partiti si effettuata attraverso una prima operazione che usa la formula detta dei "resti più alti". Viene determinato il quoziente attraverso il rapporto tra il totale dei voti espressi nella circoscrizione e il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, più due. Il numero di voti ottenuti da ciascun partito diviso il quoziente ottenuto fornisce il numero di seggi assegnati alla lista.

Può accadere che alla fine di questa operazione vi siano dei seggi non attribuiti. I resti e i seggi non attribuiti confluiscono tutti nel collegio unico nazionale dove si determina un nuovo quoziente tra i resti di tutti i partiti e i seggi non assegnati. La somma dei voti inutilizzati da ciascun partito, divisa per questo quoziente, determina in quale circoscrizione questi seggi verranno assegnati e ovviamente in questa circoscrizione verranno assegnati ai partiti con i resti più alti. All'interno di ogni lista verranno eletti poi i candidati con il numero maggiore di preferenze.

Concludiamo solo con un accenno al metodo di elezione del Senato. All'interno dei collegi senatoriali distribuiti all'interno delle regioni, vengono dichiarati immediatamente eletti quei candidati che ottengono il 65 per cento dei voti. Soglia che risulta per quasi tutti irraggiungibile, al punto che è necessario un nuovo computo su formule molto complesse che tengono conto di tutti i voti che il partito ha ottenuto in tutti i collegi della regione.

Crisi dei partiti e delle istituzioni
Riforma dei partiti. Autoriforma o partiti nuovi?

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