Riforme

La crisi della politica non si cura con i referendum

Intervista all'on.Baruffi, responsabile dipartimento organizzativo della Dc
Nuova Politica - La crisi della politica non si cura con i referendum pagina 11
Intervista all'on. Baruffi, responsabile del Dipartimento organizzativo della Democrazia cristiana

Lei ha sottoscritto i referendum elettorali?

No

 

Perché no?

La ragione è duplice, da una parte perché la decisione scaturita dalla Dc nazionale è per la firma. Seconda ragione è che è prematuro affidare al corpo elettorale una decisione che deve essere maturata in termini partitici e politici. Sarebbe bello dire affidiamoci agli elettori per non essere vincolati alle decisioni di partito, ma, il mio timore è che l'eccessivo uso dei referendum, corre il rischio di snaturare l'opportunità degli stessi, e di dare risposte emotive, non qualificanti né qualificate. In altre parole, meglio una buona legge di riforma, che non venga usata come grimaldello dell'attuale maggioranza di governo, rispetto ad una roulette elettorale che sa come parte ma non come arriva.

 

Qual è il sistema ideale per lei (alla luce delle recenti consultazioni)?

Io distinguerei l'esito del voto rispetto alla riforma elettorale perché tra i due fatti è un punto d'arrivo. Il 6, 7 maggio e il 3, 4 giugno hanno dimostrato una notevole disaffezione verso i partiti e il sistema politico in generale. L'aumento degli astenuti, delle schede bianche e nulle, le leghe al nord e le liste civiche al sud, dicono che c'è l'esigenza di riannodare un filo che si è sfilacciato. Credo anche che il problema delle leghe non sia un fatto localistico e la Dc sbaglia a considerarlo tale, perché nasce sì da episodi localistici, ma tende a mostrare una disaffezione e una sfida verso i partiti tale da diventare un problema nazionale. Se la lega fosse un fatto lombardo sarebbe troppo bello. C'è il rischio che tale modello sia esportabile (in parte lo è stato) e che diventi un modello nazionale. La riforma elettorale non serve a risolvere questi problemi (ad esempio in Lombardia lo sbarramento non fermerebbe la lega). Credo però in uno sbarramento del 5% che costringa i partiti minori agli apparentamenti, per avere una visione della politica, attraverso la scheda elettorale, più gradevole e presentabile. Detto ciò, affermo che neppure il 5%, né l'elevazione a 20.000 abitanti del sistema maggioritario, risolve il distacco tra la pubblica opinione e i partiti che la interpretano.

 

Non crede sia necessaria anche un'autoriforma del partito per raccordarlo agli elettori sì da evitare che i consiglieri eletti non contino mentre conta la direzione del partito?

Senz'altro bisogna cambiare la struttura del partito, dando maggiore autonomia ai comitati regionali, cui affidare il tesseramento. Da noi si vota troppo per cui si dovrà modificare la temporalità dei rinnovi. Sarà necessario inoltre trovare un equilibrio tra la potenzialità che devono esprimere gli iscritti e gli eletti. Forse l'ideale sarebbe un 2/3 agli iscritti e 1/3 agli eletti. Ciò, discusso anche nell'assemblea nazionale, sarebbe un segnale verso l'esterno come sarebbero più aperte le modalità di scelta della classe dirigente, attuando una rivoluzione pacifica ma significativa nel partito.

L.V.

Documento sulla riforma elettorale e proposta referendaria
Referendum elettorali: perché sì
Bruno Palazzetti

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