Alla ricerca del denaro perduto
Mi riferisco alle amministrazioni cosiddette «rosse» che hanno fatto del pensiero e della parola un uso volutamente strumentale e marcatamente inesatto. Così le varie giunte che di volta in volta hanno speso a piene mani, con grande allegria, i soldi delle loro amministrazioni attraverso provvedimenti demagogici di grande efficacia come i trasporti gratis e tutta un'altra serie di servizi totalmente a carico delle spese correnti del bilancio comunale, hanno mantenuto e consolidato un potere che tutti i cittadini italiani hanno contribuito materialmente a garantire loro. Dobbiamo rifare un attimo la storia della finanza locale per capire come si possono sottrarre risorse al paese per fini di potere di determinati partiti, di determinati organismi.
Dal 1944 al 1977 il sistema della finanza locale si basava su tutta una larga fascia di tributi minori senza contribuzione diretta da parte del tesoro che però da va facoltà di poter accendere mutui anche a pareggio della spesa corrente.
Questa facoltà è stata usata ed abusata dai comuni amministrati da giunte di sinistra contribuendo ad allargare il deficit oltre ogni misura.
Già nel 1972-73 con l'entrata in vigore della riforma tributaria lo Stato sostituì gran parte dei tributi minori con un contributo di pari importo e questo permise alle amministrazioni locali di percepire una diversa e più elevata certezza di un intervento statale e perciò si iniziò ad operare anche con il metodo delle anticipazioni di cassa.
Questo sistema era praticamente l'utilizzazione del sistema bancario attraverso scoperti di conto corrente in anticipo su future entrate.
Si dilatò a tal punto il deficit delle amministrazioni locali che il Governo fu costretto ad intervenire.
Il decreto legge 17-1-77 n. 2 chiuse la possibilità di accedere ai mutui a pareggio e accollò al Tesoro i debiti contratti con le banche.
Ma ancora maggiore rilevanza politica acquistò il decreto legge 10-11-78 n. 702 «Provvedimenti urgenti per la finanza locale». Questo provvedimento rappresenta una tappa fondamentale per la storia della finanza locale ma anche per l'organizzazione della macchina Comunale e dei suoi servizi.
Il punto fondamentale, ma anche contraddittorio del provvedimento, è quello dove si riconosce come base per il contributo statale ai Comuni la spesa storica comunque sviluppatasi nel 1977.
Quindi, ai Comuni che avevano ampiamente sviluppato grandi mosse debitorie fu riconosciuto, oltre all'accertamento di detti debiti, un contributo Natale che tenesse conto proprio del fattore negativo della spesa corrente maggiorato del 4%.
Per quei Comuni che viceversa avevano operato una oculata gestione e pertanto non avevano sperperato risorse, fu riconosciuta la spesa corrente 1977 con una maggiorazione del 7%.
I Comuni che avevano più sperperato, in buona sostanza, si trovavano nella condizione di poter continuare a sperperare.
È provato da statistiche nazionali a cura dell'ANCI che le amministrazioni Social-Comuniste erano ampiamente le più indebitate e perciò le peggio amministrate.
I decreti legge di cui si è parlato, molto probabilmente, rappresentano il prezzo politico pagato per l'unica possibilità di Governo del paese attraverso la solidarietà nazionale.
In realtà si è costruito un sistema di potere antigovernativo utilizzando, paradossalmente, energie, risorse, sacrificio, e senso di responsabilità di tutto un popolo.
La proposta di conferire capacità contributiva alle amministrazioni locali nasce perché i cittadini percepiscano direttamente quanto pagano alla cultura dell'effimero. alle pseudo cooperative giovanili, a tutte le manifestazioni di cattivo gusto di cui siamo continuamente testimoni nelle regioni, provincie e comuni governate dal PCI e dai suoi piccoli alleati.
La capacità contributiva restituita agli enti locali non può però essere concepita come un ulteriore aggravio fiscale sui cittadini, ma come un trasferimento vero e proprio di competenze del governo contrale agli enti locali.
Questi ultimi dovranno dimostrare ai cittadini dove e come vengono spesi i soldi loro direttamente raccolti.
In democrazia i cittadini hanno il diritto di percepire, con assoluta certezza, di chi sono le responsabilità politiche, morali, amministrative di una comunità.
Dal programma dei giovani dc
È necessario che le forze politiche e le istituzioni affrontino con decisione e urgenza il problema della disoccupazione e in particolar modo di quella giovanile.
Globalmente la dinamica occupazionale italiana nel corso dell'ultimo decennio non si è differenziata da quella degli altri paesi industrializzati. in tutto il mondo occidentale il tasso di disoccupazione è cresciuto notevolmente stabilizzandosi su livelli molto preoccupanti e particolarmente preoccupanti sono le prospettive circa non solo il livello ma anche la struttura della disoccupazione.
Infatti mentre negli altri paesi la disoccupazione giovanile oscilla tra il 30 e il 40 per cento della popolazione totale in Italia la popolazione con meno di 25 anni rappresenta il60 per cento dei disoccupati.
È un problema di emarginazione delle nuove generazioni nonsolo dal mondo produttivo ma dalla società nel suo complesso, che presenta toni particolarmente drammatici nel Sud dove. per la elevata quota di lavoro non protetto, la disoccupazione è in gran parte esplicita e minori le possibilità di trovare prima occupazione.
La struttura della disoccupazione italiana non è peraltro una situazione storica: a cavallo degli anni '70 la nostra quota di disoccupazione giovanile era analoga o addirittura inferiore a quella degli altri paesi industrializzati.
Le cause dell'attuale distorsione sono molteplici e vanno ricercate nelle rigidità complessive del sistema italiano.
Una rigidità del mercato del lavoro che si è concretizzata negli anni passati nella difesa del singolo posto di lavoro e nell'opposizione di fenomeni di mobilità, che hanno lasciato chi è in cerca di prima occupazione privo di garanzie e di difese.
La crisi e l'inattualità del sistema di collocamento, in senso generale, non contribuiscono a superare le difficoltà e a trasformare la ripresa produttiva degli ultimi mesi in una offerta occupazione. La rigidità italiana va individuata anche nel progressivo distacco del mondo scolastico da quello produttivo.
L'istruzione non è in Italia un reale momento formativo che permetta al giovane che esce dalla scuola un inserimento non traumatico. Vanno ripensate strutture e programmi dell'università e soprattutto della scuola secondaria superiore di cui da troppo Lempo si allende dal Parlamento una riforma.
Manca inoltre un reale orientamento professionale ed una adeguata informazione del lavoro, che per mano da un lato di comprimere even1uali scelte obsolete, e di accrescere aree culturali in forte avanzata economica, e dall'altro di far sì che i diplomati o i laureati siano in condizione di arricchire il loro curriculum di una specifica preparazione professionale, sia essa dovuta a strumenti teorici di specializzazione e ricerca nei corsi di studio, o a motivi pratici, i lavoro part-time o di vero e proprio apprendistato di formazione.
Nel suo complesso pare purtroppo che la disoccupazione giovanile non possa nel breve periodo trovare soluzioni definitive. Essa può però essere riportata a tassi di livello europeo e in questo senso orienteremmo la nostra proposta.
Crediamo che anche in questa campagna elettorale per le elezioni amministrative si possa e si debba parlare di disoccupazione giovanile, perché essa va affrontata da tutti (è un problema di tutti), dallo Stato e dalla società nel suo complesso.
Esistono anche strade possibili per un intervento degli Enti Locali a favore dei giovani. Si tratta di interventi non assistenziali malesi a dare concrete possibilità al mondo giovanile di inserimenti nel mercato del lavoro migliorando nello stesso tempo alcuni servizi che le Amministrazioni locali rendono ai cittadini.



































