Regioni, Provincie e Comuni costituiscono quello che viene comunemente definito lo Stato delle autonomie locali, cioè un sistema istituzionale nel quale i poteri pubblici non sono rigidamente centralizzati, ma ripartiti su una molteplicità di livelli decisionali periferici.
Nella preparazione della parte della Costituzione riguardante le autonomie locali, ritenuta la più innovativa, è determinante l'influenza dei cattolici democratici.
Le idee di Sturzo e La Pira e l'apporto della Democrazia Cristiana lasciano una traccia nettissima anche se, per esempio, la Regione nasce dal compromesso tra i democristiani favorevoli e le sinistre contrarie (in particolare il PCI che preferisce privilegiare il rapporto con i partiti piuttosto che gli schemi di riorganizzazione dello Stato).
Il nuovo soggetto regionale finisce con l'oscurare la provincia, la cui figura è messa in discussione. Nel dibattito alcuni la riducono ad una semplice circoscrizione amministrativa di decentramento statale e regionale, con una Giunta nominata dai corpi elettivi dei Comuni o dei Consigli regionali.
Solo al termine si torna all'ente autonomo e si afferma contemporaneamente la preoccupazione dei troppi livelli burocratici; da qui prende vita l'originale disegno organizzativo della delega di funzioni agli enti locali (art. 118). Il Comune è l'altra figura centrale delle autonomie. È infatti l'istituzione primaria di autogoverno della comunità locale. Nelle intenzioni del Costituente, soprattutto degli ex popolari, il comune rafforza la statualità e toglie la debolezza organica insita al sistema statale accentrato.
Ma ciò che muta radicalmente nei rapporti Stato-Enti Locali è l'affermazione del principio dell'autonomia.
Non vi è più il rapporto di subordinazione gerarchica presupposto dall'autarchia, né tanto meno quello di ausiliarità introdotto dal Fascismo.
Gli enti locali sono autonomi nella determinazione del proprio indirizzo politico, incontrano sì dei limiti nella Costituzione e nei principi generali dell'ordinamento giuridico o delle leggi generali della Repubblica, ma possiedono una differente dignità che li rende partecipi delle grandi decisioni attraverso il metodo della programmazione.
Perché l'autonomia?
"Quando si parla di diritti essenziali della persona e di sistema integrale dei diritti essenziali della persona, ci si deve riferire unicamente – come si fece nella Dichiarazione del 1789 e in quelle successive – ai diritti delle singole persone?
Si deve cioè continuare ad ammettere quella concezione atomistica che contrappone disorganicamente i singoli allo Stato, senza tener conto delle comunità naturali che sono la inevitabile e provvida mediazione fra lo Stato ed i singoli?
O invece bisogna includere nel sistema integrale dei diritti della persona anche i diritti essenziali di queste comunità naturali? Bisogna cioè affermare che come non può aversi una effettiva libertà civile e politica della persona senza la tutela dei diritti sociali, così questa effettiva libertà non può aversi senza la tutela dei diritti essenziali delle comunità?
Cioè: il sistema integrale dei diritti essenziali dell'uomo esige o no che siano solidamente affermati tanto i diritti individuali quanto quelli sociali e quelli delle comunità?
Per noi la risposta non ammette dubbi: i diritti essenziali della persona umana non sono rispettati – e lo Stato perciò non attua i fini per i quali è costruito – se non sono rispettati i diritti della comunità familiare, della comunità religiosa, della comunità di lavoro, della comunità locale, della comunità nazionale. Perché la persona è necessariamente membro di ognuna di queste comunità, e ne possiede lo status; la violazione dei diritti essenziali di queste comunità costituisce una violazione dei diritti essenziali della persona umana ed indebolisce o addirittura rende illusorie quelle affermazioni di libertà, di autonomia e consistenza sociale che sono contenute nelle dichiarazioni dei diritti...
L'esperienza dello Stato del 1789, per un verso, e quella dello Stato totalitario, per l'altro verso, ha messo in viva luce l'errore fondamentale che si annida in queste due concezioni contrapposte dello Stato.
Da qui le nuove e vitali correnti, giuridiche, politiche, economiche che affermano la concezione pluralista della società e dello Stato.
Le più organiche correnti di pensiero tanto del cattolicesimo sociale... che del socialismo contemporaneo si ancorano a questa visione pluralista del "droit socia!"...
Dall'individuo si va allo Stato attraverso la mediazione di ordinamenti anteriori, la cui esistenza non può essere dallo Stato disconosciuta. La conclusione che si trae da quanto è stato detto è la seguente: il sistema integrale dei diritti della persona esige, per essere davvero integrale, che vengano riconosciuti e protetti non solo i tradizionali diritti individuali di libertà civile e politica affermati nel 1789; non solo i diritti sociali affermati nelle nuove Carte costituzionali, ma anche i diritti essenziali delle comunità naturali, attraverso le quali gradualmente si svolge la personalità umana: i diritti del singolo vanno integrati con quelli della famiglia, della comunità professionale, religiosa, locale e così via."
(intervento all'Assemblea Costituente di Giorgio La Pira)
Costituzione
Articolo 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi del la sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento.































