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C'era una volta il mito delle giunte rosse

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Nuova Politica - C'era una volta il mito delle giunte rosse
Dietro le «mani pulite» i limiti e le incrinature di uno dei tanti miti degli anni '70. La logica pericolosa della dipendenza delle istituzioni dal partito. L'ente locale che garantisce ogni cosa e copre ogni spazio rischia di far addormentare il tessuto sociale.

Da qualche tempo l'attenzione del dibattito politico, anche all'interno della Democrazia Cristiana, parerivolta, in modo particolare, al sostanziale fallimento della gestione delle Giunte di sinistra nei grandi centri urbani, iniziata con le elezioni amministrative del 1975. Dieci anni sono stati certamente sufficienti per dimostrare che le promesse di stabilità di governo, di efficienza e di rinnovamento nella guida della cosa pubblica, sono andate deluse.

La giusta sottolineatura di questi elementi nel corpo della campagna elettorale, sta però rischiando di porre in secondo piano un'analisi di quelle realtà in cui le Giunte rosse governano ormai da quarant'anni. L'Emilia-Romagna innanzitutto – ovvero la bandiera sventolata con orgoglio dal partito comunista in tante occasioni non troppo lontane nel tempo – meriterebbe studi seri sul piano dello sviluppo economico e sociale, in grado di mettere a nudo limiti ed incrinature di uno dei tanti miti degli anni '70.

Chi non si ricorda l'immagine, tanto capillarmente propagandata, delle «mani pulite», vanto e segno distintivo delle giunte rosse? Oggi i numerosissimi procedimenti giudiziari in corso, o già sfociati

in una condanna, hanno messo in luce un sistema di potere basato sulla dipendenza delle Istituzioni dal Partito: gli amministratori locali sono ingabbiati in una logica per cui il «servizio» al partito arriva a concretizzarsi in modi, più o meno occulti, di favorire il «proprio mondo», anche a scapito dell'interesse pubblico, con conseguenze, in termini di risposta al favore ricevuto, facilmente immaginabili e da qualche tempo al vaglio della magistratura. Per questo diventa paradossale l'improvvisa riflessione, avviata dal Partito Comunista, sulla necessità di revisione delle ipotesi di reato dei pubblici amministratori, in nome di una mutata realtà degli Enti Locali, soltanto dopo che la DC ha sollevato il problema della questione morale nelle regioni rpsse.

Altri hanno comunque scelto, in diverse occasioni, di impostare un dibattito elettorale soltanto sul piano della moralità (o dello scandalismo?) tralasciando un'analisi sui contenuti; noi vogliamo invece suggerire alcuni spunti di analisi sulla gestione social-democratica degli Enti Locali, tesa a trasformare la presenza del pubblico in una rete per controllare e per dominare la società, occupando spazi che del pubblico non dovevano e nondevono essere.

L'ansia di costruire un'immagine, spesso a fini di propaganda, secondo cui le Giunte rosse erano le uniche a garantire servizi sociali in tutti i campi, ha portato con seconseguenze negative sia sul piano della gestione ra7ionale della cosa pubblica che su quello della crescita del tessuto sociale.

Nel periodo in cui le leggi dello Stato consentivano agli Enti Locali di governare con bilanci in deficit, le Giunte rosse si lanciarono in una gara per creare servizi di ogni tipo (indipendentemente dai loro costi o all'assistenza di analoghe iniziative gestite da privati), a spese, perciò, non di quella specifica comunità ma di tutta la collettività nazionale 0o Stato, infatti, sarebbe dovuto intervenire prima o poi per sanare i deficit) comprese le zone più povere e più carenti di servizi del Paese.

Così partirono, in alcune città, la demagogia dell'autobus gratuito o gli slogans del tipo «Bologna ha più asili nido di tuuala Sicilia». Oggi si pagano le conseguen1e di scelte avventate fatte in quegli anni.

Nel settore, per esempio, delle scuole per l'infanzia si sta assistendo a sviluppi paradossali: negli anni '70 in quasi ogni comune rosso si assisteva a periodiche inaugurazioni di asili costruiti senza avere, in nessun modo, studiato le previsioni statistiche sul calo della natalità. Così, oggi non ci sono più bambini per riempire asili costruiti pochi anni fa e ora trasformati in centri culturali o per anziani; ma costi e personale, ovviamente, sono rimasti, con risultati disastrosi per le finanze comunali: valga l'esempio di Ferrara dove un bambino di un asilo nido costa al comune 12.000.000 l'anno (più o meno uno stipendio per un genitore) e dove il rapporto personale-utenza è di 2 addetti ogni 3 bambini (dati riferiti al 1983).

Anche sul pianosociale la logica dell'Ente Locale che garantisce ogni cosa e copre ogni spazio ha ottenuto un risultato negativo: quello di addormentare il tessuto sociale. Allora se il nostro fine è di lavorare per fare crescere la società e non per controllarla, per aiutare la comunità ad autogestirsi e non per guidarne ogni scelta attaverso la presenza del pubblico, dobbiamo criticare un sistema vecchio ed indicare una strada radicalmente nuova e diversa.

Tanti sono i temi d'impegno per giovani amministratori. Prima di tutto la politica culturale degli Enti Locali: deve essere superata l'idea vecchia ed accentratrice dell'Ente pubblico che promuove e controlla tutto (dal tempo libero, ai divertimenti, all'impegno sociale, allo sport) per adottare l'idea di un «pubblico» che si limita ad assistere, aiutare, ospitare le attività culturali che nascono spontaneamente dalla società. Lo stesso problema del tempo libero dei giovani è affrontato dalle Giunte di sinistra in un modo vecchio: sono superate dai tempi le idee di quei centri pubblici in cui tutto è preconfezionato e i giovani devono accettare occasioni d'impegno incanalate secondo linee imposte da qualche assessore, anziché decidere da soli come e su quali argomenti aggregarsi ed utilizzare le strutture pubbliche.

Anche il problema del recupero dei tossicodipendenti è affrontato dalle amministrazioni di sinistra con criteri ormai logori: qui non serve creare strutture gestite direttamente dalla USL con personale a ore, quando sul territorio esistono organizzazioni di volontariato pronte a prendere in gestione strutture offerte dall'Ente pubblico, con minori costi e migliori risultati.

Si tratta, in sostanza, di fare crescere la società, agendo sul piano locale per non aumentare le deviazioni di questa società che tende ad isolare la gente, ad aumentare la solitudine, ad abituare ad assorbire la cultura, le notizie, anche i sentimenti dai mass-media anziché farli emergere, crescere dal confronto con gli altri, dalla vita comunitaria.

Per questo dobbiamo richiedere un'azione degli Enti Locali per mettere a disposizione della gente, ed in particolare dei giovani, ogni strumento per favorire forme di aggregazione spontanea attorno a valori non consumistici: si tratta di riscoprire il diritto di credere in beni non materiali.

È una strada lunga e difficile per restare liberi. Liberi da chi vuole farci affogare in un mare di bisogni sempre più falsi ed inutili e da chi sembra disposto, per controllare il consenso, a sacrificare ciò che di vivo cresce nella società.

Dal programma dei giovani dc

Per questi motivi è nostro intendimento disegnare i caratteri di una nuova cultura di governo della città.

Una cultura che si basi sui valori della solidarietà, della ricerca di una migliore convivenza sodale. Una cultura, cioè, che sia legata al progetto per il futuro e che sia veramente attenta alla comunità degli uomini.

A questo proposito si rende importante per un progetto alternativo di governo della città comprendere e guidare il rapporto tra società ed istituzioni. Si è ormai esaurito il binomio tradizionale Società civile-Stato e sta mutando secondo uno schema tripolare che comprende lo «Stato», il «Mercato» e la «Società civile». Il «Mercato», intendendo per esso la globalità dei rapporti economici esistenti, entra direttamente nelle sfere istituzionali e sociali del paese. Il PCI ha trovato un equilibrio all'interno di questo schema in termini scientifìcamente clientelari, basati cioè sul mero «scambio politico». Per il PCI il «Mercato» è certamente giocato in funzione dell'acquisizione del consenso soffocando o rendendo strumentale la partecipazione dei cittadini alla vita della comunità locale.

Tale concezione soffoca la reale autonomia politica e sociale del territorio, ed esprime tra l'altro, dobbiamo dirlo con forza, una concezione statica e conservatrice del rapporto con la società, di cui il PCI, al di là delle facili demagogie, si esatto alfiere.

L'impegno del nostro movimento è di ricercare in termini dinamici un equilibrio tra queste tre entità. Si rende, cioè, necessario raccordare sistematicamente la cultura locale con l'economia periferica e con le Autonomie locali.

Per un dibattito sulle alleanze
Un progetto per la città
Alessandro Forlani

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