Autonomia impositiva: rischi e prospettive
Da tempo la questione dell'autonomia ir.ipositiva degli Enti locali è uno dei punti più importanti del dibattito sul futuro del decentramento amministrativo nel nostro Paese. Se ne è parlato recentemente come di una frontiera da raggiungere e da superare, per consentire un futuro di progresso per quegli amministratori che vogliono porre al servizio della collettività una capacità diversa rispetto a quella che deriva dalla semplice transazione di risorse finanziarie dallo Stato.
Si tratta tuttavia di porre il problema in termini chiari e corretti per evitare disillusioni e cattive interpretazioni.
Vi è una doppia esigenza da tener presente. Per un verso vi è la necessità di strumenti precisi di autodeterminazione e di responsabilizzazione delle autonomie locali; tuttavia per un altro verso vi è contemporaneamente l'esigenza digarantire una qualche uniformità di trattamento del cittadino che deve essere indi- pendente dalla sua colloca- zione sul territorio. Questi due aspetti sono quelli cruciali e diventano tanto più decisivi, quanto più aumentano gli spazi dell 'autonomia impositiva.
Infatti, fino a che punto è accettabile un ampliamento della forbice, già peraltro troppo larga, tra i livelli di spesa e di risorse delle comunità del sud e del nord del Paese? Qui probabilmente sta il nodo della questione politica. La preoccupazione, come diceva recentemente ad un seminario dell'Arei il prof. Giarda (Presidente della Commissione di spesa del Ministero del tesoro) è che se si ampliano troppo gli spazi dell'autonomia impositiva, diventeranno sempre più pressanti le richieste perriequilibrare il livelli di spesa in alto: naturale sarà la richiesta di un riallineamento ai livelli di spesa più elevati raggiuti laddove le basi imponibili sono più ampie e vi è un maggior livello di ricchezza. La risposta che la politica dovrà dare sarà collegata a verifiche sul fatto che l'ampliamento degli spazi di autonomia impositiva non diventi successivamente un incentivo ad aumentare gli interventi dello Stato a favore dei comuni delle zone meno ricche, con uno svuotamento, di fatto del principio stesso dell'autonomia.
D'altronde quest'ordine di problemi è collegato strettamente ad una situazione di controlli rispetto all"'over-spending", che negli anni scorsi era quasi diventata la regola.Si tratta invece di far passare e garantire l'altra regola che ogni comune non può spendere oltre il livello di risorse disponibili. Se i comuni non accettassero queste regole di convivenza finanziaria con lo stato e si verificasse che comunque lo stato, prima o poi, interviene a sanare le situazioni di "over-spending", allora si verrebbe a minare il concetto stesso di autonomia che deve fondarsi su un principio di corrispondenza fra decisioni in materia di spesa e decisioni in materia di entrate. Ulteriore difficoltà riguarda un'attenta analisi sul versante spesa. Appare infatti difficile, soprattutto per il servizi comunali, poter definire gli standard minimi di spesa, in termini assoluti, perché i bisogni mutano. Il punto probabilmente è il quantum di differenza sia accettabile tra zona e zona.
Queste riflessioni vanno necessariamente collegate ad alcuni punti che investono più in generale il sistema politico.
In particolare appare difficile applicare rigidi principi di autonomia impositiva senza concepire adeguati strumenti che consentano serie politiche di programmazione degli interventi. E di conseguenza sarà necessario cominciare ad inserire meccanismi di controllo riguardo all'impatto che le scelte politiche e amministrative hanno nel tempo. Alle discussioni accese e prolungate su piani di interventi pluriennali devono seguire identici dibattiti sui risultati che le decisioni politiche e amministrative comportano.
Probabilmente oltre che la questione di meccanismi istituzionali si tratta qui di mentalità e di responsabilità politica che la classe dirigente, sia a livello locale che a livello centrale, dovrà assolutamente cambiare.
































