Tributi, tasse, imposte: diversi modi per indicare una stessa realtà. Sono i soldi, una parte della ricchezza o del reddito dei cittadini che vanno ad assicurare i fondi per la spesa pubblica: per la scuola, per gli ospedali, per le strade, per gli uffici, per i tribunali e così via. Lo Stato amministra questi fondi e li utilizza per organizzare e far funzionare i servizi di cui i cittadini hanno bisogno e diritto. Può farne anche un uso diverso. Può investirli in attività economiche di cui, come Stato, è il solo padrone: per esempio le ferrovie, le poste e, fino a qualche anno fa, le trasmissioni radio o televisive. Può usarli per partecipare anche lui a un certo numero di aziende industriali come l'Iri, l'Eni che sono appunto partecipazioni statali.
Può, con questi fondi prelevati ai cittadini, intervenire in attività economiche attraverso enti pubblici specifici: è il caso dell'Enel, l'ente nazionale che produce e distribuisce l'energia elettrica. Insomma, le destinazioni dei soldi prelevati dalle tasche dei cittadini attraverso il sistema fiscale possono essere molteplici. Così come molteplici sono i meccanismi del prelievo fiscale e gli strumenti attraverso i quali viene attuato.
Ma al di là degli aspetti tecnici, la complessa macchina fiscale, per funzionare in modo equo ed efficiente, deve rispondere ad alcune regole e principi di fondo.
In generale possiamo dire che, affinché il sistema fiscale possa assolvere i suoi compiti, devono essere rispettate tre condizioni fondamentali che Vanoni, l'uomo che ha ispirato per molti anni la politica tributaria della DC e del paese, enunciava negli anni '50 ma che sono tuttora attuali.
- Il carico fiscale deve essere sopportabile: non deve cioè scoraggiare la produzione del reddito e non deve diventare la causa tecnica dell'evasione.
- Il sistema fiscale deve fondarsi su un rapporto di fiducia e di collaborazione fra Stato e cittadini: come diceva Vanoni, il problema dell'evasione potrà essere risolto soltanto se riusciremo a "creare, attraverso la persuasione politica e morale, un clima nel quale si senta che, difendendo la razionale e uguale applicazione dei tributi, si difende non una legge formale dello Stato, ma l'essenza stessa della vita dello Stato".
- Il primo passo deve essere compiuto dall'amministrazione finanziaria che deve essere obbligata a non cambiare gli elementi offerti dal contribuente, se non dimostra l'inattendibilitàdi questi.
La condizione prima è comunque una nuova consapevolezza da parte di tutte le forze politiche che devono rendersi conto che la questione fiscale, in quanto problema essenziale di una comunità, non può essere strumento di lotta politica. La questione fiscale potrà essere risolta solo se diventerà tema di unificazione morale del paese e non di scontro politico e sociale.
Purtroppo la riforma tributaria del 1971 ha lasciato aperti molti problemi e non ha portato all'attuazione di un sistema fiscale fondato sulle tre condizioni precedenti. Il sistema è ancora molto complesso, a causa della continua proliferazione di leggi, la tassazione dei redditi ha raggiunto livelli insopportabili soprattutto per alcune categorie di contribuenti, troppo poco è stato fatto per riorganizzare l'amministrazione finanziaria. E quest'ultimo è un punto decisivo. Oggi, purtroppo, l'amministrazione finanziaria è un meccanismo allo sfascio: cattiva organizzazione, organici incompleti, arretratezza tecnologica. Un caos di fronte al quale sarebbe necessario accogliere il suggerimento di un vecchio esperto di cose fiscali, Cesare Casciani: "qualsiasi riforma che si proponga di migliorare il funzionamento del sistema fiscale non può limitarsi alla stesura di norme di, legge, ma deve essere preceduta da un riforma dell'apparato amministrativo degli uffici, in modo da renderne più efficiente l'azione. L'esperienza dimostra che i tempi tecnici necessari per riformare l'apparato amministrativo sono molto più lunghi di quanto occorra per predisporre una riforma del sistema tributario".
Venti milioni a testa?
Il nostro è un paese costituito da 57 milioni di soci; i quali, per amministrare i loro beni comuni, hanno eletto un'assemblea, il Parlamento, e indirettamente quindi un governo.
I cittadini pagano naturalmente le tasse e i contributi. Questi quattrini (assieme ad altre entrate) vanno a finire in una cassa comune: le casse dello Stato. Servono per pagare non solo i dipendenti ma tutta una serie di servizi collettivi: l'educazione, i trasporti, la giustizia, l'esercito, la polizia, la ricerca eccetera. E ovviamente anche le pensioni e l'assistenza sanitaria.
Queste spese, però, cominciano a un certo punto ad aumentare sempre più rapidamente. E così il bilancio dello Stato, naturalmente, va in passivo. Anche perché vengono sovvenzionate aziende spesso decotte, gestite male e che gravano sulla collettività. Cioè le spese, nel loro insieme, superano le entrate ricavate dalle tasse e dagli altri introiti tradizionali. Dove trovare nuovi soldi, allora? Lo Stato lancia un prestito. Chiede ai cittadini i loro risparmi, dando in cambio dei Buoni del Tesoro, o dei Certificati di.credito, ad alto interesse.
Nelle casse dello Stato entra così molto denaro fresco. E questi quattrini consentono allo Stato di pagare i dipendenti, le pensioni, la sanità e tutto il resto. Non solo, ma anche di versare ai cittadini gli interessi che derivano da questi prestiti.
Tutti in apparenza sono quindi contenti; i dipendenti vengono pagati, ci sono fondi per le pensioni e la sanità, e i sottoscrittori ricevono alti interessi.
In realtà lo Stato aumenta il suo deficit e i suoi debiti. Deficit, perché la differenza tra entrate e uscite continua ad aumentare. E debiti, perché si accumulano, anno per anno, le somme da restituire a chi le ha prestate: non solo singoli cittadini, ma anche banche e organismi internazionali. Ma c'è un altro problema: in questo modo vengono a scarseggiare i soldi per gli investimenti produttivi. Cioè le imprese, che cercano sul mercato i soldi per espandersi, si vedono concorrenziate dallo Stato, che offre ai risparmiatori interessi altissimi, pur di catturare quattrini. Si crea così un ulteriore circolo vizioso: vengono a mancare soldi per investire, l'economia non cresce come potrebbe, e non cresce di conseguenza neppure il gettito fiscale. E quindi il deficit non si riduce.
I debiti dell'Italia stanno ora aumentando in modo così vertiginoso che stanno superando lo stesso prodotto nazionale lordo. Cioè stanno superando la stessa ricchezza prodotta in un anno dal paese nel suo insieme. Allo stato attuale non si vede infatti come questa emorragia crescente possa venir fermata. Per esempio si dà per certo che le spese per la sanità e le pensioni e altri servizi pubblici (date le leggi esistenti) continueranno ad aumentare in progressione geometrica, anche per effetto dell'invecchiamento della popolazione.
Questo drenaggio di denaro naturalmente sottrae soldi per gli investimenti produttivi. Inoltre l'abitudine del settore pubblico a spendere più di quanto incassa, alimenta i consumi e fa saltare gli equilibri dei conti con l'estero. Perche' grazie al denaro che circola, consumiamo di più e spendiamo di più per le importazioni.
E ci indebitiamo di più. Insomma, il debito pubblico è davvero la nube tossica che incombe minacciosa sul futuro di un'economia italiana, retrocessa in serie B dalle istituzioni economiche internazionali proprio per l'incapacità dei nostri Governi di risanare la finanza pubblica.
Ma questa è la prova che dobbiamo superare per non perdere il treno dell'Europa del 1993.
COSTITUZIONE
Articolo 53
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è in- formato a criteri di progressività.




