Portafogli rigonfi di tessere ed adesioni, gli italiani sono un "popolo che si associa" volentieri. E per Ralph Dahrendorf, nella sua analisi sul 1989 ad Est, la consistenza dell'associazionismo è la miglior riprova della salute di una democrazia. Mentre infatti per valutare il corretto funzionamento delle istituzioni politiche o di una scelta economica sono sufficienti 6/7 anni, per la creazione di una rete associativa spontanea ne servono anche 60 o 70, cioè un lungo periodo di democrazia reale che faccia sentire ai cittadini questa spontanea volontà di incontrarsi.
Giovani e adulti vivono, però, rispetto al passato, una condizione nuova, frutto forse della società post-industriale o della crisi delle ideologie: quella che i sociologi chiamano "pluralità di appartenenze". Gli italiani non vivrebbero più in modo esclusivo i propri rapporti sociali, non si esaurirebbero nella parrocchia o nel circolo, nel partito o nella polisportiva. Alla logica out/out subentra quella et/et. Si pratica podismo, si è iscritti al sindacato, si passano le serate al circolo, si frequenta il cineforum, si ama la natura, si discute di politica: ogni attività ha la sua tessera, ma nessuna totalizza le altre, se non per qualche "professionista" della politica o dell'associazione.
Emerge dunque un primo rischio dell'associazionismo: veicolo di "promozione" per chi c'è dentro, l'associazione diventa veicolo di "emarginazione" per chi sta fuori. I sindacati si occupano dei licenziati, ma meno dei senza-lavoro; i biglietti allo stadio sono disponibili prima per i club dei tifosi; gli orari dei campi sportivi sono "lottizzati" tra le società sportive e non vi è più spazio per i privati cittadini. Una novità degli ultimi anni – registrata puntualmente nei rapporti Censis e Ispes – è data dalla proliferazione delle associazioni a tutela dei diritti dei cittadini, "citizen's lobbies", lobbies positive per una "welfare society": sono infatti sorti in modo copioso movimenti per la trasparenza politica, associazioni di consumatori e di utenti, movimenti per l' ambiente. Questa pratica, largamente diffusa in altri Paesi europei (centinaia di migliaia di soci in Francia, Gran Bretagna e Olanda), ha prodotto anche in Italia – sulla scorta di programmi come "Diogene" o "Di tasca nostra" – risultati significativi: dalla legge sull'autocertificazione, ottenuta su pressione del Movimento per la Difesa del Cittadino, alla certificazione della salute delle acque balneari effettuata dalla Goletta Verde. Ad oggi risultano affiliate in questo campo 90-100.000 persone.
È molto complesso quantificare in numeri assoluti e percentuali le adesioni associative degli italiani che sfiorano comunque – il dato è grossolano – i 30 milioni. Ci si può limitare a dire che restano rilevanti i numeri assorbiti da partiti, sindacati e società sportive, associazioni ecclesiali, movimenti (Acli, Mcl, Ac, Cl ecc.), che sono anche i più facilmente verificabili. Ruoli rilevanti vengono svolti dalle associazioni di volontariato (circa 6 milioni nel loro complesso), da quelle ambientali e naturalistiche. Per ulteriori approfondimenti resta di indubbia utilità il Rapporto sull'Associazionismo Sociale elaborato dall'Iref e dal Cnel ed edito da Franco Angeli.
Come concludere questa riflessione? Diciamoci francamente: viva l'Italia che si associa, ma chi tutelerà i non-associati?
Costituzione
Articolo 18
I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. (...)


