Dalle ACLI una terza fotografia per conoscere l'«Italia degli italiani»
Se è vero che per completare la fotografia dell'«Italia e degli italiani» si sentiva l'esigenza di possedere, accanto al rapporto sulla situazione congiunturale economica e a quello sulla situazione sociale, (condotti rispettivamente dall'Iseo e dal Censis), anche un rapporto sulle aggregazioni associative del Paese, allora bene hanno fatto le ACLI a operare una ricognizione su quest'ultimo versante, che ha prodotto l'omonimo «Rapporto», sulla base di una ricerca condotta dall'IREF (Istituto di ricerche educative e formative, promosso dalle ACLI) e patrocinata dal CNEL.
Il «Rapporto» (pubblicato in un volume) è diviso in tre parti: una dedicata a motivazioni e esiti della ricerca; una seconda che indica gli ambiti dell'associazionismo; una terza che illustra i rapporti Stato-associazioni in Italia dal Risorgimento ad oggi. Nel n. 19/85 di «Azione sociale», il settimanale delle ACLI, è riportata una breve sintesi di questa ricerca, soprattutto per quanto riguarda i settori in cui intervengono gli «associati»: movimenti educativi e sociali, informazione e comunicazione sociale, diffusione culturale e spettacolo, turismo sociale, promozione sportiva, ambiente ed ecologia, protezione civile, casa e territorio, lavoro associato, consumo e consumatori, difesa della salute, assistenza sociale, emigrazione, difesa della salute, assistenza sociale, emigrazione, movimenti di opinione (in cui sono compresi anche varie esperienze non catalogabili). Di ognuna di queste aree è tracciato, nel «Rapporto», un accurato identikit: quantità e qualità di soci e/o di utenti, modalità organizzative, distribuzione territoriale, rapporti con le istituzioni... Uno strumento prezioso quindi, per chi fa politica, e per chi, come la DC, vuole farla dalla parte della società civile.
Vorrei segnalare, però, quella che è un po' l'intuizione base che sottende questa ricerca, ben sintetizzata nel dibattito condotto in occasione della presentazione del rapporto, cui hanno preso parte Franco Bassanini, Benedetto De Cesaris e Domenico Rosati, presidente delle ACLI (una sintesi è riportata nello stesso numero di «Azione sociale»).
Delle tre grandi ipotesi (la schematizzazione è d'obbligo, e cene scusiamo) con cui è possibile definire un nuovo rapporto Stato-società (sarebbe a dire: quella della riduzione e compressione della complessità; quella della «contrattazione» equilibrata di questa, tramite concertazioni centrali di tipo più o meno neocorporativo; quella della valorizzazione sia della complessità, sia della conseguente pluralità di soggetti e realtà sociali), l'opzione delle ACLI è nel senso dell'accogliere la complessità come positiva «pluralità», da cui una scelta di autogoverno della società, da cui un'esigenza di decentramento del potere istituzionale.
Ed è significativo che la scelta delle ACLI per questa terza risposta si concretizzi nella scelta di consolidare e valorizzare la «terza dimensione» o «terzo settore», il cosiddetto «privato-sociale», cioè quell'area di società che si colloca tra lo Stato e il mercato e che non è né stato né mercato, anzi, che risponde ad istanze cui non può rispondere né lo Stato né il mercato: ci riferiamo al volontariato e all'associazionismo, ma anche alle aggregazioni di consumatori, inquilini, utenti e/o gestori di determinati servizi, purché animati nella loro attività da una matrice solidaristica e non solo rivendicazionistica. Questo dunque è il «privato sociale», così chiamato perla sua genesi non pubblica e per le sue finalità non solo private.
L'associazionismo si colloca certamente su questo terreno; puntare davvero su di esso non è poi così facile (anche perché lusinga la 'modernità' di certe 'scorciatoie' di ingegneria sociale e istituzionale), ma credo resti una delle principali chances per ricucire il fossato che si sta allargando tra Stato e società, tra istituzioni e cittadini: e la attenta cultura «societaria» delle ACLI questo l'ha capito bene.






