Alla riscoperta del volontariato
Allora l'ente locale, tra le domande pressanti della società e la propria inadeguatezza istituzionale, si deve guardare intorno, cercare collaborazione e interlocutori per evitare che al dilatarsi della spesa nel settore corrisponda un «reddito sociale» nullo. Contemporaneamente, assistiamo all'affermarsi del volontariato che, come si osservava già su questa rivista (G. Lattarulo, Una nuova coscienza sociale per battere l'indifferenza, in Nuova Politica, n. 1, 1984) la realtà sommersa e privata tende a porsi come alternativa o come integrazione delle prestazioni fornite dall'apparato burocratico.
A questa realtà si deve rivolgere l'ente pubblico, quando deve intervenire nel sociale: si deve rivolgere a chi è «già» nella società, disponibile nell'ambiente.
Non è tanto una scelta politica, quanto una necessità etica e culturale: al di là degli sprechi di risorse, che pure fanno scandalo, quello che manca agli interventi di certi enti locali, non è il denaro, ma l'«anima».
I cattolici in questo settore e con questa convinzione sono presenti da sempre: la matrice del volontariato è cristiana; questo sommerso fa parte della storia stessa della presenza dei cattolici nella società italiana.
Più critica è la valutazione per quanto riguarda la sinistra ed il suo modo di governare: essa ha dovuto comprendere sulla pelle dei cittadini che il pubblico non è in grado di soddisfare tutte le istanze della società.
Anche le amministrazioni di sinistra hanno dovuto «scoprire» il volontariato, scoperta molto più difficile per chi ha sempre avuto di mira una concezione egemone dell'ente pubblico, ed oggi è costretto a misurarsi con chi sceglie forme di, erogazione dei servizi sociali diverse da quelle tradizionali e non conformi ai modelli burocratici.
Nasce il problema del rapporto tra l'ente pubblico ed il privato, acuito dalla velocità della trasformazione mentre il fenomeno del volontariato ha assunto dimensioni tali da dover essere considerato e valutato e numerose leggi statali e regionali, per indicarne i meccanismi di raccordo con le strutture pubbliche, il Parlamento non è ancora riuscito a varare la «legge quadro sul volontariato» (pubblicata sul n. 1/84 di Nuova Politica), che conferisca un minimo di certezza giuridica ai rapporti Jra le parti, senza ingabbiare la forza espressiva e la creatività del volontariato stesso.
La formalizzazione giuridica, per quanto limitata, pure è necessaria per consentire al volontariato, anzi alle «organizzazioni di volontariato» previste dalle c.d. «Legge Lipari» di confrontarsi con le strutture pubbliche, offrendo agli amministratori irrinunciabili garanzie a riguardo della possibilità di controllo dell'effettivo utilizzo di eventuali incentivi economici per le finalità per le quali sono stati concessi: è questo un preciso dovere al quale l'ente pubblico non può derogare.
Il nostro ruolo in questa complessa realtà si gioca allora su due livelli. Uno è più propriamente politico. Occorre attivarsi perché enti pubblici, nell'ambito degli strumenti legislativi in vigore o da adottarsi, garantiscano un autentico pluralismo e riconoscano spazio al volontariato, attraverso la possibilità di stipulare convenzioni che rispettino la specificità dei singoli interventi, ma garantiscano anche la continuità dell'iniziativa, sia attraverso finanziamenti, sia attraverso la messa a disposizione di strutture adeguate.
Ma un altro ruolo, pre politico, costituisce una dimensione essen7iale ma mai adeguatamente percorsa.
Occorre anche impegnarsi affinché il «privato» non si riduca in un ruolo di attesa nei confronti del pubblico.
Occorre che quanti operano nella società, soprattutto nella lotta alle emarginazioni, avendo fatto del servizio disinteressato, una scelta di vita. siano a conoscenza delle possibilità che ad essi offre un corretto rapporto con il settore pubblico.
Occorre far sapere, per esempio, che costituendo una associazione che opera con professionalità (e non «professionalmente») e realizza determinati interventi, è possibile realizzare determinate convenzioni con specifici enti pubblici.
Anche il privato, il volontario, debbono attivarsi con consapevolezza delle proprie possibilità e del proprio ruolo, per non correre il rischio di essere ignorati e per non rendere scusabili eventuali trascuratezze.
Specificatamente l'impegno degli enti locali può essere rivolto ad azioni preventive, nel sociale e nella lotta alle vecchie e nuove emarginazioni, e sul piano dell'assistenza ai tossicodipendenti io appoggio ad associazioni e gruppi già presenti che vanno incoraggiati e sostenuti in un corretto rapporto pubblico privato che abbia come fine non una sterile rivalità ma il bene comune. Sul piano della prevenzione vanno avviati processi di educazione sociale finalizzati al superamento dei processi di emarginazione fondati sulla povertà, le difficili condizioni di vita, la disoccupazione soprattutto giovanile, l'assenza dei luoghi di incontro che siano luoghi di informazione ed autogestione formativa, invece che semplici luoghi di passaggio, la tendenza alla piccola e grande devianza. Questo tipo di attenzione verso i giovani stabilirebbe un modello nuovo di impegno verso le situazioni limite, riconducendole ad una azione di politica globale verso i giovani e con i giovani e favorendo un eventuale processo di rientro dei rapporti difficili con la società che sono spesso alla base di comportamenti devianti.












































