Si rischia spesso di sconfinare nella retorica quando si affronta l'argomento del volontariato. E spesso è proprio la politica a rendersi colpevole di quest'atteggiamento, un po' perché ha scoperto nel volontariato una ricca riserva di energie sane, socialmente disponibili, politicamente più attente e quindi elettoralmente significative, un po' per nascondersi il fatto che buona parte del volontariato è nata per rimediare alle carenze delle istituzioni pubbliche, di servizi inadeguati resi alla collettività, cioè per supplire alle funzioni della politica.
Paradossalmente succede, dunque, che proprio nell'ambiente del volontariato si registrano le maggiori diffidenze verso la politica, considerata attività da chiacchieroni inconcludenti.
Ma nell'affrontare questo argomento, si rischia un secondo equivoco di natura concettuale: quello di includere in questo fenomeno degli anni 80 e 90 molte attività che, in realtà, senza l'appoggio della mano pubblica soccomberebbero presto. Si tratta di tutte quelle iniziative di solidarietà sociale che, certo, rendono un servizio alla comunità e lo fanno in termini qualitativamente eccellenti perché eticamente motivati, ma che in fondo sopravvivono grazie all'erogazione di fondi pubblici per il finanziamento di appositi programmi attuati da personale regolarmente assunto. È questo il meccanismo che alimenta molti centri di accoglienza, molte comunità di reinserimento. Anche la nuova legge sulle tossicodipendenze ha incentivato la creazione di tali iniziati ve.
Altra cosa sono le associazioni dei donatori di sangue, dei volontari della Misericordia e dell'Humanitas, dei telefoni amici in cui privati cittadini impiegano il proprio tempo libero – come ben chiarito nella definizione riportata a fianco – per scopi sociali ed umanitari.
I rapporti Censis, Ispes ed altre fonti stimano che i volontari di entrambe le tipologie siano circa 6 milioni in Italia: 1 cittadino su 9, se non ci fossero le "doppie militanze" sente il richiamo della solidarietà. È per questo motivo – la dimensione non passeggera del fenomeno – che Parlamento e Consigli Regionali hanno speso negli ultimi anni parte della loro attività legislativa per disciplinare, incentivare, regolamentare l'attività del volontariato. Il Dizionario Tematico delle Leggi sul volontariato ha censito nel maggio 1990 circa 175 interventi normativi fra Stato e Regioni che chiamano in causa, a qualche titolo, le organizzazioni volontarie, quando non se ne occupano specificamente.
La X Legislatura ha prodotto una organica legge quadro, tentando di chiarire l'equivoco che non tutto all'interno del "terzo settore" è volontariato, non pretendendo di regolamentare nei dettagli la vita di un fenomeno soggetto a fisiologici e continui ricambi. "Dalla legge può venire la mano che favorisce un ricambio ma non la forza che è da reperire all'interno di se stessi".
L'argomento più scottante, oggetto anche di una tavola rotonda nella seconda Convenzione Nazionale dell'Associazionismo tenutasi a Firenze a luglio, è ancora quello degli incentivi economici. Delle circa 10 iniziative legislative, alcune optavano per la tesi del vero e proprio finanziamento statale, altre – più opportunamente a nostro avviso – per la deducibilità fiscale di contributi e donazioni. Questo per evitare la possibilità di rapporti perversi, elettoralistici o clientelari, tra potere pubblico e iniziativa volontaria nel momento cruciale della firma di una convenzione.
La puntualizzazione sulla natura delle diverse iniziative e sul loro modo di rapportarsi al pubblico fu oggetto della I Conferenza Nazionale, indetta dalla Presidenza del Consiglio al tempo di Gianni Goria e dal Ministero per gli Affari Speciali, che correttamente recitava nel sottotitolo "Volontariato, associazionismo sociale e cooperative di solidarietà".
In una sezione precedente di questo catalogo, nella parte dedicata allo Stato sociale, si accenna alla "crisi fiscale dello Stato" ed alla necessità di superare il funzionamento meccanicistico del nostro Welfare. Non vi è alcun dubbio che un moderno Stato della solidarietà non possa che fare affidamento al "terzo settore" per superare le disuguaglianze della opulenta "società dei 2/3".
"Volontario è il cittadino che liberamente, non in esecuzione di specifici obblighi morali o di doveri giuridici, ispira la sua vita – nel pubblico e nel privato – a fini di solidarietà. Pertanto, adempiuti i suoi doveri civili e di Stato, si pone a disinteressata disposizione della comunità, promuovendo una risposta creativa ai bisogni emergenti dal territorio con attenzione prioritaria per i poveri, gli emarginati, i senza potere. Egli impegna energie, capacità, tempo ed eventuali mezzi di cui dispone, in iniziative di condivisione realizzate preferibilmente attraverso l'azione di gruppo. Iniziative aperte ad una leale collaborazione con le pubbliche istituzioni e le forze sociali; condotte con adeguata preparazione specifica; attuate con continuità di interventi, destinati sia a servizi immediati che alla indispensabile rimozione delle cause di ingiustizia e di oppressione della persona".
(dal Nuovo dizionario di sociologia)










