Nuova Politica - Questo mese pagina 3

Politica politica

Non è da oggi che insistiamo sulla necessità di chiarirci bene sulla riforma delle istituzioni di cui troppi parlano oggi per sentito dire o, peggio, perché costretti da un giornalismo politico troppo attento al fatto del giorno piuttosto che alle mutazioni costanti o che necessitano di tempi lunghi e volontà ostinate.

L'intervista concessa da Padre Pintacuda ad un nostro redattore è certamente di quelle che riportano al centro del dibattito la vera essenza della riflessione sulla riforma delle istituzioni: esse non debbono cambiare per capriccio o perché va di moda tra i politologi la teoria di una nuova repubblica a quarantatre anni dalla libertà. La politica non deve essere dominio dell'uomo sull'uomo ma servizio ad esso, alle sue piccole e grandi necessità. Da una posta regolare ad un aereo in orario, dalla sanità che rispetti la dignità del malato ad un Parlamento che legiferi presto e bene tutto può passare per la mitica riforma delle istituzioni. A un patto. Che si comprenda come la riforma delle istituzioni è soprattutto la riforma della politica, del suo senso, della direzione che intendiamo dare alla nostra società. Grazie Padre Pintacuda, per questa lezione a noi «fuoricorso».

Di che ramo sei?

Rami bassi, rami alti. Parlamento, Aree metropolitane, piccole giunte locali, comunità montane: chi può arrogarsi il diritto di dire che c'è un livello di Governo della comunità civile che conta di più. È la Costituzione stessa a dire il contrario mettendo in rilievo il grande ruolo dell'Amministrazione locale, ovvero lo Stato più vicino, quotidianamente, ai cittadini. Molti giovani dc, circa 10.000 sono anche amministratori locali, sindaci, assessori, consiglieri di quartiere.

Cosa cerchiamo di nuovo in noi stessi per gli enti locali? Né nuove formulette né "nuovavecchia" retorica: vogliamo unire i valori alla competenza, perché parlare di protagonismo negli enti locali è meglio se si conosce come si legge un bilancio, nevvero?

Hello Bobby!

«Tutti noi vorremmo vivere in un mondo più tranquillo ma non è così. E se i tempi sono difficili e preoccupanti, sono anche esaltanti e pieni di occasioni». È una delle frasi più intense rilasciate da Robert Francis Kennedy nell'ultima intervista concessa prima di essere assassinato il 6 giugno del 1968 a due mesi da un altro grande martire della politica, Martin Luther King.

Non era Presidente degli Stati Uniti (ma lo sarebbe diventato!), ed era sempre stato anche un buon gregario per il fratello John. Uno che non si tirava mai indietro davanti all'impegno per qualcosa in cui credeva fermamente, come nella lotta al mafioso Hoffa, come nella continuazione della battaglia per la «nuova frontiera» di cui aveva raccolto l'eredità del fratello Presidente, dopo averne ispirato la genesi. Perché ancora oggi dura il suo mito? Perché forse scarseggiano uomini che credono nella loro fede, nelle loro scelte politiche e di vita, che una volta scelta la strada della politica hanno poi il coraggio di rischiare sé stessi fino in fondo con coerenza, lottando nei meandri talvolta oscuri del sistema politico rimanendone «fuori» mentalmente. Cuore e ragione, i segreti umani e politici di Bob Kennedy. È troppo sperare nella riedizione di una «nuova frontiera»?

Una risposta alla domanda politica
Andrea Campione